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Lo spirito e l’ombra
Jung interprete di Nietzche

Mario Pezzella

1. Nel suo lungo commento allo Zarathustra di Nietzche, Jung restituisce al termine "spirito"un significato che era caduto in oblio nello sviluppo della metafisica occidentale. Ancora nel pensiero di Klages -a cui Jung fa spesso riferimento- "spirito"è la potenza d'astrazione dell'intelletto, la forza ostile al divenire metamorfico dell'anima, una pura negazione dell'esperienza vitale: "Il filosofo tedesco Klages è un grande nemico dello spirito: egli accusa lo spirito di soffocare la vita, di uccidere e dissanguare la vita, e in una certa misura ciò è del tutto vero. Se lo spirito domina contro il corpo, allora vi è distruzione; allora possiede un potere infernale". Di fronte alla intollerabile labilità del divenire, lo spirito pone limiti, confini, identità. Ogni giudizio è un atto di potere che afferma identità ed essere, di contro all'incessante mutare. Ma, così facendo, lo spirito irrigidisce la mobilità delle emozioni e delle immagini, che caratterizzano la vita dell'anima e la pongono in relazione armonica con la natura. Nato con la pretesa di sospendere l'angoscia della dissoluzione e della morte, lo spirito finisce per inaridire le fonti stesse dell'esistenza: "Lo spirito, in sè e per sè estraneo all'imagine, si impadronisce a poco a poco del lato diurno della vita", e confina l'anima nella latenza notturna dell'inconscio.
Questa concezione riflette solo la figura indebolita e depotenziata dello spirito, quando la costellazione simbolica del cristianesimo tende a dissolversi e ogni presenza del divino sembra ritrarsi dalla storia, contrarsi in una muta profondità. Jung cerca invece di rammemorare il significato più antico del termine, la sua potenza mitica originaria. In tal senso, non è affatto vero che lo spirito appartenga per intero al lato diurno della vita, alla coscienza o all'Io: esso trae invece la sua forza proprio dal fondo oscuro dell'anima, dalla sua violenza emozionale e inquietante. Lo spirito originario del cristianesimo sorge da una travolgente commozione psichica e fisica, che dissolve le leggi dell'autoconservazione e il principio di realtà. Solo lentamente questa irruenza eversiva e illimitante assume il volto impassibile della ragione strumentale. Questa è, per così dire, il residuo materiale, l'ombra profana di una potenza numinosa che attirò irresistibilmente a sè ogni aspetto dell'esistenza.

2. Già i mitologi romantici, soprattutto Creuzer e Görres, avevano posto in rapporto lo spirito del cristianesimo col pathos arcaico delle religioni naturali. Certo, il cristianesimo lo depura dai suoi aspetti fisiologici, trasfigura l'ebbrezza e l'orgiasmo dei culti più antichi nell'effusione mistica dell'interiorità. La tensione a superare la propria individuazione non si rivolge più al grembo della natura madre, ma alla "luce oscura"che attira nel fondo stesso dell'anima. L'abisso illimitato non si trova più nella natura esterna, ma è divenuto interiore. Nell'intimo dell'uomo, nel fondo del suo spirito, è discesa la scintilla divina che trascende il suo essere mondano e lo accende di un amore infinito. I caratteri del pathos più antico sopravvivono trasfigurati, elevati ad una superiore intensità. L'amore dello spirito rompe i confini di ogni forma, sospende il diritto familiare e pubblico, destituisce ogni religione statale e positiva.

Già i culti misterici del mondo pagano prefiguravano il passaggio dalle religioni naturali al pathos interiore del cristianesimo. Essi "avrebbero rappresentato la custodia di quell'originaria rivelazione del divino che, da questo primigenio stato naturale, sarebbe poi trapassata alla religione cristiana come religione spirituale". In tal senso, lo spirito del cristianesimo è l'affinamento -e non la negazione- del principio "orientale", illimitante, delle religioni misteriche e si oppone invece radicalmente al culto ufficiale olimpico. Questa forza violenta e incontenibile porta -secondo Jung- al "culmine della vita" , è "un'esperienza peculiare, che ha insieme contenuti intellettuali e mentali, ed emozioni - è un'intensa consapevolezza unita all'emozione". Questi termini descrivono l'esperienza cristiana dello spirito, che eccede in ogni senso l'inerzia e l'aridità in cui era caduta la religione degli déi olimpici.La sua potenza numinosa è tesa fra intelletto ed emozione, luce e oscurità, e tuttavia è costituita dalla loro polarità. Di per sè, lo spirito non è intellettualistico e astratto, come sembra credere Klages. Ancora nel cristianesimo originario, il Pneuma non è una negazione ma una trasfigurazione della corporeità: "Il corpo o sarx, è per S. Paolo il corpo grezzo, biologico, fisiologico, il corpo corruttibile; ma egli parla anche del corpo incorruttibile che noi assumiamo grazie a Cristo, perchè Cristo è in un certo senso l'anima o il pneuma, il corpo incorruttibile al di là dello spazio e del tempo".
L'azione insieme dissolvente e vivificante dell'archetipo dello spirito, era pienamente giustificata dallo svuotamento interno delle costellazioni mitiche pagane. Il mondo degli dèi olimpici era divenuto oggetto di un culto esclusivamente "positivo": e cioè interamente rinchiuso nell'immanenza dello stato e del cosmo, caratterizzato dal rispetto eccessivo ed unilaterale della forma, del limite, della legge. Il soffio dionisiaco del cristianesimo agisce come un solvente su queste forme cristallizzate e riattiva le forze psichiche che in esse restavano soffocate. L'eccessivo asservimento al principio del limite, che impediva ogni metamorfosi della vita, si rovescia nel suo opposto, in una enantiodromia("corsa nell'opposto", traduce Jung), che esalta al contrario l'illimitata libertà di fronte ai legami del mondo esterno: ". . . Il processo cristiano esige infatti la completa abolizione del legame sensuale con l'oggetto o, più esattamente vuole il sacrificio della funzione tenuta sino a quel momento nel massimo conto, del bene più caro, dell'istinto più forte. . . Sotto l'aspetto psicologico, esso tende a introdurre attraverso la rescissione di vecchi legami nuove possibilità di sviluppo per lo spirito"(T. P. 21).

3. L'opera di Nietzche riattualizza -secondo Jung- l'intera potenza archetipica dello spirito, al di fuori di ogni religione positiva e di ogni forma dogmatica riconosciuta. Questo corpo a corpo, se così si può dire, tra un io isolato e la forza sovrapersonale che emerge dal fondo della sua anima, non è privo di pericoli. Il rischio maggiore è quello di un'inflazione, ovvero di una identificazione totale del soggetto con la potenza numinosa. L'interpretazione di Jung sembra guidata da una strategia difensiva: occorre confrontarsi con le potenze profonde che nell'opera di Nietzche risalgono alla luce del giorno, e tuttavia respingere ogni immedesimazione con esse. Nietzche stesso, come Hölderlin, come Silesio, non ha invece potuto resistere alla loro estrema intensità. L'insonnia, di cui egli soffriva, appare quasi come un riflesso fisiologico della sua identificazione con lo spirito:"Il fatto che Nietzsche fosse senza sonno, si può spiegare con questa intensità, questo eccesso di luce, e la sua identificazione con Zarathustra. . . ". Una "passione antinotturna" domina la configurazione cristiana dello spirito che in Nietzsche risorge un'ultima volta, con estrema violenza. Contrapponendosi alle forme positive del cristianesimo, egli riattualizza tuttavia alcuni dei suoi caratteri originari, come la passione e il martirio della veglia, l'attenzione incessante e incondizionata: ogni cellula del corpo e dell'anima tende a cogliere l'occasione irripetibile, il kairos della salvezza, che potrebbe irrompere dalla porta dell'attimo. Il sonno ci consegna invece, per così dire, al peso inerziale della materia.

Un simile pathos ci è divenuto, per la verità, quasi incomprensibile. Siamo poco propensi a considerare "eccessiva"la luce e il desiderio di ascesa e di purificazione dello spirito. Ad ogni patologia, ad ogni deviazione o perversità, attribuiamo volentieri una direzione verso il basso, un'immagine di "caduta". Ammettiamo, senza troppa difficoltà, che si possa cadere nelle tenebre, che si possa precipitare nella sragione: ma ci è divenuto difficile concepire un pericolo che possa derivare da troppa dedizione alla luce e alla verità, da una tensione oltreumana verso un mondo ideale. Eppure questa hybris è per Jung un carattere originario della nostra cultura e Nietzsche ha il merito di averla esposta, per così dire, nella sua essenziale violenza. Nelle forme più pure del protestantesimo, l'incontro con la divinità presuppone la negazione di ogni aspetto finito della creatura e del cosmo. Il soggetto desidera dissolversi completamente nell'Uno: "Il regno è il regno del fuoco. Cristo stesso è fiamma. Ciò è espresso dal miracolo della Pentecoste, quando lo Spirito Santo discende il lingue di fuoco". La forza generativa dello spirito diviene dissolvente se non è temperata dall'ombra e dalla limitazione della materia, se non discende nella sua opacità. Paradossalmente come scrisse Hölderlin, "la mancanza di Dio aiuta": perchè ci induce a percepire e a custodire la differenza della divinità e impedisce l'identificazione demoniaca fra la creatura e il creatore.

In Nietzche, il limite non è rispettato. Il suo Io si immedesima incondizionatamente con la potenza dell'archetipo e se ne attribuisce le qualità: "Egli identifica l'io con il Sè e dunque con l'oltreuomo". Ma il Sè non è affatto un io più potente o dotato di una volontà superiore. Al contrario, esso lascia emergere una presenza sovrapersonale dal fondo dell'anima, che sospende o attenua l'importanza centrale dell'io cosciente: "La giusta prospettiva entro cui comprendere un processo creativo entro di voi è che esso non appartiene al vostro agire. Semplicemente, esso vi prende e vi usa; è una volontà di genere differente dalla vostra". Lo spirito promuove una metamorfosi della psiche che trascende i confini attuali del soggetto e apre la strada a nuove possibilità di vita: non è una proprietà dell'io e neanche una sua figura dialetticamente superiore.
In Nietzsche, l'identificazione del'archetipo con l'io determina una contraddizione che i suoi interpreti, con diverse terminologie, hanno messo in rilievo. Nessuno ha espresso il problema meglio di Giorgio Colli:

"E non importa che Nietzsche frantumi l'unitaria volontà schopenuariana in atomi di volontà di potenza: in ciascuno di questi continua ad annidarsi un frammento di soggetto sostanziale...  Non c'è volontà di potenza senza un soggetto che la sostenga...  Eppure è proprio Nietzsche che aveva distrutto il soggetto".

4. L'ambivalenza e la paradossalità dello spirito costringono l'io a un estremo smarrimento. Nietzsche ha conosciuto e temuto questo attimo di annottamento, in cui il soggetto deve profondamente perdere se stesso e la sua propria volontà, volere in certo senso il proprio nulla, perchè una nuova configurazione della vita ascenda dal fondo indeterminato dei possibili: "I poteri vitali in noi che chiamiamo Dio, sono poteri di rinascita, di eterna metamorfosi. Goethe lo ha compreso: c'è un bel verso del Faust sul regno delle Madri ove ogni cosa è in un continuo stato di rinascita. . . Il regno delle Madri è l'abisso della divinità: è la tenebra di Dio, il deus absconditus, l'auctor rerum, il padre oscuro della creazione". Questa regione oscura e femminile dell'essere è il fondo generativo degli aspetti alti e luminosi dello spirito e non può venire separata da esso senza inaridirne lo slancio. Nietzsche ha cercato di riattualizzare la sua potenza e il suo legame con la terra e col corpo: ma è in fondo rimasto fedele al modello eroico che condiziona la formazione del soggetto occidentale. Le "funzioni inferiori"vanno domate e asservite, l'originarietà della physis è riconosciuta -ma solo perchè con uno sforzo sublime il soggetto riesca ad andare oltre di essa e ad imporre la forza plasmatrice della sua volontà. Negli appunti degli ultimi anni, ogni aspetto dell'essere è scisso su due piani. Dal punto di vista morale, la liberazione dall'etica cristiana è preliminare all'affermazione di un io forte, capace di imporre autonomamente senso, ordine e valore al caos degli impulsi. Dal punto di vista politico, la suprema maestria delle élites consiste nell'imporre ordine e gerarchia alla massa indifferenziata, grazie a un uso sapiente e strumentale della "morale del gregge": "CIT". Il soggetto ricompare infine in forma potenziata e trasfigurata. Ad esso deve in fin dei conti piegarsi la "sapienza della terra", come l'aquila e il serpente si lasciano addomesticare da Zarathustra.

Nell'interpretazione di Jung, l'oltreuomo è la figura in cui si addensano queste contraddizioni. Da un lato, è un'immagine del Sè, di una nuova costellazione di valori, ed esprime il bisogno dell'epoca di trascendere la propria attuale configurazione; dall'altro, prefigura un ulteriore incremento della volontà di potenza del soggetto e non un suo acquietamento. Il Vecchio Saggio è una delle figure con cui l'archetipo dello spirito prende forma nei sogni e nell'iconografia:"Così -dice Jung- il daimon è l'oltreuomo, un qualcosa di più grande dell'uomo, e tuttavia esso sembra essere nell'uomo. Se avete visioni o premonizioni siete tentati di pensare d'essere voi stessi il Vecchio Saggio, e questa è un'inflazione". Di qui deriva l'ossessivo bisogno di purezza e di altezza che in Nietzsche si accompagna, è vero, all'esaltazione del corpo: ma di un corpo glorificato e liberato dalla sua indegnità creaturale, dai mestrui e dall'infermità, sradicato da ogni legame con la madre. L'elemento femminile dell'anima riemerge solo come regressione distruttiva, decompone il soggetto e lo costringe a una trasformazione violenta e non voluta: "Quando disse che Dio era morto, Nietzsche non comprese come questo significasse che lui stesso doveva entrare nella macina, nel vaso alchemico in cui doveva bruciare e trasformarsi". L'interpretazione di Jung si sofferma su una simile ambiguità: Nietzsche ha intuito la profonda metamorfosi simbolica in atto nella sua epoca, ma non ha saputo liberarla interamente dalla figura eroica e idealizzata della soggettività. In un certo senso, ciò ha reso possibile l' utilizzazione della sua opera da parte del nazismo. Per Jung, la mitologia del nazismo rappresenta infatti una reale riattivazione di forze inconsce e primordiali, che però viene ricondotta sotto la mano di ferro dell'eroe dominatore. Le immense forze emotive delle masse vengono insieme liberate nella loro violenza, e poi orientate, ordinate, canalizzate nel progetto totalitario che plasma la loro energia e la volge a suo vantaggio.
Nietzsche avrebbe potuto introdursi in modo meno dissolutivo nel vaso alchemico che ha consumato la sua vita? Talvolta Jung sembra attribuirgli il ruolo del precursore destinato al sacrificio. Nietzsche è colui che "ha dato inizio alla psicologia moderna", ma anche "un sistema assolutamente puro infettato dal veleno dell'oscurità". La violenza della sua scrittura, deformata da una stridula retorica, e insieme aperta all'epifania delle immagini, sembra corrispondere a questa indecisione, per così dire, fisiologica.

 

5. Il tentativo di Nietzsche avviene in un momento in cui la nostra tradizione simbolica sta ritraendosi nel nulla: "Sarebbe facile uscire da una fede conosciuta se un'altra fede fosse subito riconoscibile, ma questa è ignota. Non c'è nulla: vi addentrate in uno spazio vuoto, oscuro, freddo. Non toccate nulla, non vedete nulla, nulla vi incontra; è come un'emigrazione dalla vostra patria in una terra inesplorata e incognita". Questa esperienza nichilistica coincide con lo svuotamento di senso del simbolismo dogmatico cristiano. Tuttavia la sua tensione verso il nulla ha radici remote, e coesiste con la particolare configurazione assunta dall'archetipo dello spirito nell'evo cristiano. Il protestantesimo -che per altro, secondo Jung, è la realizzazione più radicale e conseguente del cristianesimo- ha indebolito ogni rapporto positivo con la natura. Inoltre ha escluso dal processo di individuazione il fondo femminile della psiche, che pure ha un' importanza simbolica decisiva nel messaggio evangelico: "Maria non ha mai fatto parte della Trinità, l'elemento femminile era escluso. Anche lo Spirito Santo. . . è divenuto qualcosa di neutro, un soffio(breath) che crea il Padre e il Figlio, ma non la Madre. . . L'idea che la Madre di dio fosse identica con la Sophia è eretica. Che il principio femminile abbia o no un ruolo, comporta differenze enormi" . Se nel cristianesimo originario, l'elemento femminile -sia pure affinato e sublimato- manteneva un rapporto con la generazione del Verbo, il suo ruolo si attenua progressivamente fin quasi a divenire irriconoscibile. Il pathos infinito per l'interiorità si accentua fino a troncare ogni rapporto fisiologico con la Madre -che già nei Vangeli appariva come un puro ricettacolo di luce incorporea. Il cristianesimo conserva, come s'è detto, il pathos illimitante delle religioni misteriche: lo spiritualizza, ma al contempo lo priva di ogni rapporto con l'ebbrezza orgiastica della physis.

Nel protestantesimo è infine realizzata la concellazione di ogni tratto femminile dall'immagine della divinità. Questo sviluppo unilaterale, secondo la concezione storica di Jung, produce però un movimento in senso inverso, un capovolgimento e una diversa costellazione di valori, una nuova enantiodromia. La concezione occidentale dello spirito ha condotto ad una nuova forma di negatività, a un "distacco della funzione superiore da tutte le altre funzioni". Il pathos verticale e ascendente dell'interiorità condanna le funzioni considerate inferiori a un'esistenza inconscia e scarsamente differenziata.

In Simboli della trasformazione, l'archetipo solare ed eroico dello spirito si contrappone a quello naturalistico e femminile della Madre. Da entrambi i lati, il soggetto è minacciato dalla dissoluzione e dall'illimitato. Quanto più si identifica con l'assoluta luminosità dello spirito, tanto più trascura ogni rapporto positivo con la natura e con la propria corporeità: d'altra parte, queste lo assalgono come un oscuro caos di passioni e di impulsi che lo trascina nell'abisso della regressione. La "via dell'alto"e la "via del basso"divergono in un conflitto tragico che conduce al'indebolimento e allo sgretolamento dell'io.

E' proprio l'aspetto illimitato e numinoso dell'archetipo dello spirito a insidiare chi non sa contenere la sua potente fascinazione: "Angelo Silesio non poteva sopportare questa straordinaria insonnia (wakefulness) dell'idea, questa luce divorante". Essa si distacca da ogni contaminazione con l'ombra della corporeità e dell'immaginario ed esige una veglia incessante, una contemplazione incontaminata. Invece di salvare e raccogliere intorno a sè la natura e i fenomeni, il suo fuoco si leva dalla loro consunzione. La tensione mistica a confluire nell'unità del divino, riducendo al nulla ogni forma, finisce per sottrarre al cosmo ogni autonomo valore. Esso si riduce a inerte materia, disponibile per la ragione strumentale: "Lo spostamento dell'accento sulla relazione personale-spirituale uomo-dio, era. . . non solo progresso(dalla "natura"allo "spirito"), ma anche regresso. . . L'uomo religioso non incontra più Dio fuori di sè, ma solo dentro. Simultaneamente il cosmo perde la sua struttura scalare gerarchica e decade allo stato di "materiale", che, di valore ormai per se stesso inessenziale, vale unicamente come una realtà che si può matematicamente calcolare e sfruttare per l'utile dell'uomo"(Balthasar).

La polarità caratteristica dell'archetipo dello spirito si palesa ora in una sconcertante dissimetria. Il suo pathos emozionale si contrae in una dimensione verticale, in una preghiera che si scorpora nel fondo senza forme della divinità; per contro, la coscienza desta si esercita nel dominio della materia, priva di anima. Al desiderio mistico che si distacca infinitamente dalla natura, corrisponde lo spirito che agisce esclusivamente nell'ambito materiale. Si attua "la progressiva rivelazione dell'esperienza dell'universo come totalità e globalità, e. . . l'apprendimento della mancanza di solidarietà profonda tra questa globalità e Dio, ritiratosi negli "abissi del suo nulla"".

L'assenza di relazioni con l'elemento femminile della psiche, la morte dell'anima mundi e la riduzione della natura a processo meccanico, conducono alla sterilità della stessa concezione cristiana dello spirito. Se da un lato si accresce lo spazio della meditazione interiore in cui avviene l'incontro, al di là di ogni ente, tra il soggetto e la divinità, dall'altro la natura resta semplice oggetto della volontà calcolante: pura scoria negativa nell'itinerario eroico del soggetto. Così è però l'immagine originaria dello spirito a indebolirsi e a svanire. Il suo ardore rivoluzionario e antilegalistico si converte in mezzo ed espressione immanente della volontà di potenza. Fino a questo punto, Jung concorda con la diagnosi nietzschana sul cristianesimo.

6. Se lo spirito, soffrendo fino in fondo il declino della propria potenza, si è ritratto dalle forme positive dei dogmi e dei riti, ciò non coincide tuttavia -per Jung- con la sua morte letterale: l'eremita che Zarathustra incontra all'inizio del suo cammino, è "ciò che rimane dello spirito del cristianesimo ed è in procinto di recedere nella natura. . . "; "lo spirito di un'intera epoca storica recede, svanisce all'interno della natura e allo stesso tempo si rinnova con una nuova figura e un nuovo messaggio". Proprio il fondo ctonio e femminile della natura, escluso dallo sviluppo unilaterale della coscienza, diviene il ricettacolo di una metamorfosi dello spirito, di una sua diversa, possibile configurazione.

Nei termini di Jung, un "dio ignoto"si è ora ritratto nell'inconscio, in una profondità senza forme, in cui però iniziamo ad avvertire una nuova germinazione dell'anima. In primo luogo, essa richiede l'integrazione di ciò che è stato escluso dal processo di individuazione della coscienza. L'alchimia -l'oggetto centrale delle ultime opere di Jung- aveva espresso questa esigenza nel suo desiderio di redimere la scintilla divina coinvolta ed immersa nella materia. Nella costellazione simbolica dell'alchimia, emerge una figura dello spirito che non si contrappone ostilmente alla physis e alla psiche: "Egli è quanto c'è di più buono, di più alto e di più prezioso in potenza. Ma diverrà reale solo unendosi alla luna, corporum mortalium mater(la madre dei corpi mortali). Altrimenti egli è minacciato dal destino del puer aeternus del secondo Faust, che, per tre volte, si dissolve, per così dire, nel fumo".

Una simile aspirazione non evita, tuttavia, l'esperienza dolorosa e necessaria del nulla in cui si dissolve la fede religiosa e ogni saldo fondamento della vita. La sofferenza del nichilismo, la sua nigredo, impedisce ogni consolatoria certezza e ci costringe inizialmente nella mancanza e nella regressione: "Si potrebbe dire che il sole è ora trasformato in anti-sole, un sole che non sta in alto ma in basso, non è luminoso ma oscuro, non va in senso orario ma antiorario".

Se la regressione non è accompagnata da una metamorfosi dell'io, al di là dei suoi presupposti unilaterali, la sua azione si manifesta in patologie dissolutive e in un'aggressione distruttiva da parte dell'inconscio. L'esperienza del nulla si afferma allora in modo letterale, come il non essere della coscienza. Questo esito non è tuttavia inevitabile. Proprio la regressione, riconducendoci al fondo più nascosto della psiche, può sottrarre all'oblio il mondo immaginale dimenticato e negato dalla nostra tradizione culturale, può offrire una chance di salvezza e di soluzione del conflitto in cui siamo immersi. "Dove è pericolo, cresce anche ciò che salva", diceva Hölderlin: l'esperienza del nulla riattiva anche l'immagine del possibile, che coesiste col venir meno e il declino di una civiltà.

La regressione e la depressione che frenano l'ascesa dello spirito non agiscono solo in modo negativo. Decostruendo i fondamenti unilaterali della cultura occidentale, esse riconducono nel fondo generativo dell'anima, e ridestano le potenzialità di altre configurazioni della vita. Questa regione notturna è il mondo virtuale in cui convivono gli archetipi della psiche. Essi attendono di palesarsi alla luce del giorno. Ma le loro manifestazioni non sono mai arbitrarie: è l'insostenibile conflitto in cui è caduta la coscienza desta, è la sua consunzione, a riattivare la potenza di un archetipo prima solo latente: "Un archetipo viene all'esistenza, perchè è il modo consueto e abituale di affrontare una situazione critica". In particolare, l'archetipo dello spirito compare quando si rende necessaria la metamorfosi radicale di una cultura storica, ormai incapace di risolvere le sue interne contraddizioni. ""Quando appare questa figura -dice Jung- essa emerge da un fondo sempre presente; essa è riattivata dal bisogno dell'epoca, dalle situazioni d'emergenza dell'epoca attuale". Proprio l'estrema sofferenza, la nigredo, inseparabile dalla regressione, richiede una nuova "cura"di sè e costringe alla metamorfosi della psiche. La discesa verso il basso, nel mondo potenziale e virtuale degli archetipi, sembra condurre nell'indistinto, ove le forme più contraddittorie si disfano e si intrecciano senza acquisire durata. Il mondo della depressione è un incessante balenìo di albori, che non diventano giorno. Ma solo in questa totale disponibilità dell'anima ad accogliere ogni segno di vita che risorga dal suo fondo, può lentamente addensarsi la nuova figura simbolica che risponde al bisogno del tempo. L'archetipo non è una sostanza immobile, sempre uguale: è la potenza, la matrice virtuale dei simboli che, di volta in volta, si attualizzano nella scena del tempo ed entrano in rapporto con la coscienza desta, alla ricerca di un nuovo orientamento di vita. Jung ricorda spesso l'esperienza del nulla, che è al centro della tradizione mistica indiana: "Brahma è appunto questo, la potenzialità di un mondo -un mondo in sé, forse- ma un mondo di qualità sconosciuta, che ha rapporto col nostro mondo come un punto indivisibile e invisibile. E' un'assoluta potenzialità. . . Brahma è l'esistenza eternamente non esistente (the eternal non-existent existence". Gli archetipi non hanno esistenza nel senso dell'ente, dell'objectum, concepito secondo la tradizione metafisica occidentale. In sè e per sè, l'archetipo è un non figurabile, è la matrice solo potenziale dell'immaginazione. Per questo, è anche un principio di mutabilità e trasformazione rispetto a una tradizione simbolica divenuta priva di vita o a costellazioni mitiche rigide e unilaterali. L'esperienza del fondo archetipico appare come un nulla in cui precipitano i fondamenti noti della coscienza, il mondo che potevamo conoscere in base ad essi, le cose che ci erano divenute familiari: ma riattiva anche il multiversum dei possibili caduti in oblio o esclusi dal linguaggio. La regressione decostruisce l'essere attuale dell'Io, ma è anche la ricerca di una costellazione simbolica, che trascenda il conflitto da cui prima eravamo sommersi. I simboli che emergono in questa notte dell'anima, sono anche anticipazioni rivolte al futuro, a una metamorfosi della coscienza: "La redenzione o la salvezza consiste nel ricondurre indietro il creato al non creato, al non-esistente. . . Ma questo non dev'essere inteso come un non-ente che è pura negazione; il Nirvana è un non ente positivo, che non possiamo rendere nel nostro linguaggio". In modo simile, Hölderlin ha parlato nei suoi frammenti filosofici di un "nulla positivo". Più che slanciarsi verso l'alto, in un progresso sempre più accentuato della potenza dell'Io, cosi come è attualmente costituito, occorre rammemorare le possibilità che nel corso del suo sviluppo sono state escluse o ignorate. Solo riconducendo al nulla la volontà eroica dell'Io e il conflitto insolubile in cui essa ha portato la nostra cultura, un nuovo mondo immaginale può emergere alla luce dell'attualità ed esprimere un diverso orientamento della vita.

La croce, o "il pane e il vino"ricordati da Hölderlin, furono i simboli dello spirito nel momento inaugurale della nostra cultura; ancora non sappiamo quale configurazione emergerà dal suo declino.

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