LIMMAGINE E LICONA
Allinizio del secolo, la famosa affermazione di Freud lIo non è padrone in casa propria, riapre un capitolo che pareva definitivamente chiuso nella storia evolutiva del soggetto occidentale.
Fino a quel momento, infatti, sembrava che prima il cogito cartesiano, poi il secolo dei lumi, avessero liberato una volta per tutte luomo dalla dipendenza da dogmi metafisici e dalla prigionia di un determinismo che limitava la libertà e lautonomia del soggetto. Non più figlio del Padre, costretto a sua immagine e somiglianza, luomo delletà moderna aveva rotto risolutamente le catene che lo legavano ad una struttura opprimente e finalmente padrone di sé stesso e del proprio avvenire, aveva costruito autonomamente la propria identità, fondandola su nuove basi razionali e materiali, cioè visibili e tangibi-li. Ed invece, proprio nel pieno affermarsi e consolidarsi del processo di secolarizzazione nella società occidentale, la proposizione freudiana spalanca al soggetto lenormità di un abisso interiore a lui sconosciuto, nelle cui profondità si agitano forze di grande potenza, alla cui dispotica influenza lIo, ignaro, soggiace. Una nuova potenza, anchessa invisibile, che esercita la propria forza condizionante appunto perché nascosta, in ombra, celata alla vista di un Io cieco, inconscio di una estesa parte di se stesso. Il soggetto, che si credeva libero da ogni dipendenza esterna e trascendente, scopre una nuova forma di dipendenza, questa volta interna.
LIo non è padrone in casa propria.Non è padrone, dice Freud, perché ha rimosso componenti sgradite ma essenziali della personalità, le quali allora esercitano il loro potere dal territorio oscuro dellEs, cioè fuori dalla vista e dal controllo dellIo.
Lavere individuato nella rimozione, nella cecità dellIo, la causa principale della genesi di questo stato conflittuale della personalità condusse allelaborazione di un metodo, quello psicoanalitico appunto, che, attraverso lintegrazione alla coscienza dei contenuti inconsci, consentisse di restituire al soggetto la sua libertà e autonomia. Ove era lEs, ivi sarà lIo, è unaltra proposizione freudiana che sintetizza lorientamento della metodologia psicanalitica la quale si proponeva, attraverso lelaborazione e la comprensione del linguaggio simbolico delle manifestazioni psichiche inconsce, di illuminare porzioni sempre più vaste dellEs aggregandone i contenuti al campo visibile della coscienza, fino ad esautorare la zona dombra. Un primo, potremmo dire, titanico ma ingenuo compito, ben presto sostituito dal progetto, più realistico e corretto, di ristabilire un rapporto dinamico di scambio, fra la coscienza e linconscio, che almeno ne riducesse la contrapposizione e consentisse un certo dialogo fra le parti.
In tutti i casi la condizione preliminare, comune alla tendenza analitica generale, consisteva e consiste nellilluminare lombra, rendere visibile linvisibile, conscio ciò che è inconscio, svelare il mistero celato allinterno del soggetto, ancora una volta turbato dallesistenza e dalle manifestazioni di qualcosa che lo trascende e che sfugge al suo controllo.
In questo processo di svelamento, che si attua attraverso lesame e lelaborazione dei prodotti dellattività inconscia, acquistano un rilievo particolare le immagini psichiche. Il lavoro analitico si gioca tutto attorno allimmagine; è attraverso la comprensione del linguaggio oscuro dellimmagine che il soggetto può entrare in rapporto diretto con i contenuti potenziali della psiche inconscia che si manifestano con immagini, oniriche, fantastiche, o gestuali che siano.
Per Jung, limmagine è psiche, tout court. Intendendo sottolineare con questa affermazione limportanza vitale dellattività immaginativa, cioè della funzione simbolica dellinconscio, che per Jung non riveste affatto un carattere meramente poetico o astratto, cioè importante ma tutto sommato marginale per leconomia globale dellindividuo. Al contrario, la funzione simbolica, in quanto principale espressione dellattività creativa rappresenta una funzione fondamentale per il soggetto proprio nellestrema concretezza del suo processo di adattamento alla realtà.
Questo, comè noto, è un punto cruciale della ricerca di Jung: per lui linconscio non è solo la terra di esilio di contenuti inadeguati e di residui pulsionionali obsoleti e ormai incompatibili, bensì è la fonte primaria, la madre delle energie e il luogo transpersonale dove si svolgono quei processi di trasformazione creativa che consentono allindividuo di trascendere i limiti del proprio Io ed arricchire la personalità di modalità inedite adeguate a fronteggiare le mutevoli esigenze della realtà.
La funzione trascendente della psiche, come la definisce Jung, è la facoltà creativa transpersonale dellindividuo, rappresenta cioè la sua capacità di elaborazione creativa in un processo di trasformazione che coinvolge tutto il suo essere, sia conscio che inconscio, e si esprime attraverso le immagini.
Linconscio non è solo un perturbante da ricondurre alla normalità o una scomoda presenza con la quale addivenire a compromessi più o meno soddisfacenti, bensì, nella prospettiva junghiana, quella parte dellindividuo che contiene in sé le potenzialità e le possibilità di sviluppo della personalità. In assenza di una adeguata correlazione fra lIo e linconscio non è possibile, per Jung, nessuna vera trasformazione della personalità, nessuna crescita individuale e collettiva. LIo scisso dalle sua radici inconsce è incapace di autentici rinnovamenti, è in grado solo di replicare con varianti puramente meccaniche la struttura già esistente.
Limmagine simbolica quindi non è mero segno, segnale che sta al posto di un altro significato rimosso ma già esistente; il simbolo è, per Jung, la migliore forma di espressione di qualcosa la cui complessità è tale da non poter essere interamente e immediatamente afferrata dalla coscienza; limmagine simbolica è la migliore forma possibile di rappresentazione attraverso la quale un tutto si manifesta e può quindi essere percepito, intuito, ma non compreso fino in fondo da quella parte del tutto che è lIo, la componente conscia della psiche.
In questa prospettiva cambia radicalmente anche il modo di porsi nei confronti delle immagini, le quali non vengono più semplicemente ridotte ad una presunta logica nascosta, celata sotto le mentite spoglie, ad esempio, dellimmagine onirica. Per Jung le immagini sono un punto di partenza e non di arrivo, e vanno semmai elaborate nel senso dellamplificazione dei possibili significati che suscitano nel soggetto, senza uccidere la loro vitalità attraverso linterpretazione, cioè astenendosi dal risolvere il mistero che le accompagna.
La psicologia archetipica di Hillmann radicalizza ancor più questo aspetto della metodologia junghiana: le immagini ... sono la psiche stessa nella sua visibilità immaginativa; in quanto dato primario, limmagine è irriducibile.
Latteggiamento dellIo deve quindi tendere ad aderire il più possibile allimmagine così comè, senza alterarne i termini, neppure nel senso dellamplificazione che rappresenta comunque un tentativo di concettualizzazione del simbolo. Per Hillmann, un vero incontro fra la coscienza e linconscio non può avvenire che attraverso la partecipazione attiva dellIo alla messa in scena dellimmagine; lIo immaginale hillmaniano si muove come uno, non lunico né il protagonista, degli attori sulla scena della psiche, ed il suo compito non è diverso da quello svolto dalle altre istanze psichiche, cioè immaginare creativamente, foggiare immagini, fare anima. Fare anima non significa affatto rifugiarsi in un astratto fantasticare, al contrario radicarsi nel mondo e assumere le cose del mondo in quanto valle dellanima, luogo del fare anima, cioè della realizzazione dellimma-ginare attraverso attività concrete; realizzazione peraltro indissolubilmente legata alla visione immaginale del mondo, una visione cioè che deletteralizzi la realtà, che veda in trasparenza oltre il livello puramente esteriore della realtà, alla ricerca dellanima mundi, di ciò che le cose hanno da dire alla nostra anima.
Sia in Jung che in Hillmann è comunque fondamentale il riconoscimento delle qualità creative e transpersonali dei processi inconsci, qualità determinate soprattutto dalla capacità di trascendere i limiti dellIo; il soggetto, acquisita la consapevolezza di una tale presenza non può più ignorarla e di conseguenza è chiamato, se vuole trasformare la propria situazione conflittuale, a cambiare il punto di vista, e a rivolgersi verso i processi interiori e le manifestazioni della psiche con un atteggiamento che ambedue gli autori non esitano a definire religioso: per Jung ... nessuno guarisce veramente se non raggiunge un atteggiamento religioso..., cioè quel rispetto e quell... osservanza accurata e scrupolosa ... che è dovuta a qualcuno o qualcosa, unenergia, una potenza, che viene percepita come attiva e autonoma, transpersonale, indipendente dalla volontà del soggetto, il quale inoltre riconosce in essa il proprio fondamento, la propria origine vitale.
Per Jung, lo sradicamento dellIo dalla propria base pulsionale, la scissione dalla matrice psichica, si è verificata ad un certo momento del lungo e graduale processo di differenziazione della coscienza dalloriginario magma caotico e indifferenziato delle immagini dellinconscio: la coscienza individuale e lIo che ne rappresenta il nucleo centrale si è costituita, secondo Jung, attraverso un lento e progressivo processo di differenziazione, con la costituzione, in illo tempore, di un primo labile campo cosciente, cioè una zona della psiche dentro la quale alcune immagini riuscivano a mantenere una certa continuità.
Col passare del tempo questa zona si è allargata e consolidata diversificandosi sempre più nettamente dalla incessante sarabanda delle mutazioni, ma ad un certo punto, che Jung indica coincidere col periodo illuministico, lautonomia dellIo è diventata tale da fargli recidere o meglio da fargli disconoscere il legame libidico con linconscio, dichiararsi lunico creatore di se stesso e intraprendere risolutamente la direzione verticale ipertrofica, negando la madre e, come abbiamo visto allinizio, liberandosi allo stesso tempo dal giogo del padre. Rimozione del padre, cioè occultamento e quindi cecità; lipertrofia rende lIo cieco e parziale, ne accentua gli atteggiamenti miopi, specialistici, provocando il ricorso a strumenti di ingrandimento sempre più potenti e perciò parcellizzati, riducendo nel contempo drasticamente la capacità di visione globale. Vengono a mancare il senso, lorientamento del procedere e la percezione di appartenenza, di essere parte armonica di qualcosa di più grande, di avere uno scopo, un progetto che non sia solo contingente.
Potremmo dire che lo sviluppo ipertrofico dellIo nella società occidentale, somiglia molto a quello di un adolescente che rimane fissato alla prima, peraltro necessaria fase conflittuale con i genitori e, invece di procedere oltre verso una vera autonomia con la creazione di una inedita immagine di sé, continua a definire la propria identità solo per contrapposizione, contro la propria tradizione, rimanendo senza saperlo ancor più dipendente di prima.
Incapace di vera autonomia, lIo ipertrofico non riesce a sopportare il peso dellangoscia esistenziale e, avendo rescisso le proprie radici, non può ricorrere né alleros della madre, né alla tutela del padre. Se i figli dellorda primitiva, nella famosa immagine freudiana, furono costretti ad abreagire il senso di colpa per luccisione del padre-despota ricorrendo alla ritualizzazione, così il soggetto della società occidentale secolarizzata tenta di sopperire allangoscia del proprio sradicamento con un continuo acting-out, tentando cioè ossessivamente di restaurare nelloggetto, cioè fuori di sé, quella solidità e quella sicurezza, quegli assoluti, che non riesce a ritrovare al proprio interno.
Indubbiamente la ricerca e la pratica psicanalitica in generale, sottraendo lIo al suo isolamento, ripristinando il collegamento con linconscio e restituendo al soggetto gli strumenti simbolici necessari alla comunicazione con le istanze della psiche, hanno portato (naturalmente nei limiti del loro limitato campo dazione) un contributo essenziale per la trasformazione di un orientamento responsabile di enormi danni per la salute psichica individuale e collettiva.
Ma riguardo alla duplice rimozione di madre e di padre di cui abbiamo parlato, potremmo dire che la psicologia analitica e la psicologia archetipica hanno agevolato principalmente la riconciliazione con luniverso simbolico della madre, fermandosi, per così dire, sulla soglia di quello paterno, penalizzato forse dal carattere maschile, principale imputato proprio dello sviluppo unilaterale delloccidente. È evidente infatti, che se il primo passo per avviarsi sul cammino dellindividuazione consiste nellaccorgersi della presenza di un abisso interiore, il secondo è sicuramente quello di liberare lanima che in quellabisso era stata imprigionata, di permettere allanelito delleros e al suo infinito desiderio di unione di fluire liberamente e permeare di rinnovata energia le cose del mondo, inaridite dallatteggiamento unilaterale dellIo. Il recupero delluniverso simbolico materno e la liberazione dellanima consentono allindividuo di sperimentare tutta la potenza salutare del simbolo che raggiunge la sua più alta espressione creativa nelle immagini delle arti e dellestetica. Jung e Hillmann non oltrepassano i confini di una visione antropologica della psiche, visione oltremodo vasta e salutare ma iscritta comunque allinterno di un orizzonte di finitudine. Per riproporre ancora la metafora genitoriale, potremmo dire che siamo tornati alla madre, ma non ancora al padre. Dice Armido Rizzi: Se luomo fosse e fosse soltanto lintreccio di natura e cultura che vive nel perimetro di corpo e linguaggio, allora il simbolo potrebbe esserne lespressione radicale e insieme suprema, genesi e finalità, origine e compimento. Ma se dentro quel perimetro è piantato un centro che ad esso non appartiene, se sul corpo e sul linguaggio è issato un cuore in quellaccezione biblica che vi ravvisa la libertà come decisione per il bene allora luomo trascende il simbolo, non può essere ultimativamente definito come animale simbolico, né trovare nel simbolo la propria definitiva verità esistenziale. (...) Il simbolo è come lhumus della libertà: sua condizione di base, non sua essenza.
Luomo trascende il simbolo: certo non lIo, ma neppure lantrophos, che è contenuto dal simbolo. Esiste una ulteriore possibilità di trasformazione verso lautonomia, per lindividuo che abbia recuperato pienamente il rapporto con lanima, possibilità che Armido Rizzi definisce passaggio dal desiderio alla realtà, e che noi potremmo chiamare anche passaggio dalla vista alla visione o, appunto, dallimmagine allicona. Abbiamo descritto lIo ipertrofico impegnato nel vano tentativo di compensare langoscia esistenziale, causata dal suo sradicamento, attraverso la restaurazione ossessiva di assoluti nelloggetto, sintomo evidente dellincapacità di sopportare lassenza di quello stesso assoluto precedentemente rimosso perché castrante, cioè il padre. LIo ipertrofico è come un adolescente che rivendica a gran voce la propria autonomia ed è invece assolutamente incapace di stare da solo. È un figliol prodigo mancato che non ha il coraggio di sacrificarsi, di sacrificare il falso orgoglio e quindi non può tornare dal padre (che naturalmente non significa regredire ad una condizione subalterna, ma al contrario ritrovare dentro di sé il proprio senso di appartenenza, il proprio essere re-sponsabili di se stessi).
Le immagini di un sogno ci sembrano particolarmente adeguate ad approfondire proprio largomento di questo particolare sacrificio: allinizio del sogno il sognatore ( un uomo maturo, nel pieno del suo percorso di individuazione) risale la corrente di un fiume fino alla sorgente, proprio come i salmoni; poi si trova allinterno di una immensa caverna primordiale, luminosa, immerso fino alle caviglie in unacqua limpida e calma che ricopre il fondo. Con lui cé sua madre, che ha un neonato in braccio, e lo protende, lo offre come in sacrificio ad un granchio colossale che sta di fronte: il granchio con la chela cava un occhio al neonato. Tutta loperazione si svolge senza spargimento di sangue né turbamenti di altro genere.
Letimologia aiuta nella comprensione del simbolo dellocchio: orbo, dal latino orbum e dal greco orphanòs, non significa semplicemente privo della vista, ma in epoca classica indicava appunto lorfano di padre, colui che era stato privato della vista, della visione del padre. I salmoni, comè noto, ritornano nel luogo di origine percorrendo centinaia se non migliaia di chilometri al solo scopo di deporre le uova e poi morire, la loro capacità creativa è indissolubilmente legata al sacrificio di sé. Il sognatore, evidentemente di fronte ad una svolta cruciale della sua vita, sacrifica alla madre primordiale locchio/uovo, saldando il debito col materno: la sua nuova identità (il neonato) sarà lorfano, il privo del padre.
Non può non venire in mente che il cristianesimo nasce proprio sullesperienza dolorosa della perdita, dellassenza della visione del padre, reiterata più volte dagli episodi chiave dei vangeli: prima dal grido dellultima disperata resistenza del Cristo alla trasformazione: perché mi hai abbandonato?. Poi dalla perdita della vita del Cristo, seguita dalla perdita del suo corpo, perdita talmente insostenibile per gli apostoli da dover essere stemperata da alcune apparizioni. Lepisodio di Tommaso chiude la sequenza, con lapostolo che resiste fino allultimo, continua a preferire la dipendenza dal padre reale, la vista oggettiva, la carne allincarnazione, allintegrazione interiore: tu hai creduto perché hai visto, beato chi crede senza vedere. Questa lindicazione del cristianesimo, religione sicuramente fra le più esperte in fatto di discendenza paterna.
Per trovare veramente se stessi, per individuarsi, cioè per trovare finalmente la realtà, lo scopo esistenziale, non è sufficiente recuperare il rapporto con luniverso simbolico della madre. È necessario anche tornare dal padre e, per poter fare ciò, bisogna arrendersi alla sua volontà, sacrificare totalmente la velleità dellIo, accettare senza riserve la propria condizione di orfani: lorbita vuota, ottenuta con il sacrificio dellorgano della vista oggettivante, della proiezione allesterno, diventa allora lorgano della ricezione interiore, la ferita aperta sullinfinito attraverso la quale irrompe il trascendente che penetra nel profondo e rivela la vera identità individuale, luomo nascosto nel fondo del cuore.
Dice Von Balthasar: Succede sempre di nuovo: non potere, lottare, ma invano, per arrivare a Dio; poi, quando si è stanchi, proprio allora, in questa stanchezza, in questo fallimento venire a sapere e sperimentare che Dio è in noi. La stanchezza come il soffio (...) in cui è Dio. Come potrebbe una debolezza essere un impedimento? Arrenditi dunque.
Attraverso questa resa incondizionata che apre allestremo la ricettività, lindividuo, come il figliol prodigo, ritorna dal padre, cioè entra in rapporto con luniverso simbolico del padre, e oltre, con la parola del padre che, come dicono le scritture, è parola di verità e di vita; rapporto che attiva nuove possibilit di comportamento, atteggiamenti inediti, poco frequenti nella gamma delle modalità junghiane e hillmaniane, e totalmente assenti dalla natura: la preghiera, la compassione, la carità. Nel ritorno del figliol prodigo possiamo vedere questi comportamenti in atto: ... MíalzerÚ, e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non son più degno desser chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi garzoni. E, alzatosi, andò da suo padre. E mentre era ancora lontano, suo padre lo scorse e mosso a compassione, gli corse incontro e gli si gettò al collo e lo baciò... La preghiera (intesa nel suo senso di oratio e non della paetitio), che scaturisce dalla coscienza del proprio essere carente, fa ritrovare al figlio la strada del ritorno. Ritorno che non è un semplice ripensamento, così come lallontanamento non fu solo un errore, ma un processo di differenziazione necessario alla costituzione di una nuova e più ampia consapevolezza della propria responsabilità, della responsa, della risposta individuale alla proposta del padre. Padre che gli corre incontro, appena lo vede, da lontano, prima ancora di udire la preghiera; il ritorno del figlio è già la preghiera, è il segnale che, quasi in una sequenza di causa-effetto, provoca la compassione del padre, perché è il segno del sacrificio dellIo, è il segno che lIo è ora disposto allabbraccio e allunione col padre, è aperto allirruzione dellamore del padre, che era lì ad aspettarlo, che non aspettava altro che di poterlo amare. La preghiera è il nuovo atteggiamento che apre lindividuo alla relazione col padre, è un inchinarsi dellIo che nasce, per così dire, quando tace lanelito incessante dellanima; la preghiera è la via che conduce a quel tempio interiore dove vertice e abisso coincidono, a quel luogo dove allindividuo si rivela lorientamento fondamentale e più autentico della propria esistenza, la sua vera identità, luomo nascosto nel fondo del cuore. Dice S. Agostino: Luomo è il suo cuore, è il suo amore.
La preghiera, come oratio, come offerta di sé, rappresenta un particolare atteggiamento simbolico che assicura la comunicazione col padre; i monaci ortodossi praticano una forma di preghiera continua, che consiste nella ripetizione incessante di una semplice frase, chiamata preghiera del cuore, una forma di relazione permanente.
Anche le immagini simboliche si trasformano rispetto alle espressioni meramente artistiche e culturali: larte sacra, la tradizione iconografica, che culmina nellicona ortodossa, è una forma di rappresentazione che si sottrae sia alla mimesi dellarte profana, cioè alla rappresentazione estetizzante della realtà, che tende complessivamente allaccentuazione del significante a detrimento del significato, sia alla scomposizione radicale della realtà, alla disperata ricerca del pre-formale dellarte astratta, che tende al puro segno, illimitato, certo, ma irraggiungibile, avulso piuttosto che ulteriore. Dice Evdokimov: La crisi attuale dellarte non è estetica ma religiosa. Essa deriva da una perdita progressiva del senso del sacro e del suo simbolismo. (... non si tratta di raccontare la storia sacra, dillustrarla, ma di attingere (attraverso limmagine) il mistero del disegno di Dio; si tratta di scegliere tra il realismo naturalista, lastrazione semiotica e il realismo simbolico dellicona..
Licona si oppone alla separazione di carne e spirito ed ha invece come unico obbiettivo lincarnazione, levocazione della presenza, la partecipazione al mistero. Per Evdokimov L'icona, col suo carattere sacramentale, rompe il triangolo (lartista, la sua opera, gli spettatori, in cui si situa ogni opera puramente artistica) e il suo immanentismo. Essa si afferma indipendente dallartista e dallo spettatore, e suscita non lemozione ma lavvento di un quarto elemento in rapporto al triangolo: lavvento del trascendente, di cui attesta la presenza. (...) Fusione di principi artistici e religiosi ... licona è un punto di irruzione del trascendente nellimmanenza della carne. Licona vive di questa presenza, ma è il contrario di un idolo: rapisce lo sguardo ma non lo arresta, non lo imprigiona nelloggetto, lo trasporta direttamente allarchetipo, svolgendo appieno la sua funzione simbolica: Chi vede me vede il Padre; nelle parole del Cristo si ribadisce la centralità dellincarnazione come condizione della visione del Padre. Lumano è afferrato nella sua funzione iconografica: immagine visibile dellinvisibile.
Carlo Alberto Cicali - Dario Squilloni
Centro Icone Fiesole (Fi)
Comunicazione tenuta nellambito del convegno "Il vertice e l'abisso"
Firenze 29-30 Ottobre 1994.