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Figura 13

Nella figura successiva vediamo invece raffigurato l’interesse dei religiosi per la ricerca alchemica (Figura 13). Il monaco vestito di bianco è un certosino; e infatti l’illustrazione è riferita al Liber de secretis naturae, che l’alchimista avrebbe scritto su richiesta di un monaco della Certosa Parigina. Quello che qui viene illustrato è il momento in cui l’alchimista consegna al monaco il libro che gli è stato richiesto. Di fatto ci sono numerosi divieti di praticare l’alchimia rivolti dagli ordini religiosi ai propri membri; ma proprio il ripetersi però di questi divieti mostra che in realtà i religiosi praticavano la ricerca alchemica con tutte le implicazioni che questa ha relativamente alla salvezza del corpo e alla salvezza spirituale, con la sua richiesta di perfezionamento anche etico, di disposizione religiosa nei confronti della natura e naturalmente anche di ricerca medica dell’elixir. Del resto tutti quei liquori che nelle Certose, nelle fondazioni di antica memoria ancora si producono, testimoniamo una tradizione di distillazione che poi si è certo abbassata a scopi più utilitaristici, ma che è radicata in questo sapere.
C’era, in Italia, un ordine religioso che fu soppresso alla fine del ‘600, fondato dal senese Giovanni Colombini dopo la peste nera verso il 1365/67 per assistere gli ammalati di peste e i moribondi, che venne presto ribattezzato "I Frati Speziali" o "I Fratelli dell’Acquavite". In tutte le fondazioni di questi Gesuati, c’erano officine di distillazione, perché era coi farmaci distillati che essi curavano i malati gravi e i moribondi. Un testo attribuito ad Arnaldo da Villanova racconta del resto come si possa ottenere mediante la distillazione un farmaco che è in grado di risuscitare i morti," vel quasi" – dice -, insomma non proprio del tutto. Cioè si può far sì che una persona che sta malissimo, che sta perdendo i sensi, che se ne sta andando all’altro mondo, ma che non ha fatto in tempo a fare testamento o a confessarsi, si riprenda con questo prodotto alchemico, detto appunto perciò elixir vitae, quel tanto che basta per mettersi in pace con Dio e con gli eredi: e pare che i Gesuati di questa possibilità vel quasi ne abbiano forse un po’ abusato.
Nella figura che segue vediamo l’autorità massima del mondo medievale, il papa. Questa immagine però non è molto lineare come leggibilità, è la più misteriosa (Figura 14).

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Figura 14

Questo animale, volpe o furetto che fa cadere il triregno dalla testa del papa, io (e gli altri studiosi che hanno analizzato questo manoscritto) non riesco a interpretarla. Quello che si capisce è che c’è una certa animosità fra l’alchimista e il papa. L’alchimista agita il vaso della materia prima in maniera leggermente intimidatoria, mentre il papa – pare - sta perdendo di fronte all’altro il simbolo del suo potere: ed ecco che riappare quel piccolo puer, vestito come nella prima immagine, che mi induce a pensare che questa immagine indichi una contesa sul sacro e indichi dunque l’aspetto negativo che fa da pendant all’aspetto positivo dell’alchimia come complemento ad un discorso religioso che ha trascurato il versante della materia: ma su questo rinvio al testo di Carlo Cicali e Dario Squilloni. Di fatto, nella perfezione alchemica della materia è possibile innestare il rinnovamento della chiesa, come Bacone aveva auspicato, come il puer dell’immagine sembra mostrare, ma anche leggervi la minaccia di rovesciamento del potere temporale: e il legame della ricerca alchemica con i movimenti spirituali del tardo medioevo – cui ho già accennato - sembra andare piuttosto nella seconda direzione.
La conflittualità con la figura massima della cristianità si manifesta in alcuni fatti storici: la condanna degli alchimisti come falsari che pronunciò Giovanni XXII, la persecuzione contro gli alchimisti da parte dell’inquisitore della corona d’Aragona Nicola Eimerich alla fine del ‘300, che contraddicono l’interesse che i papi e i cardinali avevano mostrato per la ricerca dell’elixir fra il ‘200 e il primo ‘300, che chiudono questa possibilità, forse perché appunto è stato compreso che l’alchimia conteneva una visione del mondo che non poteva andar d’accordo con quella che il potere ecclesiastico, alla fine del medioevo, sosteneva. Ecco allora l’alchimia che, a quel punto, rifiutata dalle università, osteggiata dall’autorità massima e ambiguamente favorita dal potere secolare, si rintana, si rinchiude in una sua sfera di ricerca, si occulta e diventa ciò che per noi oggi è una ‘scienza occulta’. E allora che vuol dire, che senso ha riprendere oggi in considerazione una ricerca di questo tipo? La risposta, o almeno la mia motivazione, è radicata sia nel discorso di Jung, su cui però qui non mi soffermo, sia in un discorso che emerge da ricerche sulla tradizione esoterica per esempio in Francia. Ritornare all’alchimia non vuol dire dedicarsi a stranezze o concedersi delle divagazioni, per quanto affascinanti, ma cercare di rimettere a tema del pensiero un materiale che non si presenta così unilaterale, così astratto, così schematicamente universale come la definizione di scienza e di filosofia nella modernità di fatto sono. L’alchimia è stata definita da una studiosa francese contemporanea, Françoise Bonardel "il continente nero del pensiero occidentale", riprendendo coscientemente quella definizione che Freud ha dato delle donne e del femminile. Continente nero in cui il pensiero occidentale ha cessato - dice Bonardel - di volersi avventurare in un dato momento della sua storia. Ecco, tornare a questo sapere significa fare un passo indietro rispetto a quel momento della storia in cui il pensiero moderno ha messo le basi per l’unilateralità e per la violenza contro la natura che lo caratterizzano, e ritrovare un sapere simbolico che - per usare una frase di Paul Ricoeur - "dà da pensare". Il simbolo dà da pensare. Il simbolo non è qualcosa da cui si astrae un concetto, ma è qualcosa su cui si lavora anche col pensiero per andare oltre, per superare questo atteggiamento prometeico unilaterale della coscienza occidentale. Dunque l’alchimia come sapienza, che superando questo atteggiamento prometeico suggerisce, indica, dà da pensare un nuovo rapporto possibile tra gli esseri umani e il mondo. Un prendersi cura del mondo nella sua materialità, un’interazione cosciente volta alla perfezione di entrambi i soggetti di una relazione, quella fra esseri umani e natura, che costituisce anche la nostra realtà.


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