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Il Gruppo di Firenze di Psicologia Analitica

 

Dopo la morte di Bernhard nel 1965, affiorarono subitole prime divergenze dovute alla scomparsa del padre simbolico che in vita era riuscito con la sua forte personalità a tenere uniti i vari membri ed a smorzare i contrasti e le opposizioni teoriche interne al gruppo. Le complesse tematiche e le ambivalenze non furono elaborate e sviluppate sufficientemente dai suoi allievi come tema d'ombra, e non fu utilizzato l'aspetto creativo del contrasto. Tali divergenze condussero quindi alla prima scissione nel 1966 e alla conseguente formazione della società analitica CIPA (Centro Italiano di Psicologia Analitica), formatasi attorno alle figure di Mario Moreno e Mario Trevi.l2
E' da notare che, dopo la scomparsa di Bernhard, fino al 1968 i due successivi presidenti dell'AIPA furono i fiorentini Iandelli e Draghi,13 i quali lavoravano e operavano a Firenze dove avevano iniziato a sperimentare un nuovo tipo di didattica formativa con colleghi e allievi. Firenze divenne così, di fatto, un centro di aggregazione di psicologi e studiosi. Tuttavia non si poteva ancora parlare dell'esistenza del Gruppo di Firenze, ma soltanto di membri fiorentini attivi, iscritti all'AIPA. Durante il mandato dei due presidenti fiorentini si tennero a Firenze alcune riunioni del Direttivo AIPA, fu questa probabilmente una precondizione per la genesi di un gruppo di psicologi analisti a Firenze.
Iandelli e Draghi intanto presentavano a Roma un loro progetto delineato già in quelle linee di tendenza originali, che caratterizzeranno i concetti di Autonomia Policentrica e Didattica a Spazio Aperto degli anni successivi. Tuttavia tali progetti non furono accolti e discussi, malgrado l'autorità di presidenza dei due proponenti. Progetti che furono ripresentati in seguito come diritto di minoranza, del quale più estesamente parleremo in seguito. Ma intanto, nel 1968, veniva fondato a Firenze un Centro di studi umani e psicologici a nome "E. Bernhard,,. Questo Centro pubblicò tre documenti e i firmatari che si possono considerare un piccolo primo nucleo fiorentino, anche se non ufficiale, erano:
Maria Teresa Colonna, Francesco Donfrancesco, Gianfranco Draghi, Carlo Luigi Iandelli, Giancarla Innocenti, Giuseppe Maffei, Piernicola Marasco, Silvana Radogna e Mario Santini.l4
I documenti del Centro, inviati a Roma, non ottennero risposta. In un secondo tempo giunsero a Firenze alcune lettere della vedova Bernhard che lamentava l'utilizzo del nome del marito senza una autorizzazione, ed esprimeva la sua preoccupazione che il Centro fiorentino potesse in qualche modo infrangere l'unità dell'Associazione analitica. I fiorentini accolsero la richiesta di abolire dalla sigla del Centro il nome di Bernhard mantenendo tuttavia salda quella loro aggregazione indipendente che, di lì a poco, avrebbe condotto alla costituzione formale del Gruppo di Psicologia Analitica di Firenze.
Probabilmente i fatti ufficiali che sancirono la vera costituzione di questo Gruppo furono la proposta dell'Autonomia Policentrica con' la conseguente decisione e scelta di presentarsi come gruppo rispetto all'Associazione Italiana e poi in seguito, l'uscita del primo libro de l'Individuale nel 1971, "Una psicologia per la liberazione,,.
II libro, dedicato ad Ernst Bernhard, vedeva infatti come sottotitolo: "Contributi del Gruppo di Firenze di Psicologia Analitica,,. I firmatari del testo, che possiamo prendere storicamente come il primo nucleo fondatore del Gruppo di Firenze furono: Maria Teresa Colonna, Francesco Donfrancesco, Gianfranco Draghi, Carlo L. Iandelli, Giancarla Innocenti, Giuseppe Maffei, Rossana Mannini, Piernicola Marasco, Giovanni Pedrazzi, Silvana Radogna, Mario Santini, Anna Stefani, Silvana Montagni, Maya Stoppa, Enrico Zaccagnini.

Questo elenco non era più composto, come quello precedente del Centro Studi, da ordinari e candidati dell'AIPA, ma comprendeva altri analisti, allievi del Gruppo di Firenze, cresciuti in una formazione professionale indipendente da quella di Roma. Si apriva quindi decisamente una fase successiva e storicamente diversa.
Nell'estate 1970 l'AIPA dichiarò di avere preso atto che il gruppo fiorentino si muoveva sulla base dell'Autonomia Policentrica. Aggiunse però che questa sperimentazione teorica non aveva mai ricevuto una ratifica ufficiale tramite votazione e che era stata sempre solo considerata un gentlemen's agreement e come tale comunicata per conoscenza all'Associazione Internazionale. Pertanto il Comitato Direttivo dell'AIPA, rifacendosi allo Statuto e al regolamento professionale, dichiarava che non sussisteva da parte del Gruppo di Firenze la possibilità di operare sulla base dell'Autonomia Policentrica, in quanto incompatibile con lo statuto.
Iniziano da questo momento, le divergenze più forti fra il Gruppo di Firenze e l'Associazione Italiana. L'AIPA che aveva precedentemente tollerato, come accordo fra gentiluomini, l'autonomia dei fiorentini, comincia a non vedere chiaro nel loro operato e chiede sempre più pressantemente spiegazioni e delucidazioni. Non ci è possibile, per mancanza di documenti ricostruire i fatti dell'anno immediatamente seguente, cioè il 1971, ma un dato sicuramente indicativo di come i rapporti fra i due gruppi erano andati sempre più gradatamente deteriorandosi e delle scelte del nucleo fiorentino, è indicato dalla pubblicazione del primo libro de L'Individuale di cui si è già fatto cenno.

Con questo documento infatti, il Gruppo di Firenze, oltre a presentarsi compatto ed in linea con le proprie idee, espose apertamente le proprie divergenze con l'Associazione Italiana. Anche se i Fiorentini si costituirono come gruppo di Psicologia Analitica a sé stante, e con regole proprie, la loro formazione difficilmente potrà essere considerata una vera scissione dall'AIPA. Le ragioni sono svariate, alcune evidenti, altre insite nella linea di tendenza specifica del Gruppo di Firenze. Innanzi tutto i membri iscritti regolarmente all'AIPA non si dimisero, ma rimasero membri effettivi dell'Associazione Italiana anche se contemporaneamente membri del Gruppo di Firenze; essi operarono indipendentemente dall'AIPA, assumendosi la responsabilità della formazione degli allievi. D'altra parte l'AIPA non espulse i fiorentini dimostrando così senso di equilibrio e desiderio di prendere tempo.
Paradossalmente, l'indipendenza di operato del Gruppo di Firenze, lo stare dentro e fuori l'AIPA, era un ponderato tentativo di evitare altre scissioni. Bernhard stesso, il 7 agosto 1964 annotava nel suo diario:
"II problema che tanto mi occupa da circa due settimane è il problema dell'aver ragione individuale. Penso che debba essere un errore primitivo considerare che due o più opinioni di persone diverse nei confronti di una presa di posizione personale si escludano a vicenda, o, per dir meglio e più brevemente, che due persone che riguardo al loro rapporto sostengono opinioni diverse e secondo esse vivono, non possano avere ambedue ragione, e che i loro opposti punti di vista si escludano necessariamente l'un l'altro".15
II Gruppo di Firenze di Psicologia Analitica nacque quindi non da una scissione ma per gemmazione; non negava dunque gli assunti teoretici dell'Associazione romana, anzi li valorizzava proprio nella loro specificità dinamica, in senso psichico, cogliendo tutte le possibilità di espressione e sviluppo implicite nel messaggio junghiano. La struttura dell'AIPA era ritenuta dai fiorentini troppo centralizzata e portante una immagine del potere francamente verticistica. Essa poteva risultare limitativa per l'espressività psicologica degli aderenti in quanto singoli e portati - per la stessa visione della vita in senso junghiano - a vivere il processo di individuazione come realizzazione della soggettività.
Vi era divergenza fra Firenze e Roma sul proporre l'immagine dello psicoterapeuta: da una parte si tendeva a conferire più libertà di sperimentazione e autonomia, mentre dall'altra veniva riconfermata la prudenza e l'adesione allo statuto. Affiorava insomma il tema psichico del confronto individuo-società e soggetto-struttura collettiva. Altresì, mentre Firenze proponeva il superamento del modello associativo, che riteneva rigido, malgrado le buone intenzioni di innovazioni, i colleghi di Roma vedevano la situazione come un dissidio archetipico fra padre e madre (il paterno agito a Roma, il materno agito a Firenze) che veniva a riflettersi sui figli - i singoli - i quali producevano non una funzione trascendente bensì un evitamento scissionistico. L'AIPA chiedeva di riportare la questione all'interno dell'associazione, senza per altro offrire garanzie nel senso di favorire uno sviluppo dialettico della situazione. In realtà ci sembra - a tanta distanza di tempo - di poter dire che i due poli si irrigidirono nella propria posizione escludendo l'integrazione, appunto, delle funzioni genitoriali ravvisate nell'archetipo emerso dopo la scomparsa di Bernhard. Se il Gruppo di Firenze si radicalizzò nella dimensione materna lasciando via libera a un puer edipico, l'Associazione italiana non seppe evitare l'inchiodamento al ruolo paterno superegoico ed alla autoidentificazione ad una immagine di autorità da difendere col sacrificio delle componenti e delle istanze individuali.16
Per oltre un anno ci fu un intenso scambio di documenti, prese di posizione, mediazioni tentate e possibilità di avvicinamento. Questo, fino al 31 marzo 1973, data in cui fu tenuta a Firenze, a Villa La Massa una assemblea partecipatoria fra i componenti dell'AIPA e il Gruppo di Firenze. Questo tipo di assemblea fu detto appunto partecipatoria perché il Gruppo ottenne dall'Associazione Italiana l'autorizzazione a far partecipare all'Assemblea non solo membri ordinari del Gruppo di Firenze e candidati dell'AIPA, ma anche tutti gli allievi fiorentini non ufficialmente riconosciuti ma già facenti parte del Gruppo fiorentino. Purtroppo, al di là dell'apparente reciproca buona intenzione di dialogo, si rivelarono irriducibili sia le controversie statutarie, sia le rigidità ermeneutiche della situazione teorica.17

Che questo episodio sia stato determinante ai fini dello sviluppo successivo degli eventi, non si fa fatica a crederlo. I rapporti fra l'Associazione Italiana e il Gruppo di Firenze, furono da allora in poi praticamente inesistenti.
In un documento dell'aprile 1973, inviato dal Gruppo di Firenze all'Associazione Internazionale e che si riferiva all'incontro di Villa La Massa, appaiono come firmatari quei nomi che vanno a costituire un ulteriore aggiornamento dei membri del Gruppo: Silvana Ancellotti, Giovanni Castellano, Carlo Alberto Cicali, Maria Teresa Colonna, Giovanni Dinelli, Francesco Donfrancesco, Gianfranco Draghi, Luciano Gallo, Carlo Luigi Iandelli, Giancarla Innocenti, Enzo Macchioni, Giuseppe Maffei, Rossana Mannini, Piernicola Marasco, Giovanni Pedrazzi, Silvana Radogna, Mario Santini, Roberto Sicuteri, Anna Stefani Montagni, Maja Stoppa Von Liebl, Enzo Tayar, Teresa Torrini, Enrico Zaccagnini.
Ancora, il 25 novembre successivo, veniva inviata a Roma una lettera a firma di Piernicola Marasco a nome del Gruppo. In essa veniva chiarito che il Gruppo di Firenze - pur avendo già un certo numero di analisti o candidati da segnalare alla Commissione di Allenamento Professionale dell'AIPA - rinunziava a chiedere il riconoscimento formale dei medesimi da parte dell'Associazione, per non aggravare la già forte tensione esistente, in quanto uno fra i maggiori motivi di dissenso, riguardava proprio la divergenza di orientamento sulla formazione dei candidati e sul significato da attribuire all'analisi didattica.
"Questa nostra decisione" - prosegue Marasco - "si colloca e si giustifica nella nostra intenzione di ricercare continuamente, nonostante tutto ciò che è stato ed è, una forma di dialogo con l'associazione cui apparteniamo". Secondo Marasco, la storia del dissidio tra il Gruppo di Firenze e i vari comitati AIPA succedutisi, non era solo da interpretare, come da più parti è stato fatto, come un tentativo di dissolvere l'Associazione con una scissione dettata da contenuti teorici incompatibili, ma poteva anche essere letta come un contributo trasparente e leale alla instaurazione di un dialogo interno fra singoli membri o gruppi, allo scopo di evitare la staticità teorica. La lettera, ripercorrendo le tappe significative della elaborazione teorica dei fiorentini, ripresentava i punti salienti del contenzioso apertosi con L'AIPA.
Veniva ricordata la decisione di Roma di far decadere la sperimentazione dell'Autonomia Policentrica prima che il tempo, concesso dall'Associazione stessa, fosse regolarmente scaduto. Tale motu proprio impediva un dibattito e un confronto fra i gruppi opposti e solo tale legittima sede poteva essere adatta a decidere o meno sulla sospensione o prosecuzione dell'esperienza fiorentina.
Altresì veniva messo in evidenza un punto significativo: l'esperienza del Gruppo di Firenze traeva fondamento da alcune immagini inconscio-coscienti di uomo-analista, intorno e sulle quali, ruotava la linea di sviluppo individuale e di gruppo, esprimendosi nei più diversi momenti organizzativi e comportamenti pratici. Di conseguenza - proseguiva il testo di Marasco – il senso o il non senso del comportamento del Gruppo doveva essere più correttamente interpretato, rapportandolo al substrato emotivo-simbolico di tale condotta, senza escludere persino la significativa carica archetipica intrinseca alle immagini portanti. Invece vi era stata una interpretazione in base a schemi teorico-pratici già in uso e collaudati, che escludevano il fondamento endopsichico specifico della sperimentazione fiorentina. Era opportuno perciò ribadire che questa esperienza poteva essere letta soltanto attraverso la comprensione delle immagini. "Tali immagini erano l'origine e lo spunto della nostra esperienza, la cui consapevolezza ne rappresenta la meta. Tali immagini alludono ad un diverso rapporto analista-paziente, didatta-candidato, analista-collettivo junghiano, suggeriscono nuovi modelli associativi analitici e prospettano un rapporto analista-collettivo culturale, diverso da quello attuale con conseguente spostamento di accenti sulla funzione sociale dell'analista". Era d'altra parte necessario considerare che simili contenuti inconsci e immagini archetipiche, costituenti una complessa e delicata esperienza formativa, non potevano certo essere comunicati, semplicemente, in una Assemblea Generale dato il suo carattere qualitativo e numerico inidoneo a oggettivare o quanto meno riconoscere simili contenuti. Miglior sede - specificava la lettera - sarebbe stata una serie di incontri di gruppi delle due parti, con un limitato numero di delegati, così da evitare che le riunioni operative fossero sommerse da un intuibile psichismo di gruppo.
Tale lettera non ebbe tuttavia alcuna risposta ed essa rimase - in senso assoluto - l'ultima testimonianza dei rapporti intercorsi fra le due parti; e possiamo stabilire a questa data l'interruzione dei medesimi, fra il Gruppo di Firenze e L'AIPA.