Copertina_particolare1.jpg (10919 byte)Conclusioni:
Ritorno in avanti

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"Sono stupito, deluso, compiaciuto di me; sono afflitto, depresso, entusiasta. Sono tutte queste cose insieme, e non so tirare le somme. Sono incapace di stabilire un valore o un non-valore definitivo; non ho un giudizio da dare su me stesso e la mia vita. Non vi è nulla di cui mi senta veramente sicuro. Non ho convinzioni definitive, proprio di nulla. So solo che sono venuto al mondo e che esisto, e mi sembra di esservi stato trasportato. Esisto sul fondamento di qualche cosa che non conosco. Ma, nonostante tutte le incertezze, sento una solidità alla base dell'esistenza e una continuità nel mio modo di essere. II mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato.
Se la mancanza di significato fosse assolutamente prevalente, a uno stadio superiore di sviluppo la vita dovrebbe perdere sempre di più il suo significato; ma non è questo - almeno così mi sembra - il caso. Probabilmente, come in tutti i problemi metafisici, tutte e due le cose sono vere: la vita è - o ha - significato, e assenza di significato. io nutro l'ardente speranza che il significato possa prevalere e vincere la battaglia".
(C.G. Jung - Ricordi, sogni e riflessioni, ed Il Saggiatore, 1965, pag. 397).

Quando abbiamo terminato di scrivere questo piccolo libro - consapevoli di essere tornati indietro, in un luogo lontano, ricco di suggestioni, ricordi belli e amari, di esperienze esaltanti o pericolose, tutte realtà che ora definiamo con la parola povera storia - ci siamo raccolti per un momento, in una riflessione necessaria su quanto abbiamo scritto e come questa scrittura ha inciso nelle nostre anime; su quanto abbiamo ri-sentito e ri-vissuto durante il tempo di lavoro, diremmo, di ritrovamento, dentro-di-noi, per noi e per gli altri. E quel che abbiamo ri-trovato e risentito - eterno, mutevole, irriducibile linguaggio di Psiche - come ci ha fatto reagire: se a confermare o rinnegare, se a giudicare o sospendere il giudizio, a volere ancora quel passato, quell'inizio, (ammesso un possibile togliere dalla vita qualcosa) non volerne sapere più. Tante risposte più o meno elaborate, affioravano dal varco razionale o da quello emozionale; nessuna s'imponeva. Così siamo rimasti come in un vuoto, in un silenzio che si colmava di stupore. Evidentemente usciti dal tempo, siamo rimasti presi dall'altro tempo, quello dell'inconscio, di Mnemosine, dove il giudizio, il segno, la parola, non hanno corpo né suono.
In questo vuoto, chiuso in un perimetro di emozioni, nascevano forse dei rimpianti e sappiamo che i rimpianti sono delle rivelazioni giunte troppo tardi; nascevano certezze raggiunte, ma subito dissolte come neve al sole. Sgomento, come fossimo usciti da un sogno indecifrabile, o dal telesterion di una ignota iniziazione non compresa.
Non avevamo trovato parole da mettere all'inizio di questa conclusione; che fossero parole nostre. E' stato d'improvviso che ci ha soccorso Jung: ci sono tornate le sue parole dettate in vecchiaia; tornate nel cuore e nell'udito vuoto di altro. Le parole del Maestro, come se avesse dovuto rispondere a un "chi sono" o a un "cosa credo" dopo un così lungo affascinante viaggio nella vita e nella psiche. Le abbiamo fatte nostre, ognuno per sé. Dopo aver vissuto di persona il Gruppo di Firenze o esserne stati figli o nipoti - per anima tramandata nelle analisi personali - ognuno di noi non poteva che giungere a questa esperienza. E Jung risponde per noi agli interrogativi sui valori e non-valori, sui giudizi su noi stessi come analisti, nella vita come nella storia vissuta. Risponde per noi sull'avere o no convinzioni o risposte da dare. E a proposito di significato o assenza di significato, sia nelle nostre posizioni filosofiche private che nel ri-considerare l'avventura del Gruppo di Firenze, non possiamo che emulare Jung e con lui oggi condividiamo l'insicurezza, la certezza e la non certezza sia storica che metapsicologica, nella vita come nel valore o non-valore di quel che è stata la nostra via all'individuazione percorsa insieme ai nostri maestri, colleghi e amici. E siamo anche noi decisi a nutrire la speranza che, in ogni circostanza ed esperienza, il significato possa comunque prevalere; sempre, ove lo si voglia cercare. E non per assicurarci una protezione davanti agli abissi esistenziali o per tamponare insostenibili paure proliferate dalle tenebre che oggi minacciano di scendere sul destino umano. Un significato che neppure può venirci, appunto, dal solo processo d'individuazione che abbiamo intrapreso attraverso la via junghiana. Mano a mano che procedevamo a ritroso - scrivendo il libro - abbiamo capito che questo ritorno ci portava avanti. Un ritorno in avanti nel senso dell'homo viator, dove ogni ri-scoperta del passato si riverbera, anzi si rivela, come nuovo senso, come ulteriore senso che trascende continuamente il vissuto, il segno e la storia, per ricadere come luce nuova sul farsi ulteriore -fuori o dentro qualunque Terra Promessa - ove non soccorre più la dimensione della lotta, del conflitto o del semplice viaggio dell'eroe ancorché consegnato a un'esperienza ermeneutica psicoanalitica, ma si apre davanti a noi - distanziati grazie alla a-temporalità dell'esperienza vissuta, dove l'oggi è anche ieri e viceversa, in virtù del superamento intrapsichico - la dimensione inesplorata dell'uomo simbolico, anzi, dell'uomo simbolico-religioso. Questa immagine pertiene all'anima, all'inconscio archetipico, forse al Sé: fissa, come un fuoco che speriamo illumini il futuro.
II ritorno a ritroso è un procedere avanti perché la dimensione simbolica-religiosa in cui ora ci imbattiamo è sorta dall'avere avuto la forza di attraversare - nella combustione del vissuto - lo spazio residuo della memoria conscia, del dominio dell'io irretito nella storia con le sue emozioni, i suoi sentimenti o risentimenti. Di aver consumato anche l'atteggiamento epistemologico troppo datato. Spinti in avanti dalla forza segreta che era racchiusa in quel che abbiamo ritrovato con la parola, ora siamo davanti a quella ferita, a quell'apertura che solo il simbolo può contenere.