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La prima immagine è proprio il primo capolettera della prima opera contenuta in questo manoscritto, il Testamentum, e ha due settori, entrambi significativi (Figura 1). L’immagine di sinistra, la donna bionda che si strappa i capelli, col volto palesemente in lacrime, è la natura che si lamenta. Il motivo di natura lugens è un motivo che percorre la poesia tardo latina e poi torna nel XII sec. e che ancora ritroviamo in Jean de Meung. Natura si lamenta e dice all’alchimista che alcuni vogliono strapparle i suoi segreti, vogliono lacerarle le vesti, afferma "morti me tradere volunt" (mi vogliono ammazzare). Riecheggia in questo lamento il titolo del libro di Carolyn Merchant, La morte della natura. La Merchant ha analizzato un accadimento storico collocandolo nel momento in cui proprio è arrivato a compimento, al tempo della rivoluzione scientifica in cui la natura come grande dea, come figura divina era ormai decaduta a oggetto dell’indagine e quindi torturabile, come diceva nel ‘600 Francesco Bacone. 

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Figura 1

Nell’immagine del manoscritto abbiamo una natura che ancora è vitale ed è in grado di lamentarsi, non è ancora stata definitivamente uccisa, ma manifesta proprio nelle sue parole questo pericolo e si appella all’alchimista perché solo l’alchimista potrà comprendere i suoi segreti in maniera non lacerante, in maniera non violenta. L’alchimista infatti, come vedremo in seguito, ha un modo di rapportarsi alla natura per cui la natura gli svela volentieri i suoi segreti, perché sa che non ne farà cattivo uso, perché ha raggiunto una consapevolezza etica che gli consente di fare buon uso dei segreti di natura e una metodologia di approccio per cui interagisce con la natura ma non "la mette alla tortura" – frase, quest’ultima, di Francesco Bacone.
L’altra immagine, quella racchiusa nella lettera O, è invece un’illustrazione sintetica di che cosa è l’alchimia. La scena illustra l’angelo che guida Tobia, il Tobia biblico, nel ritorno verso casa, dove con il fiele del pesce guarirà la cecità del padre. Tobia è raffigurato un po’ più giovane che nell’episodio biblico, è un bambino (vedremo alla fine il perché di questa piccola figura di puer), e il pesce è un simbolo dai molti significati, ma qui sta chiaramente per il "farmaco’’. Dunque l’alchimia perché? Per ottenere il farmaco, non ‘un’ farmaco, ma ‘il’ farmaco, il rimedio universale. L’angelo è il segno della rivelazione, cioè indica che questo sapere alchemico è appunto un sapere dalle caratteristiche particolari. Il francescano inginocchiato, a sinistra, che ammira questa scena con devozione, è un’immagine di Raimondo Lullo. Raimondo Lullo che non fu mai veramente francescano ma si accostò all’ordine francescano e ne divenne terziario qui è raffigurato con il saio, e quindi mostra l’alchimista nella veste di un francescano, di un francescano probabilmente eremita perché il paesaggio è un paesaggio della campagna. Tutte le scene sono sullo sfondo di un paesaggio di questo genere, un paesaggio toscano, poiché Gerolamo da Cremona, l’illustratore, lavorava fra Firenze e Perugia.
Il francescano alchimista indica anche un’altra cosa, e cioè il coinvolgimento di questo ordine nell’alchimia. In verità entrambi gli ordini mendicanti, e anche vasti settori della chiesa, si interessarono all’alchimia.

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Figura 2

Ma i francescani, soprattutto i francescani spirituali – cioè appartenenti a quella corrente che voleva conservare la più rigorosa adesione alla povertà e che accolgono idee tardo-gioachimite - sembrano particolarmente interessati alla ricerca alchemica dell’elixir. Ci sono molti nomi di francescani associati, leggendariamente o no, alla ricerca alchemica.
Passando alla seconda immagine vediamo, sempre sullo sfondo del solito paesaggio, la fonte del sapere dell’alchimista: il raggio, l’illuminazione divina che viene dall’alto in risposta a un chiaro atteggiamento di preghiera (Figura 2). Dunque la devozione come atteggiamento che permette di ricevere un sapere che, per quanto si definisca filosofico, percorre vie diverse da quelle della filosofia aristotelica.
Come ho già detto, il sapere dell’alchimista, la metodologia che l’alchimista segue per ottenere il suo prodotto, è una metodologia che lo mette in una relazione non violenta e di collaborazione e di interazione con la natura e quindi la prossima serie di immagini vogliono proprio far vedere alcuni aspetti di questo sapere.

La terza immagine simboleggia l’opus alchemico nel suo complesso (Figura 3). Opus è un termine che propriamente si traduce con l’italiano "operazione", ma perde il suo sapore; e quindi il processo alchemico si continua in genere a definire con il termine latino. L’opus alchemico viene qui illustrato con l’esempio dell’agricoltura. Il parallelo fra l’alchimia e l’agricoltura è presente in alcuni testi alchemici e, prima che in essi, negli scritti di Ruggero Bacone, un filosofo del ‘200 appartenente all’ordine francescano, che propose al papa Clemente IV un progetto di riforma della cristianità incentrato sulla sapienza alchemica, sull’astrologia e sulla scientia experimentalis in genere.

Figura 3

Il paragone alchimia/agricoltura è raffigurato con i due buoi che tirano l’aratro; l’eremita appare nella veste dell’agricoltore che prepara i solchi. I due buoi sono uno d’oro e uno d’argento, vera foglia d’oro e vera foglia d’argento ovviamente nella miniatura (il manoscritto è una meraviglia). E il piccolo personaggio che sta sopra il carro è Mercurio, con i piedi alati e con uno strumento musicale. È una delle prime testimonianze del legame fra l’alchimia e la musica, che poi sarà sviluppato soprattutto in età barocca. Probabilmente qui è un’allusione al fatto che l’alchimia si inserisce in una visione del mondo basata sull’armonia, la visione del mondo che noi conosciamo come dottrina della ‘simpatia universale’, quella cioè per cui in un cosmo che è sostanzialmente unitario le cose si collegano fra loro non in maniera meccanica, ma per influssi qualitativi, per somiglianze, per affinità - appunto simpatie.
Di fatto questa è una dottrina ermetica e l’ermetismo, ovvero la filosofia che fa capo alla figura mitica di Mercurio è lo sfondo filosofico dell’alchimia. La Tabula Smaragdina, testo ellenistico che gli alchimisti considerano come il fondamento del loro sapere, si narrava fosse stata ritrovata incisa in una tavola di smeraldo che la statua di Ermete reggeva nelle mani, in un luogo sotterraneo - quindi ritrovata al termine di un percorso iniziatico. Questo testo comincia dicendo "ciò che è in alto è come ciò che è in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto per realizzare il miracolo della realtà che è una". E quindi Ermete è presentato come il capostipite, il padre, l’origine della sapienza alchemica.
L’alchimista, che nell’immagine precedente preparava la terra, ora la semina con semi d’oro e d’argento, come d’oro e d’argento erano i due buoi che tiravano il carro (Figura 4). Questi sono i semi della perfezione, e l’immagine sta a significare che l’alchimista non lavora in maniera innaturale o contro natura, ma prende ciò che già esiste a livello di perfezione embrionale, appunto di seme, per portare a perfezione anche tutto il resto della realtà materiale, che i processi naturali hanno lasciato imperfetto o incompiuto. Per poter compiere ciò è necessario produrre un qualcosa, il famoso lapis philosophorum, che non è una pietra, anche se il suo nome significa ‘pietra dei filosofi’’.

Figura 4

Come dice Morieno, un alchimista arabo il cui testo fu il primo tradotto in latino nel XII secolo, "Ricordati bene che le pietre non hanno nessuna parte in quest’opera". Quindi lapis philosophorum è un nome emblematico per dire il prodotto incorruttibile dell’opus (anche chiamato elixir), prodotto che è ottenuto seminando la perfezione, che è come il frutto di perfezione che diffonde la perfezione, moltiplicandosi e rendendo perfetto tutto ciò con cui viene in contatto.
L’interazione fra l’alchimista e la natura non è dunque uno stravolgimento o un intervento estrinseco sul corso naturale, ma è l’inserimento dell’intenzionalità cosciente umana, che vuole portare alla perfezione totale l’intero cursus naturae che, come dice il nostro alchimista nel Testamentum, talvolta si distorce, cioè devia dalla originaria direzione verso la perfezione. Questa direzione viene recuperata attraverso l’intenzionalità umana, la coscienza: ecco dunque l’alchimista come ‘seminatore’. Ma l’immagine del seminare è anche un’immagine che può passare dalla metafora agricola a quella sessuale: e, come vedremo, c’è uno sviluppo di questo tema. L’interazione fra l’alchimista e la natura, visualizzata come immagine femminile divina, viene ad essere pensata in termini nuziali, nei termini della coniunctio. Su questo torneremo più avanti.


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