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Programma 2000

Poesia e Mistero: Una via alla preghiera

Preghiera e Inconscio...... Inconscio e Poesia.
di Anita Buccianti

Poesia, preghiera e
natura...non c’è altro
ora
per me
Anita......

(Un amico)

blake_sogno.jpg (19206 byte)Abbiamo detto che questa nostra chiacchierata sarebbe partita da una testimonianza sul mio incontro con la poesia e su quegli aspetti della poesia che, per me, sono contigui alla preghiera, o "religiosi". Si tratterà, quindi, di una lettura soggettiva.
Sin dalle riunioni preliminari, mi sono ritrovata a dover scrivere delle cose: è stata una necessità, e via via che sceglievo le poesie e i frammenti di altri testi che mi sembravano appropriati, mi sono sempre meglio resa conto di come tutto ciò diventasse, per me, importante. Era un po’ come chiarirmi il senso, forse, di un’esperienza, e anche di un’appartenenza; era, certo, un’esigenza di esprimermi, di espormi intorno a queste cose, per me, e anche per chi, con me, su queste cose desidera confrontarsi.
Allora, vorrei iniziare citando un passo tratto dalle prime pagine di un libro scritto da Erri de Luca, Ora Prima, Ed.Qiqajon 1997:

"Non posso dire di essere ateo. La parola di origine greca è formata dalla parola ‘teo’, Dio, e dalla lettera ‘a’, alfa, detta privativa. L’ateo si priva di Dio, della enorme possibilità di ammetterlo non tanto per sé quanto per gli altri. Si esclude dall’esperienza di vita di molti. Dio non è un’esperienza, non è dimostrabile, ma la vita di coloro che credono, la comunità dei credenti, quella sì è un’esperienza. L’ateo la crede affetta da illusione e si nega così la relazione con una vasta parte dell’umanità. Non sono ateo. Sono uno che non crede.
Credente non è chi ha creduto una volta per tutte, ma chi, in obbedienza al participio presente del verbo, rinnova il suo credo continuamente. Ammette il dubbio, sperimenta il bilico e l’equilibrio con la negazione lungo il suo tempo. E certo ci sono giorni in cui un credente cede, poco o molto, perché questa è la posta in gioco nella più difficile delle vocazioni umane. (...)
Infine ho imparato nelle Scritture sacre che il niente non sarà il nostro destino, la nostra stesura definitiva, perché saremo, sì, ridotti a polvere, ma non retrocederemo oltre questa consistenza. Resisteremo in polvere, nella materia impalpabile che ci preserverà dal niente. In stato di polvere ogni soffio ci solleverà e ogni goccia d’acqua rianimerà la vita in noi e la farà di nuovo brulicare, per sempre, leolàm in ebraico, che vuol dire per la durata del mondo."

Jung, viceversa, parla di Dio come "esperienza" psichica, immagine simbolica e, infatti, tra le altre cose dice:

"L’immagine di Dio corrisponde a un preciso complesso di fatti psicologici, ma ciò che Dio è in sé rimane una questione al di fuori della competenza di qualsiasi psicologia" (O.C.Vol.VIII)

blake_La porta della morte.jpg (24785 byte)Si veda anche in Jung Parla, Interviste ed Incontri, (Adelphi, pag.514), quando, rispondendo ad una domanda, Jung dice:

"……un bel sogno, per esempio, è una grazia. I sogni, al fondo, sono un dono. L’inconscio collettivo non è né mio né suo, è il mondo invisibile, è il grande spirito. Non ha importanza come lo chiamo: Dio, il Tao, la Grande Voce, il Grande Spirito. Ma per gli uomini della nostra epoca, Dio è il nome più comprensibile con cui designare la Potenza al di là.
Le immagini di Dio: è una storia infinita……
………Dobbiamo trovare parole semplici per dire le grandi verità, dobbiamo cercare di accostarci alla verità vivente che sta dietro le cose: è l’impresa più antica che l’uomo abbia mai tentato.
Nella nostra epoca è l’intelletto che produce le tenebre, perché gli abbiamo lasciato occupare troppo spazio. La coscienza discrimina, giudica, analizza, sottolinea le contraddizioni. Un lavoro necessario, fino a un certo punto. Ma l’analisi uccide e la sintesi conferisce vita. Dobbiamo trovare il modo di ristabilire il nesso che lega tutte le cose."

Questa questione, della sintesi, del nesso, credo sia il nucleo di ogni sentimento religioso ed è resa in modo bellissimo da Etty Hillesum, quando, nel suo Diario, scrive il 17 Settembre 1942:

"Il sentimento che ho della vita è così intenso e grande, sereno e riconoscente, che non voglio neppur provare a esprimerlo in una parola sola. In me c’è una felicità così perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la definizione migliore sarebbe di nuovo la sua (penso si riferisca al suo amante, appena morto) : "riposare in se stessi", e forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo "me stessa", la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo "Dio"……In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e profonda dell’altro. Dio a Dio."

Questo diceva, " Il cuore pensante della baracca."

blake_valle della morte.jpg (38101 byte)Ho voluto incominciare con queste citazioni perché, in un certo senso, non mi sono sentita pienamente contenuta nella dichiarazione dell’altra volta a proposito del mio non essere credente; soprattutto mi pare di non essere riuscita a comunicare come il non credente possa essere ugualmente, continuamente interpellato dalle stesse, o da molte delle stesse domande che si pone il credente; identico e abissale è il mistero su cui tutti ci affacciamo solo che, penso, le immagini, le parole, le ipotesi sono diverse: soprattutto ci differenzia la fede in un fondamento assoluto. Un’amica cara mi diceva: " Anche nel credente non può non affiorare, a tratti, il dubbio: anche per lui deve trattarsi di una scommessa, non credo sia più possibile un totale affidarsi." Forse è il dubbio, allora, l’interrogarsi, il nostro terreno comune.
Per questo, per me, la questione della religiosità rientra nell’ambito di una riflessione, che dura ormai da anni, intorno alla psiche, all’inconscio, e per questo il tema della preghiera mi ha richiamata, perfino catturata, come ricerca, meditazione, come un volgermi all’ascolto, all’attenzione non solo di quegli impulsi, quegli atti che anch’io mi sono ritrovata, talvolta, a compiere in certe situazioni di sofferenza estrema, ma anche come un aprirmi all’ascolto di Altro: perché può avvicinarsi alla preghiera, per me, anche tutto ciò che si rivolge al "mistero", mistero inteso come quella vasta area dell’inesauribile, dell’infinito, e lo interroga, facendo emergere quei pensieri, quelle emozioni che si presentano alla coscienza nell’istante in cui si viene attraversati dal sentimento, o intuizione, della nostra condizione di fronte a quella dimensione; è un’esperienza che può essere ineffabile, avvertita come profondamente commovente, piena di echi e di risonanze, anche religiose, ma che può anche aprire ad esiti angosciosi, e al bisogno di stringere, di chiudere, questa esperienza, in una interpretazione predeterminata.
Personalmente non desidero semplificare l’inconscio, rimandandolo a una sorta di irrazionalismo oscuro oppure, viceversa, a un determinismo piatto: né mi è molto congeniale un’espressione come "semplicemente psichico", perché penso (spero) che la psiche, l’anima, o comunque la si voglia chiamare, possa comprendere sia la materia corporea che l’istanza spirituale nelle loro fino ad oggi ancora per lo più ermetiche, ipotetiche connessioni reciproche, e sia perciò quanto di più complesso e ricco ci sia dato sperimentare in una esistenza umana; ignoro cosa altro possa esserci, al di là dello psichico, e anche la dimensione spirituale, comunque la si avverta, penso si dia nell’esperienza come un evento, un qualcosa che ci accade, ci sorprende, ci commuove, e che viene captato, accolto dalla psiche, e solo in seguito, probabilmente in modo parziale, è portato a coscienza, e articolato, interpretato, pensato dalla mente critica, che - e questo è il punto – può accettare, com-prendere, abbracciare, in una sorta di circolarità, anche le ragioni del sentimento, della sensibilità e del loro volgere lo sguardo all’infinito.
blake_anima e corpo.jpg (28718 byte)Un pensare col cuore: non è, forse, proprio questo anelito dell’essere a pulsare, respirare, sentendosi, anima e corpo, in commossa relazione con l’altro, col cosmo, la "via del cuore"? L’antica via del cuore, che da tante parti torna in questi anni a rifluire: penso, per rimanere all’interno della psicoanalisi, anche a J.Hillman in Anima Mundi, ma soprattutto a Jung, ai suoi studi sulle quattro funzioni, su Psiche e Religione, Psiche e Alchimia (vedi anche M.L.von Franz, Vir Unus, Unus Mundus, in Klaros, Firenze,Dicembre 1999) ); e ricordate, di Jung, quel suo racconto sui Pueblos che pensavano col cuore? Forse, davvero, come dice Pasternak, il poeta, in un testo che non sono riuscita a rintracciare:

Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi e frequentando il futuro nella vita d’ogni giorno non si può non incorrere alla fine, come in una eresia, in un’incredibile semplicità.

E infatti qualcuno, durante l’ultimo incontro, diceva che, quando prega, sente un impulso insopprimibile a sdraiarsi sulla terra nuda, abbracciandola, con un gesto simbolico di estrema concretezza e semplicità..
Per tutto questo penso che la preghiera non sia soltanto un contenitore istituzionalizzato, ovvero una serie di formule predeterminate, che però talvolta salgono spontanee alle labbra, ma, anzi, che possa essere, proprio nell’esperienza individuale, un appello e un confronto con quegli stati di coscienza "altri", che hanno a che fare con le domande prime sulla vita e sulla morte, così come volta a volta le sentiamo, o come loro si fanno sentire, quando ci lasciamo attraversare da questo farsi e disfarsi delle cose, da questo sentimento di una tessitura dentro e fuori di noi, tra noi e gli altri.


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