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Artemide
e Dioniso sono le figure mitiche "forestali" del mondo greco.
Artemide, descritta come vergine, indifferente, crudele, inaccessibile, a volte
invisibile, è anche dea della nascita, madre e allo stesso tempo personificazione della
natura selvaggia, essenza della foresta che dà vita ai suoi elementi. Artemide è
cacciatrice - lei che insegue le fiere col suo seguito di ninfe - e allo stesso tempo
protettrice delle sue prede: in opposizione all'ordine e alla logica che l'uomo si sforza
di dare a ogni manifestazione del reale, Artemide è la figura che più di ogni altra
rappresenta la molteplicità della foresta, il luogo per eccellenza in cui sembrano
ritrovare unità gli elementi che la ragione umana è abituata a separare.
Il suo fratellastro Dioniso, invece, rappresenta l'elemento di contatto col mondo umano:
è sfrenato e dissoluto, ama il vino ed è pura espressione di benessere fisico e di gioia
di vivere. Le forze primigenie della foresta lo animano di una energia vitale di cui egli
è il messaggero presso gli uomini.
Secondo il mito, Dioniso fu nutrito e allevato dalle ninfe per volontà del padre e trovò
nelle selve la sua dimora, dove si aggirava cinto di edera e di alloro, a sua volta
seguìto da un corteo di ninfe. In questo aggirarsi per i boschi con un corteggio di
divinità minori, così come nel fatto di essere allo stesso tempo cacciatore e protettore
di animali selvatici, esiste sicuramente un elemento di contatto fra Artemide e il suo
fratellastro.
Le Baccanti (3) di Euripide
ci presentano Dioniso come un dio che viene a separare ciò che la legge civile tiene
unito, a creare caos dove c'è ordine, a far accettare all'uomo, in un insieme
inquietante, ciò che nella vita civile egli abitualmente distingue nelle categorie del
bene e del male. Nei suoi cortei, a cui partecipano le ninfe Amadriadi e i satiri, il
piacere non si presenta né con la maschera del bene né con quella del male, ma con
quella della totalità.
Che la figura di Dioniso porti con sé elementi trasgressivi, lo conferma il fatto che le
donne tebane - secondo quanto riporta Euripide nella sua tragedia - vengono sconvolte dal
suo arrivo, che al pari di un terremoto mette a soqquadro l'ordinamento sociale e le leggi
della città: è come se con lui arrivasse la follia. Le donne fuggono e si ritirano nelle
foreste, avvolgenosi in pelli di daino e cingendosi il capo con fronde di quercia e di
edera, mentre i serpenti si attorcigliano ai loro corpi e i cuccioli di animali selvatici
succhiano il latte dalle loro mammelle. E quando esse agitano i loro fallici bastoni e
iniziano una danza sfrenata, cantando e invocando il dio, tutte le creature della foresta
vengono contagiate dal clima di ebbrezza.
Ma il tema centrale della tragedia di Euripide è un altro, cioè l'uccisione da parte di
una di queste donne, Agave, del figlio Panteo che si oppone al culto del nuovo dio. Il
dramma si consuma quando egli va a spiare un rito nascondendosi sugli alberi e viene
scambiato, dalla madre in pieno furore dionisiaco, per un leone.
Dioniso si propone quindi come elemento di massima trasgressione, al punto da minare
l'istituzione che sta alle fondamenta della società, la famiglia (4).
Al di là dei riferimenti sessuali, è evidente che il culto di Dioniso porta in sé
l'erotismo di ciò che è veicolo di elementi di novità: il "nuovo" da sempre
è depositario di un livello energetico devastante, come se possedesse una carica
esplosiva capace di far saltare in aria qualsiasi legge e convenzione. La percezione di
qualcosa del genere, al di là del "nuovo" omologato dalle mode, è possibile
soprattutto nei rari momenti in cui l'uomo avverte la sensazione di essere fuso con la
natura che lo circonda, come se la Memoria dei Tempi lo avvolgesse in una sorta di
incantesimo: come se, animato dal dio dell'eros, andasse in qualche selva misteriosa a
fare il pieno di energia, restituendola poi amplificata agli elementi selvatici, in una
sorta di interscambio in cui le risorse crescono, invece di esaurirsi.
Un episodio della vita di S. Francesco, non si sa fino a che punto reale o
romanzato, è esemplificativo: nella foresta casentinese della Verna in cui il santo si
era appartato in preghiera, è ancora possibile fare un percorso lungo un sentiero fino ad
arrivare al "masso di fra' Lupo", un dente di roccia che si stacca dal massiccio
e che sta sospeso a precipizio alcune centinaia di metri al di sopra della vallata. In
questa foresta - dice la leggenda - si incontrarono il santo e il bandito, Francesco e
Fra' Lupo, personaggi antitetici come rappresentazione del bene e del male ma accomunati
dall'emarginazione, in altre parole dal fatto di vivere in quelle che Harrison ha definito
le ombre della civiltà. E' così che il bandito Lupo, il quale rapiva i benestanti della
zona e poi li nascondeva sul suo masso fino a che non fosse pagato il riscatto, dopo avere
incontrato Francesco che andava lì a parlare con Dio, decise di convertirsi e di
percorrere sentieri migliori.
Non si sa bene come sia andata in realtà, e questa non è una novità per gli avvenimenti
che riguardano la vita del Santo di Assisi; però è suggestivo pensare che il bandito -
ombra della legge - possa essersi convertito dopo avere incontrato il santo - ombra della
religione .
Le foreste, insomma, sono piene di ombre, e andando a cercare meglio si possono incontrare
anche quelle delleros. E siccome - parafrasando Jung - "lombra è tanto
più nera e densa" (6)
quanto più è scomoda, ecco che le ombre delleros furono particolarmente dense in
epoca vittoriana.
Le ombre dell'epoca vittoriana
John Fowles, ne "La donna del tenente francese" (7) descrive con poche, efficaci immagini l'epoca vittoriana:
Che cos'era l'ottocento? Un'epoca nella quale la donna era sacra, e si poteva comprare una ragazza di tredici anni per poche sterline, o pochi scellini se la si voleva soltanto per un'ora o due. Nella quale si costruirono più chiese che in tutta la precedente storia del paese, e a Londra una casa su sessanta era un bordello (la proporzione moderna sarebbe pressappoco una su seimila). Nella quale la santità del matrimonio (e della castità prematrimoniale) era esaltata da ogni pulpito, in tutti gli editoriali e nei pubblici comizi, e grandi personaggi pubblici - dal futuro re in giù - conducevano una vita assolutamente scandalosa... Nella quale il corpo femminile era più che mai celato agli occhi indiscreti, e i meriti degli scultori erano valutati in base alla loro capacità di scolpire donne nude. Nella quale non esiste un romanzo, una commedia o una poesia di un certo livello letterario che si spinga oltre la sensualità di un bacio... mentre la produzione di opere pornografiche raggiungeva un livello mai superato... nella quale si sosteneva all'unanimità che le donne non hanno orgasmo, e si insegnava a ogni prostituta come simularlo. Nella quale ci furono progressi enormi in tutti gli altri settori dell'attività umana, e soltanto tirannide nel più personale e fondamentale.
L'epoca in cui regnò la regina Vittoria, caratterizzata da grandi successi
militari e da una notevole espansione coloniale, fu a dir poco contraddittoria. Durante il
suo regno l'Inghilterra divenne la nazione più ricca e potente del mondo, ma anche il
paese degli abissi sociali: alle riforme e alla prosperità si accompagnava una spaventosa
miseria, tanto che nei quartieri operai la gente viveva in condizioni ai limiti della
decenza e i bambini erano costretti a lavorare fino a diciotto ore al giorno.
In quellepoca dai grandi contrasti così difficili da accettare, a conciliare il
tutto intervenne la comoda ipocrisia, accompagnata dal suo fedele compagno, il moralismo:
ne scaturì una repressione che, curiosamente, accomunò la donna e la natura.