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blake_allegoria_bibbia.jpg (31661 byte)Sempre Maria Zambrano, in Verso un sapere dell’anima, dice:

" Ma le parole dicono qualcosa. Che cosa vuol dire lo scrittore e a quale scopo? Perché e per chi?

Vuole dire il segreto, ciò che non si può dire a voce perché troppo vero; le grandi verità non si è soliti dirle parlando. La verità di ciò che accade nel seno nascosto del tempo è il silenzio delle vite, e che non può essere detto. ‘Ci sono cose che non si possono dire’, ed è indubitabile. Ma è proprio ciò che non si può dire che bisogna scrivere.
Scoprire il segreto e comunicarlo sono i due stimoli che muovono lo scrittore.
Il segreto si rivela allo scrittore mentre lo scrive, non quando lo pronuncia."

Ma, prosegue Maria Zambrano, è diverso per la poesia perché:

" La parola rivela segreti soltanto nell’estasi, fuori dal tempo, nella poesia. La poesia è segreto parlato, che deve essere scritto per fissarsi, non per essere prodotto."

E continua, qualche rigo più avanti, a proposito di ciò che anch’io ho chiamato fedeltà, integrità:

" E’ un atto di fede lo scrivere, e come ogni fede, di fedeltà. Lo scrivere richiede fedeltà prima di ogni altra cosa: essere fedeli a ciò che chiede di essere tratto fuori dal silenzio.……… La fedeltà, per essere conseguita, esige una totale purificazione dalle passioni, che devono essere messe a tacere per far posto alla verità. La verità ha bisogno di un grande vuoto, di un silenzio in cui poter prendere dimora senza che nessun’altra presenza si mischi alla sua, falsandola. Chi scrive, mentre lo fa, deve far tacere le proprie passioni e, soprattutto, la sua vanità."

Dirà Paul Celan in La Verità sulla Poesia:

"L’attenzione è la preghiera spontanea dell’anima".

Come non riconoscere, in tutti questi poeti, quei tratti che, quando balbettavo e non sapevo ascoltare la poesia, erano chiusi, o almeno molto enigmatici, e ora mi sembrano aperti a questa circolarità che connette poesia e psiche, poesia e inconscio, uomo e natura, questa attenzione dell’anima, questo attenersi al compito, questo pazientare in attesa che la parola affiori, che diventi finalmente piena, e che dica, soprattutto, che dica di noi, e del nostro segreto.

"Cogliendo il tesoro portato sull’onda dell’inconscio", come dice Jung in uno dei suoi Seminari sullo Zarathustra di Nietzsche.

O Keats, quando teme di non avere il tempo, il tempo per tracciare l’ombra di ciò che intuisce:

blake_The House of Death(web).jpg (26203 byte)

"……,quando contemplo sopra il volto
stellato della notte ampi simboli
nebulosi di favola sublime,
e penso che potrei non aver vita
bastante per tracciare la loro ombra
con la magica mano della sorte;
e quando sento, bella creatura
di un’ora, ch’io mai più potrò mirarti,
né più mi sarà dato assaporare
l’incantata potenza dell’amore,
che s’abbandona; allora sopra il lido
del vasto mondo sto solingo e penso
fin quando amore e fama al nulla affonda."

Come non pensare, qui, a Leopardi, e ai versi finali dell’Infinito:

"………………………Così tra queste
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare."

E, certo, non è un caso che parole simili, che rinviano però a sentimenti diversi, estremi, siano state tracciate da V.Van Gogh in una lettera trovatagli addosso il 29 Luglio 1890:

" Per il mio lavoro, io rischio la vita, e la mia ragione vi è quasi naufragata…..".

Mentre Rilke , nella sua Nona Elegia, dice:

... ...
"Ma perché essere qui è molto, e perché sembra
che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste
effimere
che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri.
Ogni cosa
Una volta, una volta soltanto. Una volta e non più.
E anche noi
Una volta. Mai più. Ma quest’essere
stati una volta, anche una volta sola,
quest’essere stati terreni pare irrevocabile
... ... .

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E, più avanti:

Blake_peccato(web).jpg (22304 byte) "… …
E queste cose che vivon di
morire,
lo sanno che tu le celebri; passano
ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più
di tutto.
Vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile
cuore
In –oh, Infinito – in noi! Qualsia quel che siamo alla
Fine.

"Queste cose che vivon di morire", appunto: il mistero della presenza, imminenza, dell’incontro, ma con un senso di indeterminatezza, di mancanza che già forse si percepiva in quell’Infinito Finito della Dickinson, e che qui affiora e dà voce alla delicatezza e precarietà vertiginose della vita, insieme a quello stesso desiderio di dire la loro cosa, con una attenzione, una dedizione assolute, estreme. Sospendendo il tempo.
E non è, allora, un pregare anche questo loro, dei poeti intendo, farsi eco dell’anima, del suo mistero, dell’Infinito "entro il nostro invisibile cuore"? Non è un accettare, insieme umile e consapevole, la propria unicità irrevocabile, come dice Rilke, e metterla in relazione con la vita che ci circonda? Dio a Dio, dice Etty Hillesum; Io e Tu, dice Buber; resisteremo in polvere….Per la durata del mondo, il non credente Erri de Luca.
Ecco, anche di questo io sono grata alla mia analisi, di avermi aperto le porte della poesia. Forse, così, ritrovo il filo da cui ero partita: inconscio e poesia, ma non so se sono riuscita a cogliere l’altro filo che dovrebbe tenere insieme preghiera e poesia. Se la preghiera è, per come la intendo io, soprattutto un appello a Dio, un confidare in Dio, abbandonandosi a Lui, in quasi tutte queste poesie risuona un altro, diverso, tipo di abbandono. Sempre da Natoli:

"Se una salvezza è possibile, lo è perché, nonostante il male, l’uomo resta fedele al suo Dio, sa che nella deiezione non vi può essere altra risposta che l’abbandono: sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno."

Quell’altro, diverso, tipo di abbandono sembra, invece, un affidarsi alle potenzialità, naturali e spirituali, della vita stessa; da René Char :

Blake_Visions of the Daughters of Albion(web).jpg (38015 byte)" O vita, dà ai vivi, se ancora è tempo, un po’ del tuo buon senso sottile senza la vanità che illude, e sopra ogni altra cosa, forse, dà loro la certezza che non sei accidentale e spoglia di rimorsi come si dice. Non la freccia è turpe, è l’uncino."

Vorrei chiudere con una poesia di un amico, poeta, che tutti noi conosciamo, Giuseppe Fornasarig:

"Signore, se Tu sapessi E ora Ti preghiamo:
ma sicuramente sai, poni fine a questo tempo fatale,
quanto dolorosamente, torna tra noi,
quanto spesso, e abbi Tu pietà,
nel nostro modo imperfetto, come noi l’abbiamo avuta per Te,
abbiamo rivissuto della nostra crocifissione…..
la Tua crocifissione,
con pietà, E questa volta,
pur nel dramma del vivere mortale. Grande Signore d’amore,
consentici di condividere
anche la Resurrezione.

Scissione e Ricomposizione, Crocifissione e Resurrezione.
Il tempo fatale, qui, è quello della scissione tra anima e corpo, tra inconscio e coscienza, che ci crocifigge e ci sospende sull’abisso. La speranza è la ricomposizione, l’anelito a una possibile Resurrezione.


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