Michela Pereira
LA SAPIENZA ALCHEMICA FRA IMMAGINARIO E FILOSOFIA
Sono una studiosa
dellalchimia medioevale. Mi occupo professionalmente di storia della filosofia
medioevale e il mio campo dunque è una parte, un settore, un periodo di questa tradizione
che, come lintroduzione di Mugnai ha mostrato, è molto ampia, multiforme e che
favorisce approcci diversi, che quasi direi - stimola la presa di posizione
soggettiva dello studioso, della studiosa che laffronta, tanto che io avevo scelto
come motto per un mio libro sullargomento una frase di Carl Gustav Jung che dice
"loggettività scientifica è il manto con cui loccidente vela a se
stesso il proprio cuore". Dunque non voglio presentarvi una visione
oggettiva dellalchimia, ma quello che io ho trovato dentro a questa
sapienza.
Un altro grande psicologo del profondo del nostro tempo, James Hillman, scriveva una
ventina di anni fa: "noi pecchiamo contro limmaginazione ogni volta che
interroghiamo unimmagine per conoscerne il significato pretendendo che le immagini
siano tradotte in concetti". Tradurre immagine in concetti è una buona
definizione per il lavoro filosofico soprattutto è una buona definizione della filosofia
del tempo in cui lalchimia ha conosciuto, nella nostra civiltà occidentale, il
momento della sua massima fioritura: il Medioevo.
Nelletà scolastica i filosofi, quelli ufficiali, quelli che stanno nei
manuali di filosofia, definivano la filosofia come la astrazione delle verità
universali dimostrabili che formavano il nucleo della dimostrazione, dalle immagini
mentali, da quelli che loro chiamava noi fantasmi. Dunque definivano la
filosofia come un abbandonare il campo delle immagini per approdare al campo
delluniversale. Ora, anche gli alchimisti si definivano filosofi ma, come vedremo,
intendevano questa definizione in senso molto diverso dai filosofi della Scolastica. Gli
alchimisti cominciano a lasciare traccia di sé nella nostra cultura medioevale a partire
dal XII secolo, quando i primi testi tradotti in latino dallarabo introducono
nelloccidente un sapere che viene recepito come novitas. Dallarabo al
latino si traducono in quellepoca molti testi filosofici e scientifici, e quando si
traduce per esempio - un testo astronomico o astrologico si può risalire ad auctoritates
delletà classica per collocare questo sapere. Quando si traducono testi medici,
anche lì ci sono autori della tarda antichità che hanno costituito il solco di una
tradizione. Quando si traducono invece testi alchemici, arriva qualcosa che è
assolutamente nuovo, qualcosa che è assolutamente inedito per quella cultura, per
quellepoca. Ma, appunto, questo qualcosa è definito, dagli autori che ne scrivono,
filosofia.
Gli alchimisti dunque si definiscono
filosofi ma, diversamente dai filosofi scolastici, non vogliono astrarre
luniversale dallimmagine, non vogliono abbandonare il sostrato materiale
dellimmagine. Si può prendere come motto degli alchimisti una frase che ricorre
spesso nei testi dellelixir, quelli che appunto allinizio del 300, come
vedremo in seguito, sembrano riportare alla luce il significato più primitivo e più
pieno del sapere alchemico. In molti di questi testi ricorre una frase che in latino dice
"Accipe nigrum nigrius nigro" (prendi quella cosa oscura che è più
oscura dello scuro). È lalchimista maestro che spiega al suo discepolo, perché
il sapere alchemico si trasmette in una iniziazione, in un contatto diretto, familiare fra
il maestro e il discepolo, e il suo discorso concerne la materia prima, il segreto
centrale dellalchimia, il cui mistero e la cui indeterminatezza sono qualcosa che
non può essere tradotto in concetti. Eppure lo stesso alchimista, che insegna a partire
da questa oscurità più oscura dello scuro, si definisce filosofo. La materia prima non
può essere detta, non può essere definita, non può essere ridotta in parole che
esprimono concetti o appunto una definizione precisa, ma deve essere indicata attraverso
un paradosso per poter essere comunicata; può solo essere mostrata, eppure si deve
insegnare a raggiungerla, a lavorarla: la conoscenza della materia prima deve essere
veicolata da un linguaggio che però non può essere il linguaggio della astrazione.
Lalchimia dunque non è una scienza dimostrativa, come invece la filosofia si
propone e riesce ad essere, in età scolastica. Linsegnamento alchemico è
comunicazione di una sapienza che si apprende attraverso unesperienza multiforme, il
cui scopo iniziale è quello di mettere in contatto con il substrato materiale della
realtà, ed il cui scopo finale è quello di dare a questo substrato materiale della
realtà la massima perfezione. Lincorruttibilità, appunto, di cui loro è un
simbolo ed è anche una realizzazione concreta ma parziale. Questa esperienza non esclude
lesperienza intellettuale vera e propria, ma la ingloba insieme ad altri tipi di
esperienza.
Gli alchimisti insegnano ai loro discepoli a documentarsi
sui libri, a leggere, anzi a leggere molto perché un libro ne apre un altro, un libro
dice le cose che nellaltro sono rimaste nascoste. Ma insegnano anche ad abbandonare
i libri nel momento in cui non servono, nel momento in cui bisogna tacere e osservare
quello che fa il maestro, nel momento in cui bisogna raccogliersi e aspettare
lilluminazione. Insegnano a non limitarsi semplicemente a leggere i libri facilmente
disponibili, ma ad andarli a cercare, in una ricerca che è un viaggio, spesso figurato ma
spesso anche no. Un alchimista della metà del 300, Leonardo di Maurperg, ha
lasciato un vero e proprio taccuino dei suoi viaggi, degli incontri che ha fatto, delle
ricette che ha imparato dalluno, dei segreti che ha appreso dallaltro e dunque
ci racconta quasi dal vivo quello che effettivamente era un coinvolgimento del corpo, un
coinvolgimento non solo intellettuale, in questa ricerca. Quindi la ricerca, il
viaggio, lincontro casuale: tanti racconti alchemici narrano proprio della scintilla
che scocca, quando uno che va alla ricerca incontra laltro che sa - ma non sapeva
dove era laltro che sapeva, lo incontra quasi per caso, lo riconosce.
Lo riconosce perché, dice un altro trattato, il Libellus de alchimia attribuito ad
Alberto Magno, gli alchimisti dovunque siano si riconoscono fra loro, e se ce ne sono due
o tre in una grande città, si troveranno e cominceranno a conversare fra loro. Quindi
lincontro; e poi la devozione dellapprendista al maestro e anche
laffinamento etico, e infine lilluminazione che può venire direttamente da
Dio o può venire attraverso le parole del maestro: sono tutti modi, un mosaico di
modalità con cui gli alchimisti entrano in possesso, o si potrebbe anche dire che vengono
posseduti, da una sapienza che non rinuncia a voler includere la materialità del reale.
Dunque la conoscenza alchemica non astrae il concetto dal fantasma, ma ne riconosce
lirriducibilità a parole: eppure si dichiara filosofia.
Per non
far torto a questo carattere dellalchimia, non riducibile, appunto, a parole (per
quanto possano essere non rigorosamente astratte o concettuali), ho scelto di costruire
questa mia conversazione con laiuto di una serie di immagini. Questa scelta è anche
legata al fatto che, come ho già anticipato, ritengo che un momento cruciale nella storia
dellalchimia sia il passaggio fra il 200 e il 300; perché in questo
sapere, che i latini avevano ricevuto dagli arabi e nel quale dapprima avevano soltanto
confusamente creduto di riconoscere una specie di super-metallurgia, larte di fare
loro dai metalli vili (e questo si mantiene vero per tutti i testi del 200),
in esso a un certo punto - per una serie di influssi interni e forse anche esterni - gli
alchimisti occidentali cominciano a riscoprire quello che è il senso più complessivo
dellalchimia.
Lalchimia arriva così ad essere compresa come ricerca della perfezione materiale
non solo dei metalli, ma anche del corpo umano: quindi una ricerca di perfezione che
coinvolge lo stesso artefice, in prima persona, e anche una ricerca di perfezione che non
può prescindere da un affinamento etico e dunque da una crescita spirituale
dallinizio alla fine di questa ricerca. Questo complesso di idee lo riconosciamo nei
testi del primo 300, e in particolare in quei testi dedicati alla ricerca
dellelixir, molti dei quali sono stati tramandati sotto il nome di un filosofo che
si chiamava Raimondo Lullo, una filosofo catalano contemporaneo di Dante, che di per sé
non aveva scritto niente di alchimia, anche se nelle sue opere si vede che era al corrente
dellesistenza di essa, ma anzi è diffidente nei suoi confronti. E tuttavia si cominciano a scrivere dei testi, attribuendoli a lui,
che hanno, rispetto ai testi precedenti e rispetto a tutta la successiva tradizione
dellalchimia post quattrocentesca, una caratteristica estremamente interessante.
Vogliono infatti chiaramente mettere in comunicazione questo sapere che nasce dal fare, da
questa ricerca di un opus che produca un agente di perfezione, con il sapere
filosofico del loro tempo.
Il più importante, il primo di questi testi si chiama Testamentum, ed è un
esempio di questo tentativo di collegare questi due piani. Usa il linguaggio dei filosofi
per dire cose che un filosofo non potrebbe mai dire, per esempio che "il vero
temperamento, il vero equilibrio degli elementi lo si ottiene attraverso
unoperazione manuale". Un filosofo scolastico non avrebbe mai pensato che
loperazione manuale fosse una via di accesso alla filosofia: al massimo
loperazione manuale aveva una sua dignità come attività utile allumanità,
ma non una dignità filosofica. Invece lalchimista dice proprio questo. Allora, ecco
i testi dellelixir, i testi attribuiti a Raimondo Lullo come momento nel quale io
vedo confluire tutti i temi dellalchimia in una formulazione particolarmente
rilevante perché cerca il dialogo con il resto del mondo, con il resto della vita
intellettuale del suo tempo. In seguito il rifiuto dellistituzione universitaria, il
rifiuto del sapere ufficiale, a confrontarsi con questo sapere alchemico, cioè ad
includerlo nel novero delle discipline legittime - cioè insegnabili -, indurrà gli
alchimisti a richiudersi in un ambito, sempre più ristretto, ad occultare il proprio
sapere che come dice Gilbert Durand, è occulto, per noi, perché è stato
occultato, in quel momento storico.
Dellalchimia pseudo-lulliana, attribuita cioè a Raimondo Lullo, esistono
molti manoscritti, uno dei quali, conservato nella Biblioteca Nazionale di Firenze, è un
documento splendido. È un manoscritto della fine del 400, che però riporta testi
sullelixir scritti nel secolo precedente, un manoscritto probabilmente confezionato
per un medico, poiché sono molti in quellepoca i medici che hanno interesse per
lalchimia fra il 300 e il 400; è comunque chiaramente un manoscritto
commissionato da una persona molto danarosa e contiene una serie di miniature , dipinte
dal celebre miniaturista Gerardo da Cremona, che accompagnano i testi. Queste miniature
stanno, in genere, nei capilettera iniziali dei testi; quindi hanno una funzione
esornativa, ma anche visualizzano dei motivi che sono, in questi testi, motivi centrali.
Ecco allora perché ho scelto questa serie di miniature. Non ho portato tutte le miniature
contenute in questo manoscritto, ma una scelta che ho ritenuto particolarmente
significativa.