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Credo di poter dire che sia questa, oggi, la mia
esperienza di religiosità; una ricerca, spinta dal desiderio o, forse dalla necessità
di nesso, di senso, di dare spazio al senso, ma non tanto, o non solo, come riflessione
teorica quanto come un emergere, un farsi cosciente di certi stati che, alla maniera della
poesia, sollecitano, suggeriscono, vibrano tra relativo e assoluto, scorrendo, fluendo con
la vita tra tempo presente e tempo infinito Forse perché la poesia nasce, se nasce, solo
come estrema necessità, una necessità che emerge e trova forma sintetica fra commozione
profonda e pensiero nel farsi parola.
"Il poeta è luomo divorato dalla nostalgia .., asfissiato più di chiunque altro per la ristrettezza di quello che ci viene dato, avido di realtà, di intimità con tutte le forme possibili di essa. La poesia vuol essere una preghiera volta a scoprire tale realtà, di cui ritrova una traccia confusa nellangoscia che precede la creazione."
Così dice M.Zambrano in Appunti sul tempo e sulla poesia.
E in questo credo che la poesia dia voce anche a quel tratto della
condizione umana che si presenta come desiderio di trascendere i limiti della banalità -
ovvero dei bisogni istintuali intesi come consumo e avidità - e diventa sfida, tensione,
tra ragione e sentimento, nella necessaria accettazione della ragione critica, e del suo
uso, e contemporaneamente nella speranza, o intuizione, anche di un movimento, di
una spinta verso unarmonizzazione "possibile", forse per istanti, forse
per frammenti, tuttavia "possibile", in questa vita, con questo corpo, con
questa parola.
Non è forse questa, in Jung, la potenzialità auto-equilibratrice dellinconscio, la
sua spinta alla trasformazione, allindividuazione, come se fosse già parte di un
progetto della Natura?
Sono consapevole di come, detto così, tutto ciò possa essere
avvertito come privo di un significato forte, perché privo di potere salvifico, come un
puro moto espansivo dellanima, e del corpo, una sfida appunto, se non addirittura
come un mezzo per sfuggire allangoscia. Forse è così; non ho nessuna certezza in
proposito, perché non so cosa altro esista al di là dello psichico.
Ho coscienza ed esperienza della nostra precarietà e, inoltre, ho ben presenti gli orrori
della Storia, passati e presenti. Eppure
penso che la dimensione dello psichico
possa davvero ri-aprire allascolto dellaltro, dellaltro in noi e
fuori di noi, e quindi, di conseguenza, alla relazione e al dialogo: al dialogo,
che può essere faticoso, perfino estenuante cè chi dice che non serve a niente, che porta solo a una perdita di tempo
, ebbene, questa perdita di tempo, potrebbe, forse, essere una possibilità
di speranza. Forse, mille volte forse, con tutte le difficoltà e gli inciampi di cui
siamo consapevoli, questa perdita di tempo potrebbe portarci verso una qualità di
incontro, che sia più consapevole del rispetto per se stessi e per laltro che non
della sola esigenza di esprimere liberamente se stessi; cosa questa che, per bellissima e
necessaria che sia, non mi pare possa, in sé, da sola, condurre ad esiti molto diversi da
quelli attuali, di un narcisismo disperato.
Esiste la possibilità di unaltra forma di narcisismo, un buon narcisismo, come dice
un amico, cioè quello di chi desidera esprimere se stesso, confrontare se stesso con
laltro e fare dellascolto dellaltro, del dialogo con laltro, di
questa relazione dentro e fuori di noi, di questa reciprocità, il nucleo germinale di un
atteggiamento non solo privato ma anche sociale. In Io e Tu, Martin Buber dice che:
" Luomo diviene Io a contatto col Tu", in un sentimento di dipendenza e reciprocità attiva, e in un sentimento di relazione con laltro e con lunità cosmica.
Mentre in Essere Due di Luce Irigaray troviamo:
"Laltro in quanto tale, laltro che garantisce lirriducibile alterità, appartiene al genere che non è il mio
Laltro della differenza sessuale è al tempo stesso contiguo a me e trascendente a me, sia soggettivamente che oggettivamente: è corpo e spirito, corpo e intenzione, inclinazione e libertà."
Secondo me, i poeti, questo non lo hanno dimenticato mai; da questo, loro, non si sono distratti mai. E, penso, neanche gli amanti.
"Lamore mi mette dentro il tempo, le soglie, la morte e la vita. Senza amore non sento la morte, la vita, laltro. E mi mancano. (Un amico)
Forse perché si tratta di unesperienza, generalmente naturale,
che può fluire per vie diverse e spontanee, ed essere deviata, per poi ritornare a fluire, ma che, probabilmente, per alcuni di noi che ne
hanno avuto bisogno, si è ri-modellata proprio sulla qualità di un incontro, quello
analitico, che, nellascolto dellinconscio, ha ri-aperto alle potenzialità
ricettive, allintegrazione di una dimensione capace di illuminare ed accogliere
questa necessità primaria, questa qualità della relazione tra esseri umani; una
dimensione a partire dalla quale si torna a sapere che ciò che parla tra gli individui
non è solo ciò che è conosciuto, ma anche ciò che non lo è, e della cui
contraffazione si incominciano ad avvertire i grandi rischi, visto che già si annuncia
che la depressione sarà la malattia sociale del secolo appena nato. Non è un percorso
riduttivo se non vuol dire rinchiudersi in un isolamento solipsistico, perché è sempre
della stessa circolarità, della stessa scommessa che si parla; non è neppure un percorso
salvifico, ma noi sappiamo che ha almeno un tratto di verità: perché si tratta di
qualcosa di reale che qualcuno di noi ha tentato di compiere in forma privata, e che ha
trasformato la nostra vita e il nostro punto di vista sulla vita.
Dice Salvatore Natoli nel suo Dizionario dei vizi e delle virtù :
"Lindividualismo moderno è stato la via regia dellemancipazione: nulla da rinnegare. Ma per ritrovare noi stessi e reciprocamente ritrovarsi, bisogna accedere a una regione più profonda, a una superiore pietà. E necessaria quella che amo definire unetica del finito."
Tra i testi raccolti, ho scelto la citazione da Luce Irigaray, perché
nei suoi ultimi libri, pur partendo da premesse e esperienze molto diverse, questa stessa
cosa, questo desiderio di attenzione e reciprocità attiva, viene espresso sotto
laspetto del rapporto damore, del rapporto a due, dopo aver messo
laccento, fra gli altri, su due elementi: la tanto vagheggiata fusione inconscia,
come vera e propria regressione che tenta di chiudere nellimpostura la nostalgia e
il desiderio di intimità e di relazione, e il misconoscimento della questione dei generi
sessuali. Qui la differenza sessuale e individuale, una volta abbandonate le difese,
diventa allo stesso tempo trascendenza e complementarietà, percorso per la trasformazione
e individuazione del singolo, che allaltro tende, ma nel confronto e nella libertà;
nel tono lirico e nelle parole le ali, il soffio, il respiro, laria che
sorregge il dono reciproco in uno scambio privo di avidità - si avverte chiaramente un
anelito allessenza, alla verità, a quelle verità prime che si intuiscono nei
momenti più alti, o più bassi, della vicenda umana. Ha il tocco lieve del gioco, del
volo ma solo perché sa del suo rovescio: la paralisi, seduzione, violenza. E sembra una
preghiera o, meglio, un abbandonarsi: alla vita, appunto, allamore affinché da loro
si dischiuda un tratto di verità, un tratto di sintesi, il segreto. Ma, abbandonate le
difese dellIo, cosa altro parla? E, soprattutto, come parla quando facciamo
Silenzio?
Per Giovanni della Croce, il Silenzio, lIneffabile è il Divino: la sua Presenza
certa.
"... .... Più salivo in alto più il mio sguardo soffuscava, e la più aspra conquista fu unopera di buio; ma nella furia amorosa ciecamente mavventai così in alto, così in alto che raggiunsi la preda. Quanto più sfioravo il sommo di questo esaltato furore, tanto più mi sentivo basso, arreso, domato. ... ..." |
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Anche per William Blake, è così, ma il Divino è nelluomo,
tutto è nelluomo, tutto il male e tutto il bene del mondo si dischiudono nei suoi
versi: dagli abissi dellinconscio affiorano, con consistenza e intelligenza
visionarie, forme umane e divine, nelle loro agghiaccianti o armoniche simmetrie. Sono le
immagini oniriche cui noi siamo ormai abituati, che qui emergono in una visione tragica di
grandissima sincerità e potenza; sono i simboli di trasformazione psichica che si fanno
parola, efficace ed immediata, senza perdere però niente della loro ricchezza allusiva;
sono i peccati e le virtù che assumono consistenza umana; sono le coppie di opposti in
cui si dibatte la nostra vita che si animano attraverso le sue parole; ed è un anelito
alla sintesi quella preghiera che si volge allUmana Forma Divina, ma senza sconti,
perché avvertita anche nella sua spaventevole ambivalenza.
E come non sentire, in profondità, vibrare gli stessi echi, la stessa talvolta disperata
religiosità nei versi folgoranti della Dickinson, nel loro alternarsi tra grazia e
angoscia: il "granello di sabbia", il "fiore selvatico", l
"Infinito nel cavo della mano" , in una parola lUmano Mondo Divino di
Blake che, diversamente, molto diversamente, torna, affiora e si rifrange
nellInfinito Finito di unanima ammessa alla presenza di se stessa,
unanima che si interroga. Non cè niente, qui dellanarchico furore di
Blake, ma cè la stessa appassionata, totale fedeltà alle proprie voci interiori,
ai propri silenzi, la stessa integrità nella ricerca della verità, dellessenza.
LInfinito Finito. Il Segreto Parlato, che, qui, nella Dickinson sembra già
presagire anche il Silenzio, lassenza del Divino.
"Due volte si è chiusa la mia vita immenso, inimmaginabile, impossibile |
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