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IL SENTIMENTO RELIGIOSO
IN C. G. JUNG E OLTRE
Carlo Alberto Cicali - Dario Squilloni
Una voce dice: |
"Un cuore senza mani |
(Da un sogno di Carlo Alberto Cicali) |
Dallesame della cronologia delle opere di Jung,
non risultano interventi scritti, in materia religiosa, antecedenti al 1930. Il primo
saggio specifico sullargomento viene edito solo otto anni più tardi, nel 1938. Dai
biografi e da Jung stesso (figlio, fra laltro, di un pastore protestante), sappiamo
però che la religione ebbe sin dallinfanzia notevole rilevanza per la sua vita. E
anche se dobbiamo attendere la produzione delletà matura per avere i primi scritti
dedicati esplicitamente alla religione, è indubbio che anche le opere precedenti,
soprattutto dalla pubblicazione di "Simboli della trasformazione", contengono
tutti gli elementi in base ai quali lo psicologo svizzero ha elaborato la sua concezione
della dinamica e dellevoluzione dei processi psichici. Concezione che si fonda sul
ruolo determinante per leconomia della psiche svolto, nellessere umano, dalla
"funzione religiosa". È interessante notare che il saggio di Vyseslavcev
"Letica delleros trasfigurato", nel quale lautore si riferisce
ampiamente a Jung, viene pubblicato nel 1932, sei anni prima delluscita di
"Psicologia e religione"; Vyseslavcev deve aver percepito ed edotto
limportanza della tematica religiosa in Jung già nelle opere precedenti, dove
questaspetto era ancora in nuce e in via di formazione, segno questo delle profonde
attinenze che accomunano, come vedremo, le pur differenti concezioni dello psicologo
svizzero e del filosofo e teologo russo.
Prima di entrare risolutamente in argomento, ci pare opportuno ricordare alcune delle
modalità fondamentali della ricerca junghiana e, più in generale, della psicanalisi, al
fine di consentire una migliore comprensione sia della strumentazione che della
terminologia elaborate e impiegate da Jung. Anzitutto è opportuno sottolineare che le
ricerche in campo psicanalitico hanno un carattere fortemente empirico: sia per Jung che
per Freud lindagine procede dallosservazione sul terreno della prassi, dal
quale nascono, e al quale ritornano, tutte le elaborazioni teoriche e concettuali che
vengono comunque concepite come meri apparati strumentali, mai definitivi e continuamente
sottoposti alla verifica dellapplicazione pratica.
È sulla base dellosservazione empirica che Jung individua nelle
manifestazioni nevrotiche e psicotiche una dinamica e una finalità ben più complesse di
quanto in precedenza fossero loro state attribuite. Da Freud, infatti, la nevrosi e la
psicosi continuavano ad essere considerate forme patologiche, nonostante avesse intuito
che la loro dannosità non dipendeva dalla "anormalità" strutturale dei
soggetti che ne soffrivano, quanto invece dallesagerata intensità di fenomeni che
erano però comuni anche a tutti gli individui cosiddetti "normali". Né la
fondamentale scoperta del grande medico viennese riguardo al "senso" dei sintomi
nevrotici e psicotici e, più in generale, delle manifestazioni psichiche inconsce (lapsus,
sogni, ecc.), sino ad allora ritenute prive di qualsiasi significato analogico, contribuì
a modificare la valutazione essenzialmente negativa che egli attribuì (tranne forse nelle
ultime opere) alle "malattie" della psiche. Pur accordando ai
"sintomi" un grande valore sia per la diagnosi che per la prognosi (laddove il
risalire la catena dei significati permetteva di riportare alla luce il nucleo traumatico
che, reso così cosciente, interrompeva la sua azione perturbante), Freud restò
complessivamente aderente ad una valutazione negativa dell"ambivalenza"
intrinseca allessere umano. Il conflitto interiore, determinato nelluomo dalla
contrapposizione fra il soddisfacimento delle pulsioni soggettive (principio del piacere)
e gli obblighi del vivere sociale (principio di realtà), rappresentava un problema che
poteva e doveva essere risolto attraverso la presa di coscienza e una consapevole
"rinuncia pulsionale", realizzando in tal modo la "sublimazione della libido"
e la risoluzione del conflitto.
Con Jung questa concezione della dinamica della psiche viene radicalmente trasformata:
lambivalenza, che è costitutiva delluomo, poiché determinata dalla
coesistenza in una stessa personalità di due diverse componenti, lIo e
linconscio, è in realtà il vero propulsore dellenergia psichica, la cui
dinamica va in tesa come un "processo" tendente ad un fine, che progredisce
proprio grazie alla relazione, cioè alla capacità di interazione reciproca delle
due parti della personalità. Per Jung questo processo è intrinseco al soggetto e, in
condizioni "normali", si svolge e si sviluppa
spontaneamente dando luogo a progressive trasformazioni determinate appunto dal confronto
e dal dialogo fra lIo e linconscio. Il portato di questo confronto è qualcosa
di molto diverso della semplice presa di coscienza e della "sublimazione" del
conflitto a favore del principio di realtà. Il confronto fra lIo e linconscio
genera invece un rinnovamento della personalità in cui le due componenti appaiono
radicalmente trasformate in senso creativo: sulla scena psichica compare un modo
realmente nuovo di essere, risultato della "coniunctio" fra le due parti della
psiche ma non riducibile alla loro semplice somma matematica. Laspetto patologico,
distruttivo delle nevrosi e delle psicosi non dipende affatto, secondo Jung,
dallinconciliabilità di pulsioni e realtà, quanto semmai dallinterruzione
del loro dialogare, dalla rescissione del legame simbolico che permette la normale
interazione fra le componenti della psiche. Una tale interazione è consentita e regolata
da quella che potremmo definire la funzione "religiosa" della psiche che, per
Jung, è una funzione autonoma e primaria (e non il portato, come per Freud, di una
deviazione delloriginaria libido sessuale) che spinge lIo del soggetto
alla religio, cioè alladozione di un atteggiamento di "osservanza
accurata e scrupolosa" nei confronti di unistanza che viene percepita dal
soggetto stesso come indipendente dalla propria volontà, qualcosa di ignoto e potente che
irrompe nellIo da un luogo altro dallIo. La funzione religiosa consente
al soggetto di stabilire un rapporto con questa presenza in quanto lo spinge prima
allattenzione, allascolto, poi allelaborazione di un linguaggio e di un
comportamento (rituale), adeguati allinterlocuzione e molto diversi dallusuale
attività razionalizzante: lincontro fra il soggetto e questo "altro da
sé", o fra le due componenti della psiche, è reso possibile grazie
allattività mediatrice del "simbolo". La capacità simbolica è da
intendersi come una funzione che si estrinseca in diverse attività espressive tramite le
quali luomo tende a rappresentare il "misterium" da lui percepito al fine
di poterne cogliere il significato, e allo stesso tempo cercando di mantenere, di
"tenere insieme" (symballo = metto insieme) la sua paradossale
complessità e profondità, mai completamente afferrabile.
Il vero centro della personalità, la vera identità individuale, che Jung chiama
il "Sé", si trova proprio là dove lIo e linconscio riescono ad
incontrarsi ed unirsi, a "stare insieme", senza escludersi vicendevolmente,
grazie alla capacità mediatrice dellattività simbolica. In questo senso il processo
dindividuazione è un percorso di avvicinamento al proprio Sé, di integrazione
progressiva dellautentica identità individuale.
Viene spontaneo, a questo punto, richiamare lattenzione su alcuni punti fondamentali
del saggio sul cuore di Vyseslavcev (Il cuore nella mistica cristiana e indiana) ivi
pubblicato, che, ha nostro parere, presentano significative analogie con la visione
junghiana.
Anche per il filosofo russo esiste nelluomo una identità più profonda e autentica
di quella percezione superficiale e parziale che comunemente il soggetto ha di se stesso.
Questa identità Vyseslavcev la definisce come "luomo nascosto nel cuore",
che è il "... centro nascosto della personalità... invisibile agli altri e in gran
parte anche a noi stessi...". Il cuore è il luogo nel quale si cela la vera
identità delluomo, poiché è lorgano che più di ogni altra facoltà umana,
più dellintelletto, più della volontà, permette "... un contatto reale con
Dio (...) unautentica esperienza religiosa senza la quale non vi è né religione
né vera etica...". Solo nel cuore è possibile una tale esperienza perché il cuore
è il centro gravitazionale di ogni cosa, tutto proviene e rifluisce al cuore, ogni
emozione dellanima, ogni anelito dello spirito, ogni funzione vitale organica.
"Il vangelo ci assicura continuamente che il cuore è lorgano atto a ricevere la
parola di Dio e il dono dello Spirito Santo (...) E questo contatto con la divinità
è possibile perché nel cuore umano vi è la stessa profondità che è nel cuore di Dio.
Qui si trova tutto il senso dellespressione "a Sua immagine e somiglianza"
(Gn 1, 26), qui luomo sente la sua divinazione, qui un abisso evoca un altro
abisso...".
Inoltre, questo "... centro velato della personalità..." è misterioso,
nascosto, "... impenetrabile allo sguardo altrui ma (...) anche al proprio
sguardo...". Anche Viseslavcev, così come Jung, si pone il problema
dellinsufficiente capacità di comprensione delle facoltà razionali delluomo
qualora si avventuri nelle profondità abissali dellinteriorità, dove esperisce il
contatto con Dio: "Siamo arrivati sino allultimo limite, dove incontriamo
lillimitato, con tutti i "paradossi dellinfinità"". In questo
luogo, dove è possibile la sola vera esperienza religiosa, la mente, lintelletto,
la ragione, non bastano più, poiché "... il cuore è il centro, non solo della
conoscenza, ma anche di ciò che non è conoscibile, non solo dellanima, ma anche
dello spirito, non solo dello spirito, ma anche del corpo, non solo di ciò che è
afferrabile con lintelletto, ma anche di ciò che è inafferrabile; in una parola:
esso è il centro assoluto." Entrare in questo centro comporta lassunzione di
un atteggiamento diverso dalla "meditazione razionale su Dio" che, per
Vyseslavcev e la Chiesa dOriente, non rappresenta "la vera coscienza
religiosa"; secondo gli starets è necessario "stare con la mente nel
cuore", è necessario cioè colmare la frattura che divide lintelletto dal
cuore i quali, soprattutto in occidente, agiscono separati luno dallaltro. Su
questo concetto ritorneremo più avanti, basti per adesso notare la profonda attinenza fra
ciò Jung, come abbiamo visto, definisce "atteggiamento simbolico", cioè il tenere
insieme del simbolo, e lo "stare con la mente nel cuore" degli ortodossi,
che tentano di restituire al cuore, cioè alla forza unitiva dellamore, la sua
posizione centrale allinterno della personalità.
Per capire meglio il motivo che spinge gli starets ad andare oltre la meditazione
razionale e a elaborare unaltra modalità di ricerca del rapporto con Dio, definita
"stare con la mente nel cuore", converrà, sempre seguendo Viseslavcev,
approfondire la concezione antropologica ortodossa che indica nel cuore il "centro
nascosto della personalità". Seguendo i vangeli, Vyseslavcev può affermare senza
tema di smentita che il cuore contiene tutto, tutto proviene dal cuore, tutto gravita
attorno a quel centro assoluto che è rappresentato dal cuore; così è nel cuore che
luomo può trovare il suo valore eterno, la sua più profonda identità,
attingendovi la "somiglianza con Dio": "Se esso (il cuore) è lorgano
atto a ricevere il Logos divino e i doni dello Spirito Santo, ed è, di conseguenza, il
punto di contatto con la divinità, allora è qui, in questo punto ultimo che si trova la
nostra rassomiglianza con Dio, qui siamo dèi e figli dellAltissimo (Giov 10,
34; Sa 81, 6) ed è qui che non possiamo peccare." La nostra
"somiglianza con Dio" è quella "scintilla divina" (fünklein) che non
può mai cadere nel non-essere, "... che non può "bruciare in nessun fuoco
dellinferno...", e che esiste in ogni uomo, anche pagano.