Dario Squilloni
Vi ringrazio per
questa introduzione che mi permette di evitare una serie di preliminari e alla quale
vorrei riallacciarmi riprendendo il confronto fra alchimia e psicologia, a partire dalla
forte affermazione, enunciata da Michela Pereira la scorsa settimana, la quale ha
giustapposto il percorso alchemico in quanto filosofia, in quanto sedicente
filosofia, alla filosofia scolastica del periodo da lei analizzato.
Dal discorso della Pereira risultava evidente come queste due "filosofie" si
contrapponevano proprio rispetto al lavoro, al lavoro che ciascuna di queste due
metodologie operava. Lavoro eminentemente speculativo quello della filosofia scolastica,
invece opus quello alchemico. Proprio dallopus vorrei partire
premettendo alcuni cenni storici sulla psicanalisi e sul termine "simbolo", che
possono aiutarci a capire come si è generato linteresse di Jung verso
lalchimia.
In piena epoca razionalista Freud è il primo ad accorgersi che le cose non hanno solo il
significato che noi gli attribuiamo. La sua intuizione rappresenta un nuovo, moderno
ritorno alla percezione di uno spessore, di un significato ulteriore nelle cose, negli
eventi, nelle manifestazioni che ci circondano.
Parlando della ricerca psicologica di Freud e Jung, un aspetto importante, che spesso
viene dimenticato, risiede nel fatto che il terreno del quale i due studiosi si occupano e
nel quale si muovono è quello della salute psichica del paziente: le loro ricerche quindi
partono, non lo si sottolinea mai abbastanza, dalla prassi terapeutica, da una
"pratica". Ecco, questo forse è il primo importante elemento che li accomuna in
qualche modo agli alchimisti. Le loro considerazioni non sono affatto speculative,
soprattutto ai loro esordi, ma partono dallesigenza di intervenire nella realtà
concreta... la realtà patologica come era allora definita, come a tuttoggi da
alcuni viene ancora definita, delle persone danneggiate psicologicamente.
Come è noto Freud si accorse, nei primi casi da lui trattati, che una serie di
atteggiamenti, comportamenti strani, sintomatologie di vario genere, che apparentemente
non avevano niente a che vedere con le manifestazioni di disagio del paziente, non solo
non erano casuali, ma si interponevano come una serie di "maschere" che
celavano un significato nascosto, un evento traumatico a monte della manifestazione
patologica. Attraversando a ritroso la successione di "veli", di figure distorte
dellevento originario, si poteva arrivare al "nocciolo" del problema, alla
"causa" che, una volta riportata alla luce, riconsegnata alla coscienza del
soggetto, produceva la scomparsa del disturbo. Ecco quindi che
l"apparenza" di un evento, lapparenza, anzi, lapparente
mancanza di significato di un evento, nella lettura di Freud rivela invece la presenza
addirittura di sequenze di significati; anche se ancora si tratta di significati di
eventi che vengono intesi meramente come "sintomi" e come "maschere".
Intendo dire, seguendo Freud, che se dietro una certa manifestazione, un atteggiamento
isterico, uno svenimento, un lapsus o i materiali onirici, è possibile risalire al vero
motivo del disagio ripercorrendo allindietro una sequenza di immagini sovrapposte
una sopra laltra, ciò significa considerare queste immagini appunto come delle
"maschere", cioè essenzialmente come distorsioni del significato originale.
Questo metodo è stato definito indiziario, un metodo alla Sherlock Holmes, che
risaliva una catena di "indizi", di "segni", fino a trovare il
colpevole, la "causa".
Il metodo indiziario ha rappresentato nellepoca contemporanea un primo tentativo di
percezione di unulteriorità di significato rispetto alla semplice evidenza delle
cose.
Jung va ben oltre. Allievo ed erede designato di Freud, ad un certo punto si rende conto,
nella sua esperienza di psicoterapeuta a contatto soprattutto con i contenuti onirici
dellinconscio, che le immagini che si presentano nei sogni dei pazienti non sempre,
anzi raramente, sono riducibili a una sequela di maschere i cui significati riconducono
sì, a volte, a un nucleo problematico originario, ma più spesso non vengono, attraverso
questo tipo di lavoro indiziario, assolutamente comprese. Spesso la sintomatologia non
scompare e la persona non guarisce, dimostrando linsufficenza di questo approccio.
Jung si accorge inoltre che certe immagini "fondamentali" ricorrono spesso ...
le denominerà archetipi, cioè forme originarie che definiscono strutture
psicologiche alle base dello sviluppo dellessere umano come specie,
indipendentemente, secondo Jung, da una trasmissione diretta, orizzontale, storica di
questi processi... Immagini, cioè, che possono sorgere e che si ritrovano in tutte le
culture, in tempi e luoghi così diversi per le quali risulta difficilissimo o addirittura
impossibile stabilire lesistenza di un avvenuto contatto fisico. Quindi strutture
veramente originarie e precipue della psiche delluomo in generale, che sono, per
così dire, dei modelli "a priori" in base ai quali si esprimerà la fantasia e
limmaginazione, la produzione psichica, degli uomini nelle varie epoche e società
di appartenenza.
Larchetipo è unimmagine: pensate per esempio allarchetipo della quadripartizione, larchetipo del cerchio, larchetipo della croce, che rappresentano lessenza simbolica "potenziale" di qualcosa che successivamente, a livello immaginario, si potrà manifestare nelle migliaia di modalità possibili a seconda delle società e dei diversi contesti culturali.
Secondo Jung si tratta di immagini che luomo eredita alla
nascita: qui risiede laltra grande differenza da Freud che vale la pena
sottolineare, poiché tutto il lavoro freudiano di svelamento delle maschere porta al
ritrovamento della causa di un dramma che, per Freud, il soggetto ha esperito in vita.
Il percorso di Freud o perlomeno del primo Freud, viene giocato rigorosamente
allinterno dei confini di quello che viene definito linconscio personale,
cioè il luogo dove il soggetto conserva le immagini di una serie di esperienze, eventi,
attività, comportamenti rimossi, che il soggetto stesso ha potuto però acquisire solo dopo
il momento in cui è nato o al massimo, (questa datazione viene, dalle più recenti
ricerche, spostata sempre più allindietro), come percezione del feto nella vita
intrauterina. In ogni caso la formazione dellinconscio non sfugge al contesto
storico-temporale come unico luogo dellesperienza psichica.
Diversamente, per Jung, così come ereditiamo biologicamente, per esempio, i caratteri
somatici, così, anche sul piano psichico, arriviamo al mondo già costellati da elementi
psichici ereditati che possono provenire, risalendo la catena filogenetica, fino ai
primordi della specie. Dentro di noi, secondo Jung, portiamo tracce della psiche
primordiale, addirittura della sua condizione pre-umana. Strutture estremamente arcaiche,
quindi fondamenti, pilastri di base, su cui poi si è sviluppata la complessità della
psiche ulteriore.
Questo tipo di constatazione porta Jung ad ampliare notevolmente il significato di
"segno" termine col quale lo studioso svizzero definì il sintomo,
limmagine sintomatica studiata da Freud. Il segno infatti è qualcosa che sta al
posto di qual cosaltro, ad esempio un nome che sta al posto di una strada, qualcosa
che, per qualche motivo, viene impiegato (consciamente o inconsciamente), per sostituire
limmagine reale. Nei sogni, secondo Freud, si manifestano, per così dire, sotto
mentite spoglie, contenuti della psiche la cui percezione, per la loro sgradevolezza,
lIo del soggetto non è in grado di recepire direttamente; il contenuto può
superare la "censura" dellIo solo "mascherato". Una corretta
interpretazione della catena di maschere, cioè di segni, rimanda, come abbiamo detto,
alla causa originaria: non diversamente dal "sintomo" dellemicrania che
rimanda alla "causa", lindigestione della sera prima.
Il simbolo per Jung è invece qualcosa di più ampio di un segno. Pur mantanendo in pieno
la funzione di sintomo, di segnale, rappresenta però anche qualcosa di "vivo",
cioè non semplicemente qualcosa che sta al posto di qual cosaltro, ma che porta in
sé contenuti potenziali che potranno dare luogo a forme evolutive del tutto nuove. In
ciò, per Jung, risiede la potenza della funzione simbolica, nel fatto cioè che un
simbolo è un produttore di sgnificati inediti, e non solo una maschera per significati
già noti.
Qui si consuma la separazione definitiva fra Freud e Jung, perchè da
questo momento in poi Jung considererà tutto il materiale psicologico, soprattutto il
materiale onirico, come qualcosa di molto diverso da un materiale sul quale intervenire in
maniera oggettivante. Ed è qui che il nostro discorso può riallacciarsi alla
divaricazione fra scienza e opus alchemico, tracciata laltra volta da Michela
Pereira. Jung si avvicina al materiale onirico come lalchimista alla "prima
materia". Il lavoro su un sogno non può limitarsi alla sua
"spiegazione",in quanto un sogno può contenere elementi di novità che non
riguardano contenuti rimossi di esperienze coscenti del sognatore, ma che provengono dagli
strati profondi della psiche e non sono ancora mai emersi al livello coscente. Per Jung
linconscio non è solo un deposito dove vengono conservate tutte le cose rimosse, le
cose che lIo non è in grado di trattenere nel campo limitato della propria
coscienza, ma è anche e soprattutto la fonte e lorigine di tutte le nostre
possibilità creative. Un tale materiale va trattato in maniera diversa da un occhio
meramente analitico, scientifico, che tende semplicemente a ridurlo alla somma algebrica
degli elementi di cui è composto. Lopus alchemicus e il comportamento
dellalchimista che è quello, appunto, di lavorare la materia, di mescolare le
proprie mani dentro la materia, sono in stretto parallelismo con il lavoro della
Psicologia Analitica e con latteggiamento analitico elaborato da Jung nei confronti
delle persone che ricorrono allanalisi per guarire dai propri disturbi psichici.
Sinteticamente possiamo dire che, dal momento in cui una persona entra in analisi, non
deve essere, secondo Jung, esaminata attraverso lapplicazione di una serie di
"griglie esperienziali precostituite", con le quali è possibile
"sezionare" questa persona e i materiali che porta nel setting come se fossero
"oggetto" di ricerca. Niente di tutto questo. Per Jung, questa persona, come
quella successiva o quella precedente, sono dei casi "unici", totalmente a sè
stanti che non possono essere più che tanto valutati in base allesperienza passata
e alle teorie precedentemente elaborate... nel trattare lincontro, la cosa più
importante da considerare è che il lavoro che avverrà con questa persona non è già
noto allanalista. Lanalista deve trattare materiale psichico, è non può
comportarsi come farebbe un medico con il fisico di una persona. Il medico chiede la
sintomatologia, ausculta, visita e dà una diagnosi in base a quelle che sono le sue
conoscenze. Per Jung, quando si viene a contatto con la psiche la questione deve essere
posta in maniera diversa, poichè i contenuti che una persona porta in analisi sono per la
maggior parte contenuti che ancora devono manifestarsi. Sono contenuti potenziali e quindi
ignoti. Se venissero sottoposti ad una griglia già nota verrebbe a perdersi proprio gli
elementi di vitalità e di novità che possono scaturire da una manifestazione della
psiche.
Se ripensiamo a ciò che ha detto Michela Pereira sullopus dellalchimista, da
lei illustrato attraverso la lettura di una bellissima sequenza di immagini simboliche
dellepoca, ci accorgiamo di molti punti di contatto con quanto stiamo dicendo.
Lalchimista, infatti, criticava la filosofia scolastica proprio per la sua ricerca
spasmodica di universali che potessero contenere tutti gli oggetti esistenti e
quindi essere dei modelli astratti, tali da poter dare sempre risposta alle esigenze
esistenziali vecchie e nuove. Lalchimista si muove in maniera molto diversa.
Lalchimista non si astrae, anzi si immerge, potremmo dire si coinvolge con la
materia trattata e in questa differenza di atteggiamento fra scolastici e alchimisti
possiamo riconoscere un parallelismo con la più importante differenza fra
latteggiamento di Freud e quello di Jung relativo ad uno degli eventi più
significativi del processo analitico: il fenomeno del "transfert".
Freud si accorse molto presto che durante il rapporto analitico si verificava un fenomeno
caratterizzato dalla proiezione massiccia di quantità affettive da parte del paziente
sullanalista: dal punto di vista di Freud ma soprattutto dal punto di vista del
contesto culturale dellepoca, questo evento veniva considerato una vera e propria
interferenza nel rapporto di cura della patologia, perchè creava tutta una serie di
atmosfere spiacevolmente ambigue, umbratili, difficilmente comprensibili, che tendevano a coinvolgere
lanalista in prima persona in una
atmosfera che, per usare un termine alchemico, potremmo definire una vera e propria nigredo.
E proprio sul modo di porsi nei confronti di un tale coinvolgimento che, a mio
parere, si evidenzia la profonda differenza fra latteggiamento analitico di Freud e
quello di Jung. Infatti, la tecnica freudiana si costituisce come un tentativo sistematico
di tenere a distanza, di oggettivare la persona che va in analisi, con i suoi
contenuti e le sue proiezioni. Secondo Jung il coinvolgimento dellanalista, laddove
si produce un transfert, è invece inevitabile, poiché questo fenomeno si
manifesta là dove è in fieri la possibilità di un profondo processo di
rinnovamento e di trasformazione. Appunto un opus verso il Sé, verso
lindividuazione. Là dove questo avviene sarebbe, secondo Jung, insufficiente per
lanalista porsi su di un piano di distacco perchè ciò vanificherebbe,
respingendole, la manifestazione delle potenzialità dei contenuti che vengono proiettati
su di lui. Lanalista naturalmente, per poter coinvolgersi un qualche modo, deve
avere una coscienza, una consapevolezza di sé, che gli proviene dal percorso analitico
personale e dalla sua esperienza di analista, tale da consentirgli di essere coinvolto e
allo stesso tempo non sopraffatto dal clima di proiezione affettiva che entra in ballo nel
rapporto. Questo è laltro elemento fondamentale. Ciò che entra in gioco per
lanalista, sul piano psicologico, (ciò che Jung ha pensato sia entrato
profondamente in gioco anche per lalchimista, anche se lalchimista,
soprattutto quello dei primi secoli del secondo millennio, cercava loro, o il lapis
philosophorum, e probabilmente non era consapevole di compiere, attraverso
lopus, anche un percorso psicologico personale), ciò che prepotentemente entra in
ballo è lenergia affettiva. Quindi, non si tratta solo di modalità
comportamentali, di funzioni psicologiche, ma stiamo parlando anche di energia, cioè del
propulsore che muove queste strutture. Questo propulsore crea disagio al soggetto nella
misura in cui rimane fissato ad immagini originarie, in genere quelle genitoriali,
impedendo il decorso evolutivo. Altro importante parallelismo con una serie di immagini
che con lalchimia hanno molto a che vedere, fondamentalmente caratterizzate da
laspetto incestuoso. Lo stesso fenomeno del transfert nei confronti
dellanalista, è caratterizzato da una forte affettività infantile che
lanalizzando ripropone a partire dalla sua antica esperienza affettiva giocata nel
rapporto con i propri genitori, generalmente con il genitore del sesso opposto. Questa
proiezione crea unatmosfera di forte ambiguità alla quale però lanalista,
secondo Jung, non deve sottrarsi, nonostante si generi in questo modo una zona di nigredo
vera e propria, cioè una zona nella quale ci muoviamo a tentoni perchè ben poco di ciò
che sta accadendo è visibile nel vero senso della parola. Fondamentalmente ciò
che accade è qualcosa che ci coinvolge profondamente sul piano inconscio.
Per quanto riguarda la prima parte del lavoro analitico, mi limiterò a questa fase,
potremmo dire di "accettazione del transfert" che, in rapporto
allalchimia, possiamo definire come la fase della nigredo la quale non è,
come Jung osserva, necessariamente la prima fase del processo individuativo. Infatti, per
arrivare alla nigredo, vale a dire a questo coinvolgimento (cioè ad una forma di rapporto
che non è più quella fra soggetto e oggetto, ma fra soggetto e soggetto),
bisogna per lappunto aver superato quellatteggiamento di difesa che Michela
Pereira ha descritto nella giustapposizione fra lopus alchemicus e la filosofia
scolastica, e che noi possiamo vedere sul piano della storia della psicanalisi
giustapponendo, in maniera forse un po troppo riduttiva ma funzionale al nostro
discorso, Freud e Jung. È fondamentale superare quellatteggiamento di rigidità che
automaticamente ci costringe in una posizione difensiva rispetto alla proiezione dei
materiali inconsci dellaltro che tenta con tutte le sue forze di coinvolgerci
affettivamente. E va sottolineato che lepoca contemporanea, soprattutto dal 1800 in
poi, ha elaborato, a questo scopo difensivo, strumenti raffinatissimi di oggettivazione.
Tutta la scienza ne è un esempio, così anche una parte della tecnica freudiana.
Per arrivare alla
nigredo bisogna quindi anzitutto superare questa prima barriera protettiva costituita
dalle nostre griglie teoriche, il che non vuol dire rinunciare a utilizzarle, vuol dire
semplicemente che dobbiamo smettere di ridurre ciò che incontriamo a ciò che già
conosciamo. Se riusciamo a sospendere per un attimo lattività razionalizzante e
pre-giudicante, allora consentiamo lespressione di questo primo "magma"
indifferenziato di contenuti, in cui le massicce proiezioni delluno costellano gli
stessi contenuti inconsci anche nellanalista. Contenuti inconsci, quelli
dellanalista, che sono probabilmente più elaborati ma non per questo meno pervasi
di affettività. Ecco, in questa fase di nigredo viviamo in unatmosfera nella quale
siamo mossi da sentimenti, pensieri, atteggiamenti ecc., di cui ignoriamo il vero scopo,
il vero significato, e che percepiamo come estremamente destabilizzante. La stessa cosa
probabilmente percepiva lalchimista quando dal magma della prima materia si
enucleava la figura di Mercurio, lelemento sfuggente e diabolicamente
destabilizzante, destrutturante. La nigredo opera uno stato di vera e propria
"possessione" da parte di contenuti che solo successivamente, a volte molto più
tardi, si renderanno palesi alla coscienza del soggetto.
Jung dà un esempio autobiografico di questo stato che gli viene preannunziato
dallinconscio attraverso un sogno, in un periodo della vita in cui ancora ignorava
il suo interesse per lalchimia. Nei primi anni di ricerca, prima di arrivare al
periodo in cui si porrà direttamente a confronto con i propri materiali inconsci, Jung si
dedica allo studio delle religioni, poi soprattutto allo studio della filosofia ermetica.
Lalchimia ancora, siamo negli anni 20-30, non ha quello spazio che
successivamente tanto caratterizzerà i suoi studi. Iniziò comunque a leggere qualcosa
della materia e poi, a un certo punto, ebbe questo sogno:
" Fu nel 1926 che feci il sogno fondamentale che anticipò il mio incontro con
lalchimia. Ero nel sud-Tirolo, in tempo di guerra, mi trovavo sul fronte italiano e
rientravo dalle prime linee con un piccolo uomo, un contadino, sul suo carro tirato da un
cavallo. Dovevamo attraversare un ponte e poi passare attraverso un tunnel la cui volta
era stata parzialmente distrutta dalle granate. Arrivando alla fine del tunnel, vedevamo
dinanzi a noi un paesaggio soleggiato e riconoscevamo la regione veronese. La città era
ai miei piedi, radiosa alla luce del sole, ne provavo sollievo ed avanzavamo nella verde
fertile pianura lombarda. La strada portava attraverso unincantevole campagna
primaverile e vedevamo i campi di riso, gli olivi, le vigne. Poi lungo la strada,
diagonalmente, vedemmo un grande edificio, un castello di grandi proporzioni piuttosto
simile a un palazzo ducale dellalta Italia. Era un tipico maniero con molte
dipendenze e costruzioni laterali. Proprio come al Louvre, la strada passava davanti al
castello attraverso una grande corte. Io e il piccolo contadino giungevamo a un portone e
da qui potevamo vedere di nuovo attraverso un secondo portone allestremo opposto, il
paesaggio soleggiato. Mi guardavo intorno, alla mia destra era la facciata del maniero,
alla mia sinistra le stanze della servitù, le stalle, i granai ed altri edifici minori
allineati. Appena giungevamo nel bel mezzo della corte, dirimpetto allentrata
principale, avveniva qualcosa che non ci aspettavamo. Con un sordo fragore tutti e due i
portoni si chiudevano, il contadino balzava da cassetta ed esclamava: "ora siamo
prigionieri del secolo 17°". Rassegnato ho pensato: "già è così, ma che cosa
si deve fare? Ora saremo prigionieri per anni". Poi mi veniva un pensiero consolante:
un giorno, dopo anni, sarò di nuovo fuori".
Nei mesi successivi, Jung si sforzò, senza successo, di capire cosa volesse dire
questo sogno finché, due anni dopo, il suo amico Richard Wilhelm gli inviò il
"Fiore doro", un importante testo di alchimia cinese, di cui
successivamente stilerà un commento, e cominciò ad interessarsi allalchimia,
procurandosi alcuni testi, fra cui un volume del 1593, lArtis Auriferae. Fu solo
dopo altri due anni che, meditando le immagini di questo testo che lo affascinavano
completamente, ricordò il sogno del castello e si rese conto di quello che poi aveva
detto nel sogno: "ora saremo prigionieri per anni" (in fondo così è stato
perchè il suo lavoro attorno allopus alchemico è stato più che ventennale).
Questo sogno, senza lasciarsi andare ad un tentativo di superficiale interpretazione, rappresenta però senza dubbio un tipico esempio di percorso alchemico dellinconscio. Cè un conflitto iniziale, infatti siamo in tempo di guerra, cè un tunnel da superare, immagine che rappresenta generalmente luscita da una situazione e lingresso in unaltra... e al di là del tunnel cè una Shan-gri-là rappresentata in questo caso dalla pianura veronese con la città sullo sfondo, e poi un maniero. Come a dire che in ciò che inizialmente è conflittuale, risiede anche la possibilità di accedere ad un luogo di serenità e amenità. È linconscio che incita lIo di Jung a fare attenzione a questo contenuto potenziale di grande ricchezza. Un aspetto interiore dedicandosi al quale (percorrendo le campagne piene di sole che ha sognato) Jung acquisterà alla propria coscienza tutta lenergia positiva che lo costella. Questo è un tipico esempio di come funziona un "processo alchemico dellinconscio", che può prodursi solo a patto di "metterci le mani", a patto di coinvolgersi in esso. Limitarsi a interpretare il sogno e capirne il significato non è sufficiente: è necessario invece praticare, fare lesperienza, portare avanti il lavoro sul sogno.
A cosa serve tutto questo? Serve a trasformare la direzione circolare e
ingorgata dellenergia: quella stessa energia che girando su se stessa provoca quei
disagi che spingono le persone da Jung e da Freud, quella stessa energia che produce
sintomatologie a volte gravissime, si libera, attraverso questo tipo di lavoro, attraverso
lopus, dai legami dei modelli ereditari, si sottrae alla co-azione a
ripetere, si differenzia da tutto ciò che lambiente impone con la sua forte
opzione omologante penalizzando la novità dellavventura individuale. Jung ha
chiamato il processo alchemico psicologico, processo di individuazione proprio
perchè tende ad individuare la specificità di ciascuno noi, a rendere giustizia, se
così vogliamo, e possibilità di espressione a quelle parti di noi che allinterno
di un contesto collettivo vengono generalmente penalizzate.
Là dove questi contenuti inconsci hanno una consistenza e una rilevanza tale da non poter
essere ignorate dallIo perché, ancorché rimossi, interpellano lIo attraverso
la sintomatologia, se lIo da loro spazio di ascolto e si coinvolge in percorso
elaborativo, diventano appannaggio dellindividuo e, attraverso la loro integrazione
alla coscienza, lindividuo può esprimere la propria specifica, singolare
creatività.
Questo, come lo vede Jung, è il percorso verso il Sè, il percorso verso lindividuazione.