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Allo stesso tempo il cuore non è sede esclusivamente del bene:
"Il Cristo stesso dice che tutto il male proviene dallinterno, dal cuore (cfr. Mc
7, 21-22; Mt 15, 19); (...) il male, fino ai suoi gradi supremi di superbia e
offesa di Dio, ha la sua sorgente interiore, il cuore. (...) Esso è la sorgente
dellamore ma anche lorigine dellodio. Esso è lorgano della fede e
anche lorgano dellateismo: "Disse lo stolto nel suo cuore: Dio non
esiste" (Lc 24, 25)".
Il cuore è dunque la sede della nostra somiglianza con Dio e della nostra
negazione dellesistenza di Dio. Vyseslavcev pone questa che definisce
"antinomia della possibilità e dellimpossibilità di peccare" come
fondamento dellidentità più profonda delluomo; questa antinomia radicale e
insostenibile è ciò che troviamo ai limiti estremi dellabisso interiore, ed è
propriamente una tale antinomia a costituire la nostra vera identità. È impossibile non
accorgersi della sovrapponibilità quasi totale fra il concetto di antinomia del filosofo
russo e quanto detto in precedenza su ciò che la psicanalisi definisce
"ambivalenza", cioè quella tensione interiore che rappresenta il fondamento
dinamico della psiche. La percezione di una tensione che, dal punto di vista religioso, si
gioca nel rapporto antinomico fra bene e male, che si svolge e coinvolge appunto
ununica sede, il cuore delluomo, non è diversa dalla percezione di ciò che,
in termini analitici, viene chiamata "ambivalenza" e che sta alla base del
rapporto fra lorientamento dellIo e le pulsioni inconsce. A questo riguardo le
due visione antropologiche, quella religiosa di Vyseslavcev e dellortodossia, e
quella della psicanalisi sia freudiana che junghiana, concordano nel costatare che la
personalità umana si fonda su una tragica scissione insita al suo interno.
Ma consonanze significative fra le due concezioni le troviamo ben oltre
questa prima fase "diagnostica" sulle condizioni esistenziali delluomo.
Per Vyseslavcev la condizione essenziale per tentare di porre rimedio ad una tale tragica
situazione di scissione profonda "... consiste prima di tutto nel riconoscere questa
doppia natura del Sé... (poiché) ... senza di essa il nostro Sé umano è
impensabile...". Bisogna riconoscere, cioè prendere coscienza e accettare
fino in fondo la realtà e soprattutto il senso di questa condizione, senza la
quale "il nostro Sé umano è impensabile". Vyseslavcev sembra alquanto
consapevole del fatto che la più immediata e automatica reazione delluomo, in ogni
luogo ed epoca, di fronte alla visione della propria ambivalenza è, ed è sempre stata,
quella di "risolverla" al più presto eliminando uno dei due elementi che la
costituiscono; questo perché se lantinomia è già di per sé una condizione
dolorosa, la visione consapevole di questa eterna ferita reca un dolore assolutamente
insostenibile. Per questo la prima reazione è di allontanare da sé o almeno di mitigare
in qualche modo una tale lacerante presa di coscienza. È questa prima reazione che
Vyseslavcev tenta di superare, e in tal senso può essere letta tutta lanalisi
critica cui sottopone le vie mistiche orientali, buddhista e induista, che, secondo lui,
tendono alla "liberazione dagli opposti" attraverso processi che conducono alla fusione
degli opposti, cioè che liberano dallantinomia al prezzo della scomparsa di uno dei
due elementi che la costituiscono: se "Atman è Brahman", come nel sistema del
Vedanta, il mio Sé si dissolve in Dio; oppure, se "Brahaman è Atman",
il mio Sé liberato diventa lunica vera realtà, come nel sistema ateistico
Sankja. Loriente, secondo Viseslavcev, raggiunge non la "coincidentia", ma
la "indifferentia
oppositorum".
Allo stesso modo Vyseslavcev critica quellorientamento del cristianesimo che cerca
di risolvere il problema del male (cioè di uno dei due termini dellantinomia),
affermando che "... lorigine del peccato sia la carne, il corpo, la materia,
ciò che "non sono io" ...", cioè allontanando da sé la responsabilità
del peccato, in termini analitici potremmo dire "rimuovendo", cioè negando a se
stessi il problema o, nel migliore dei casi, "reprimendolo". Questa concezione
provoca una risposta tendenzialmente ascetica (che se agita inconsciamente produce una
scissione ancora più lacerante), cioè di progressiva repressione e presa di distanza
dalloggetto perturbante, per esempio la carne, che viene progressivamente
"sublimata". Al contrario, per Vyseslavcev è fondamentale proprio la coscienza,
cioè laccettazione consapevole della propria lacerante situazione esistenziale,
lassunzione totale della propria "responsabilità", che per lui
rappresenta la condizione stessa dellidentità. Se il cuore, cioè il centro
nascosto della personalità, non è responsabile, allora non si può parlare di vera
identità, allora luomo non è uomo ma animale.
Anche per la psicanalisi in generale la presa di
coscienza, determinata dal ritiro delle proiezioni inconsce, è la pre-condizione
necessaria per poter affrontare lambivalenza e procedere oltre. È interessante
però osservare come gli orientamenti di Freud e di Jung prendano, da questo punto in poi,
strade molto diverse. Abbiamo già accennato che la situazione di ambivalenza insita nella
personalità dellindividuo viene considerata da Freud come un fatto sostanzialmente
negativo. Il conflitto fra gli opposti, in questo caso fra il principio del piacere
e quello di realtà, può e deve essere risolto appunto attraverso la
"sublimazione" della libido, sublimazione che si ottiene in parte
reprimendo, in parte "inibendo la pulsione alla meta", cioè deviando un certo
quantitativo libidico verso unaltra destinazione, in ogni caso impedendo
lazione, nellambito dellIo, alla pulsione nella sua forma originale. La
celebre proposizione "ove era lEs, ivi sarà lIo", pur
ridimensionata drasticamente dal medico viennese nella visione più matura, esprime
comunque la sua linea di pensiero, caratterizzata dalla propensione alla risoluzione della
conflittualità con ladeguamento progressivo del principio del piacere al principio
di realtà, tramite la "rinuncia pulsionale". Potremmo paragonare
lorientamento freudiano alla linea di pensiero di quella parte del cristianesimo cui
Vyseslavcev rimprovera, come abbiamo visto, di allontanare da sé la
"responsabilità"; questo naturalmente non nel senso diretto della negazione
dellesistenza del male in noi o della nostra complicità col male, cosa che, in
termini analitici corrisponderebbe alla rimozione; ma nel senso più raffinato della
non-appartenenza del male alla realtà del Sé autentico: "non sono io"
quello che pecca, anzi sono veramente me stesso solo nel bene. E, in termini analitici, la
mia maturità, il mio vero essere con me stesso e con gli altri, si ottiene solo
attraverso la rinuncia al "male", la rinuncia pulsionale operata dal prevalere
della ragione sullistinto. Anche Vyseslavcev parla di "scelta" del bene
come operazione fondamentale per la radicale "trasfigurazione" dello spirito
delluomo ma, come vedremo, si tratta di cosa del tutto diversa dai due orientamenti
appena descritti, i quali, potremmo dire, "rifuggono" dal male senza consumarlo
fino in fondo, senza assumerlo veramente nel profondo del cuore.
Già in Jung, come abbiamo detto allinizio, la prospettiva cambia completamente:
lambivalenza, la tensione fra gli opposti, non è qualcosa da neutralizzare o di cui
liberarsi, ma il vero motore della dinamica della psiche, in divenire verso il Sé.
Al fine di liberarsi dallangoscia esistenziale, non si deve cercare di
"risolvere" la tensione riducendo progressivamente al
silenzio uno dei due elementi dellopposizione, al contrario è indispensabile
migliorare continuamente il loro rapporto, il loro stare insieme, e ciò può avvenire
essenzialmente attraverso limpiego e lo sviluppo del linguaggio
"simbolico", comune ad entrambi i fattori, che riesce a "tenere
insieme" i loro contenuti e assicura linterlocuzione e lo scambio. Il
linguaggio simbolico e rituale, per la sua particolare conformazione, riesce a mediare le
coppie di opposti esprimendone i contenuti per immagini, azioni, atteggiamenti tramite i
quali può essere rappresentata la paradossale e irriducibile diversità dei due poli
della psiche. Il portato che scaturisce, secondo Jung, in seguito alladozione di un
tale linguaggio, è il rovesciamento dellinterazione fra gli opposti che, da
distruttiva diventa feconda e creativa, nel senso che produce, attraverso la
"funzione trascendente", una trasformazione del soggetto. Lindividuo
acquisisce una personalità rinnovata, un nuovo modo di essere nel mondo, che può
definirsi come una sintesi creativa e inedita degli elementi che, dialogando invece di
configgere, hanno prodotto la trasformazione.
Questo dialogo tra gli opposti, in generale dialogo fra lIo e linconscio, lindividuo lo vive sia con se stesso che proiettandolo allesterno, soprattutto sul partner, "laltro". Lelaborazione simbolica del rapporto con laltro da sé, consente il ritiro progressivo delle proiezioni e il contemporaneo sviluppo della personalità individuale (determinato proprio dall"integrazione" dei contenuti proiettati), fino al raggiungimento di quel centro della personalità, conscia e inconscia, che, per Jung, rappresenta la vera identità individuale, diversa sia dallIo, la personalità cosciente, che dall"anima", la personalità interiore, ma che le comprende e le trascende entrambe: il "Sé". Solo la funzione simbolica, o funzione "religiosa" consente questo tipo di sviluppo che trasforma il conflitto in relazione fra gli opposti, i quali non perdono le loro rispettive caratteristiche, anzi mantengono inalterata la tensione potenziale dellenergia psichica.
Le linee dello sviluppo della società occidentale ci sembrano, da questo punto di vista, seguire coordinate molto diverse, se non opposte, a quelle dei processi simbolici, tanto da aver condotto la personalità individuale e collettiva ad una profonda separazione fra la coscienza e linconscio; lindividuo occidentale è oggi fortemente scisso, diviso in due parti che non comunicano affatto fra loro e che perciò si manifestano in modi estremamente reattivi e reciprocamente distruttivi. La coscienza razionale dellodierno uomo occidentale nega lesistenza e la legittimità della parte irrazionale di sé sottraendogli spazi consapevoli di espressione ed esponendosi in tal modo alla reazione dellinconscio che periodicamente insorge "allagando" lIo con ogni sorta di sintomatologia distruttiva, rivolta sia allinterno, verso il soggetto, che proiettata allesterno, verso gli altri.
Per capire meglio come mai, secondo Jung, in occidente si sia sviluppata una tale configurazione psichica, è opportuno richiamare i punti principali di una delle sue elaborazioni teoriche più importanti, la teoria dei "tipi".
Per Jung, la globalità delle manifestazioni psichiche possono essere ricondotte a due orientamenti di base del soggetto, lintroversione e lestroversione, e a quattro funzioni fondamentali, due puramente percettive, lintuizione e la sensazione, definite "irrazionali" in quanto consentono la globale e imparziale acquisizione dei dati della realtà, e due cosiddette "razionali", il pensiero e il sentimento, in quanto permettono invece di discernere e operare scelte sui dati acquisiti. Ogni situazione epocale, ambientale e sociale, presenta caratteristiche peculiari per le quali si assiste al prevalere di una delle quattro funzioni nella coscienza, individuale o collettiva, e alla rimozione delle altre nellincoccio. Un fatto del genere si verifica perché la coscienza soggettiva, lIo (cioè quella zona della personalità in cui le immagini psichiche mantengono il più possibile costante la loro forma, al punto che il soggetto vi si può riconoscere, può affermare: questo sono io), si è potuta sviluppare fino alla struttura attuale, solo attraverso un faticosissimo e lentissimo lavoro di "differenziazione" dalluniverso caotico dellinconscio, dove le immagini sono tuttaltro che costanti, anzi in perenne trasformazione. Il campo dellIo, per la sua limitata capienza, può sopportare la presenza solo di pochi contenuti (relativamente al turbine di immagini e trasformazioni che avviene nellinconscio), e lazione distinta di singole funzioni. Questa tendenza dellIo a diversificarsi, a distinguersi dal magma pulsionale scomponendo e discernendo la realtà indifferenziata della psiche primordiale, rappresenta un processo fondamentale dellevoluzione del soggetto, processo senza il quale non esisterebbe la coscienza individuale, e che si riproduce, filogeneticamente, in ognuno, dalla nascita alletà adulta. Nel mondo occidentale, secondo Jung, il processo di formazione della coscienza si è spinto, da un certo momento in poi, ben oltre il raggiungimento di un Io solidamente strutturato e autonomo, sradicandosi pericolosamente e drasticamente dalle proprie radici pulsionali e proseguendo per una linea di sviluppo del tutto "unilaterale". A questo evento è corrisposta, sul piano delle funzioni, legemonia della funzione "pensiero", che ha improntato di conseguenza in modo unilaterale e indirizzato lattività dellIo, dal cui campo sono state rimosse le altre tre funzioni, soprattutto la funzione razionale "opposta", cioè il "sentimento".
Per la sua intrinseca struttura che lo vede normalmente associato o fuso alla percezione sensoriale in quanto "stato danimo" e per la facilità a trasformarsi in "affetto", la funzione "sentimento", in quanto funzione razionale permeata di affettività, è quella che presenta le caratteristiche più favorevoli alla interazione fra lIo e linconscio, interazione mediata dal linguaggio simbolico.
Il sentimento, il "sentire" deve essere definito "razionale", in quanto lIo, attraverso il sentimento, attribuisce un valore al contenuto percepito, può valutarlo, cioè discernerlo. Nello stesso tempo è una funzione che consente la comprensione del "mistero" e dellenergia emozionale ad esso collegata, senza necessariamente dover ricorrere allo svelamento, come invece avviene con la funzione "pensiero" indirizzata; il sentimento può ri-velare (velare di nuovo) il mistero senza svelarlo, cioè senza risolvere e quindi depotenziare la sua intrinseca tensione dinamica. Da questo punto di vista, a nostro parere, il sentimento junghiano può essere definito a pieno titolo "sentimento religioso". Un tale sentimento permette il contatto con labisso interiore, consente di essere "testimoni" nel profondo di sé, senza dover per forza ricondurre questo Sé che noi siamo ad un qualcosa che invece somigli allIo che già conosciamo e che perciò ci tranquillizza. Il sentimento consente di sopportare la visione della nostra ambivalenza.
Con la scissione dellIo dallinconscio e la rimozione del sentimento, il soggetto ha perduto questa capacità di interagire con la parte sconosciuta della propria personalità, ha dovuto perciò negare lesistenza di un "mistero" e di un Dio nella propria interiorità, e interrompere la comunicazione consapevole con il proprio universo simbolico.