Il Simbolo come realtà religiosa
Charles André Bernard s. j.
Molti sono i campi in cui lespressione simbolica svolge un ruolo
importante e riconosciuto da tutti: la poesia, larte pittorica, larchitettura,
la mistica ecc. in modo del tutto privilegiato però il campo religioso appare connesso
con il mondo dei simboli: in esso infatti i vari campi appena elencati si integrano: inni
liturgici, icone, templi e chiese, vita mistica usano il simbolo per esprimere la vita
religiosa.
Per rimanere nellambito della vita cristiana, possiamo aggiungere alcune
osservazioni che paleseranno larmonia intrinseca fra vita religiosa e espressione
simbolica. Considerando, infatti, i sacramenti, definiti come segni che operano ciò che
significano, diventa chiaro che la comprensione della vita cristiana passa attraverso una
riflessione sullespressione simbolica. In modo più ampio ancora, è tutta la vita
liturgica incentrata sulla via sacramentale, e in particolare sulleucarestia, che
richiede uninterpretazione simbolica: la liturgia fa riferimento allo spazio sacro
valorizzato dalle costruzioni architettoniche, utilizza il canto e la poesia, chiede il
contributo dei gesti, si appella allattività di tutti i sensi e infine addossa
tutta linterpretazione dei segni sulla Parola di Dio in modo tale che il binomio
segni-parola sia costitutivo di tutta la vita liturgica.
Certo non basta fermarsi a questa constatazione generica; bisogna ricercare le ragioni
più profonde che spiegano come vita religiosa e espressione simbolica si richiamino a
vicenda. In un primo tempo cercheremo dunque di precisare il significato del simbolo
per poi passare ad una ricerca sul significato particolare del simbolismo cristiano.
Verificheremo infine che il simbolo nel suo significato più ricco è profondamente legato
alla sfera religiosa.
1 - La nozione di simbolo religioso
Senza essere costretti a rifondare completamente la nozione di simbolo,
dobbiamo in primo luogo darne una descrizione che elimini ogni equivoco.
E' chiaro che il simbolo appartiene al genere dei segni; e nella lingua latina cristiana,
la parola signum traduce spesso la parola greca symbolon. Bisogna però
notare subito una precisazione fondamentale: un segno può essere convenzionale o
naturale. è convenzionale il segno adottato per significare un concetto o unaltra
cosa in modo univoco: così, ad esempio, il simbolo matematico o chimico non è altro che
un modo più economico e più operativo di significare concetti funzionali o sostantivi
univoci; la parola stessa è segno (la scienza dei segni è la semiotica) convenzionale
perché tra le parole pronunciata o scritta e il referente designato, non cè
parentela immediata: le lettere della parola acqua, o wasser in tedesco, non hanno alcuna
somiglianza con lelemento naturale designato.
Il segno è naturale quando possiede la propria consistenza naturale; esso però va
considerato un segnale se il suo rapporto al referente è causale: il fumo come segnale
del fuoco: Rimane quindi il simbolo nel senso proprio del termine, e soprattutto se
adoperato nel campo religioso, quando il segno rimanda a una realtà situata ad un altro
livello ontologico: luce come simbolo di Dio, il banchetto simbolo della vita eterna, il
pane e il vino in rapporto al corpo e al sangue di Cristo.
Il simbolo appartiene quindi allordine della percezione sensibile e non va distaccato dallattività percettiva. Di per sé, il simbolo può essere una semplice immagine oppure appartenere ad un complesso percettivo: il battesimo ad esempio include simbolicamente sia lelemento acqua sia limmersione sia la formula battesimale che conferisce senso allinsieme del rito. Se consideriamo una icona, il suo senso simbolico comprende non solo le forme ma anche i colori. Quanto più la raffigurazione simbolica è complessa, tanto più la percezione deve fissarsi su di essa per lasciarsi portare verso una maggiore comprensione.
Si è soliti opporre la raffigurazione simbolica alla realtà stessa, come se la prima non avesse che un essere immaginativo mentre solo la realtà ontologica, storica o sostanziale, possederebbe un peso vero. Ma tale opposizione, soprattutto nellordine della rivelazione cristiana, non è adeguata. Può darsi, infatti, che un evento storico svolga una funzione simbolica: non si toglie niente allo spessore storico dellEsodo o della moltiplicazione dei pani se vengono considerati simbolo di liberazione e di nutrimento spirituale. Oppure non è necessario negare la verginità di Maria per il semplice fatto che il mistero ha una funzione simbolica del carattere soprannaturale dellIncarnazione. Bisogna quindi riconoscere che la funzione simbolica degli eventi storici appartiene alla sostanza della fede cristiana: in particolare tutto ciò che è stato compiuto nellumanità storica di Cristo possiede un senso simbolico che il fedele si appropria mediante lunione sacramentale e spirituale a Cristo.
Parliamo quindi di simbolo quando un segno percepito nella sua realtà naturale rimanda a un referente che appartiene a un altro campo ontologico. Mentre il nostro linguaggio comune rimanda al mondo percepito come oggetto di conoscenza e di operazione, quello simbolico, in virtù di un dinamismo proprio, rimanda a un altro campo ontologico: ad una realtà interiore e nascosta come nel caso della raffigurazione estetica, allordine del sacro nel campo religioso e, in modo privilegiato per noi, alla sostanza spirituale contenuta nel mistero della fede.
Di conseguenza, la percezione simbolica sarà tanto più intensa, quanto più il soggetto sarà disposto a cogliere il campo ontologico di riferimento. Tale disposizione positiva è proporzionata da una parte alla capacità evocativa del simbolo e, dallaltra allattesa spirituale del soggetto. Questa osservazione è di grande importanza per la pedagogia della percezione simbolica sia estetica che religiosa.
Unanalisi più attenta della realtà simbolica ci aiuterà ora a precisarne la ricchezza. Su questo punto, seguiamo il chiaro studio di Jean Borella.
Muovendo dal symbolon antico, oggetto di terracotta o di metallo, diviso in due, egli nota che la parte visibile in mano a uno dei partners costituisce un vestigio delloggetto totale. Il suo valore non risiede nella sua natura come tale, ma nel fatto di essere testimone di unaltra cosa rimasta in mano al secondo partner. Il symbolon, nel suo essere vestigiale, è un segno in se stesso, in virtù della sua forma incompiuta.
Oltre al suo essere vestigiale, il symbolon attesta lesistenza di un patto anteriore stipulato fra le due persone che lo hanno scelto quale segno di riconoscimento: da questo punto di vista, esso ha valore memoriale: richiama alla memoria il contenuto del patto allorigine della costituzione del simbolo.
Approfondendo questa osservazione di Borrella, possiamo notare che nel campo religioso tutto lordine creaturale potrà assumere simile funzione memoriale. Quanto più luomo sarà mosso da un dinamismo interiore che lo spinge a ricordare lautore della natura, tanto più essa possederà per lui una funzione simbolica. Il significato di memoriale di un patto originario verrà considerato costitutivo dellatto stesso della creazione. In tal senso, gli autori medievali, in particolare San Bonaventura, contemplavano la natura quale primo libro in cui Dio si era rivelato. Essendo creature, le realtà naturali oltre alla loro consistenza propria, manifestano il loro essere vestigia del Dio creatore: ecco il primo libro della natura.
Se ora passiamo allordine della fede cristiana la nozione di patto assume una dimensione nuova: ad essa appartengono sia il contenuto della rivelazione contenuta nella Sacra Scrittura, sia quello della istituzione sacramentale. In tal modo linterpretazione simbolica applicata a partire dalla Scrittura e dalla liturgia, si riferisce necessariamente a una disposizione divina conservata nella tradizione.
è chiaro a tutti che gran parte dellinsegnamento trasmesso dai Padri della Chiesa partecipa allermeneutica tradizionale. Il suo valore eccezionale affonda le sue radici nella ricchezza delle loro intuizioni spirituali che li portavano verso lermeneutica simbolica.
Seguendo sempre il pensiero di Borrella, è possibile indicare un terzo carattere del symbolon: essendo segno di riconoscimento, possiede in se stesso un certo dinamismo che spinge a ricostruirne la totalità. Esso esercita una funzione rettrice.
Prolunghiamo questa indicazione mediante unanalisi più particolareggiata.
La prima osservazione riguarda il fatto che il simbolo appartiene allordine dellimmagine, la quale è legata alle necessità vitali.
Secondo lo psicologo Morice Pradines, le sensazioni delludito e della vista mediante le quali si formano le immagini, sono ordinate alle necessità del vivente. Limmagine esprime dunque simultaneamente una presenza e una lontananza: è una presenza lontana. Limmagine si trova lungo il tragitto dal mondo alla coscienza, dalla coscienza al mondo. Essa richiama quindi e induce una reazione vitale di ricerca del possesso o di fuga dal pericolo. Ed è una constatazione banale che limmagine (molto di più del concetto) metta in moto la reazione del vivente e veicoli unenergia vitale; essa si presenta così quale strumento privilegiato dello spostamento dellenergia psichica. Tutto avviene come se lenergia psichica si spostasse da un livello di coscienza allaltro, seguendo i canali segnalati dalle immagini induttive. In tale spostamento da un livello di realtà ad un altro consiste proprio la funzione simbolica.
Per non dilungarci troppo, prendiamo lesempio del simbolo della luce: Dio è luce; e consideriamo il dinamismo simbolico espresso da questa proposizione.
La luce possiede evidentemente un significato vitale positivo, e il movimento indotto dallimmagine fisica passa facilmente verso il livello intellettuale e spirituale. Tale passaggio però presuppone nella coscienza un dinamismo innato che fonda il passaggio simbolico.
Possiamo dunque dire che tutto il campo del simbolismo religioso implica un dinamismo fondamentale, potenziato però dalle disposizioni religiose della persona, le quali possono essere più o meno intense e costanti, determinando così il grado di facilità dellattività simbolica.
Quando, dalla disposizione religiosa generale si passa a quella cristiana, il dinamismo soggettivo riceve nuovo impulso dalle virtù teologali. Più la fede è viva, più vivo anche è il rapporto vissuto alle realtà simboliche veicolate dalla Sacra Scrittura e dalla vita sacramentale e liturgica: in tal senso viene potenziata la funzione memoriale del simbolo. Analogamente, la vivacità della speranza conferisce nuova forza alla tensione verso la vita eterna e, di conseguenza, vivifica i simboli che la esprimono. Per quanto riguarda poi la carità, è chiaro che agevola proporzionalmente lattenzione alle realtà spirituali. In modo particolare, come si osserva facilmente, più la vita spirituale personale diventa fervorosa, avvicinandosi alla vita mistica, più lattività simbolica diventa ricca e abitualmente più costante, sia nella creazione dellespressione spirituale che nella sua comprensione.
2 - Il simbolismo cristiano
Secondo quanto abbiamo detto fin qui, laccostamento fra il simbolismo religioso in genere e quello cristiano appare quasi scontato. Esso suscita tuttavia un interrogativo: come dal punto di vista simbolico caratterizzare loriginalità della ricchissima prospettiva cristiana?
La risposta decisiva sarebbe di elencare una serie di simboli puramente cristiani; in realtà, come vedremo, questa soluzione è impreticabile; dovremo quindi orientare la nostra ricerca verso una sovradeterminazione dei simboli comuni in funzione della fede cristiana, la cui originalità risiede nel fatto dellintervento di Dio nella storia degli uomini, fino allevento dellIncarnazione redentrice.
Un primo approccio viene offerto dal simbolismo sacramentale.
è chiaro che lorganismo sacramentale simboleggia i grandi temi della vita spirituale delluomo in corrispondenza con le tappe fondamentali della vita umana: la nascita, il passaggio allautonomia personale, il nutrimento, la lotta contro la malattia corporale e spirituale, la struttura sociale e la trasmissione della vita. Da questo punto di vista la struttura simbolica dei sacramenti si ritrova in molti riti delle religioni non cristiane, così come la raffigurazione della gerarchia ecclesiastica mutua molti elementi dal modello sociale in cui vive data comunità cristiana.
Lomologia strutturale dei riti e sacramenti non deve occultare però loriginalità della prospettiva cristiana: nella teologia sacramentaria, infatti, non si devono mai dissociare rito simbolico e parole che gli conferiscono il significato genuino. Secondo il detto teologico comune: i sacramenti significano ciò che operano e operano perchè sono significativi. La comprensione dei sacramenti cristiani richiede quindi simultaneamente la percezione dei segni e una catechesi che ne spieghi il significato; questo duplice approccioè proprio quello dei Padri della Chiesa.
Si capisce facilmente inoltre limportanza della tesi teologica che insiste sul fatto dellistituzione dei sacramenti da parte di Cristo. In tal modo il significato dei sacramenti viene ricollegato al mistero dellIncarnazione redentrice e la loro efficacia viene ricondotta allattività salvifica di Cristo esercitata nel suo Corpo mistico.
Di conseguenza, il sacramento va visto nel suo senso dinamico con un atto del Cristo glorioso reso visibile attraverso il mistero della chiesa.
Lapplicazione di queste riflessioni al sacramento del battesimo ci consentirà ora di individuare meglio i vari elementi che compongono i sacramenti.
Simbolicamente questo sacramento appare complesso: esso comporta una immersione nelle acque che in tanti miti appaiono portatrici di morte e di vita. Questo simbolismo universale che mette in rilievo il significato materno delle acque arricchisce il senso del battesimo di molte armoniche psicologiche.
Il riferimento mitico non esaurisce però il senso del battesimo. Come nota san Paolo e come ricorda il rito della veglia pasquale, il battesimo rimanda anche allevento storico della liberazione dallEgitto mediante la traversata del Mar Rosso. Viene quindi sottolineato il carattere sociale del battesimo come aggregazione al Popolo di Dio.
Senso simbolico e senso storico si intrecciano quindi strettamente; e questultimo viene rafforzato dal collegamento del sacramento allevento storico del battesimo di Cristo nel Giordano. Questo episodio costringe il teologo a scrutare i riferimenti profondi del mistero battesimale allinsieme del mistero di Cristo, il quale ha esplicitamente instaurato il sacramento affidandone il mistero agli apostoli.
Come caratterizzare il rapporto fra senso simbolico comune e senso simbolico storico? Non è valida una riduzione del secondo al primo, come se tutto il significato del rito fosse incluso nella simbologia comune; né è possibile negare che la rivelazione giudeo-cristiana e liconologia che la esprime non abbiano attinto alle sorgenti simboliche universali. La soluzione passa quindi attraverso la nozione di una sovraddeterminazione storica del simbolismo comune, la quale ne rispetta la natura inserendolo però in una dimensione storica. Mediante tale inserimento, il simbolo riceve da una parte un significato oggettivo che si rifà alla cultura cristiana radicata nella fede e dallaltra una capacità operativa in rapporto alla realtà pasquale ed eterna del Cristo glorificato e diventato spirito datore di vita.
Oltre il campo sacramentale, la simbologia cristiana si apre su un altro campo, quello dei simboli interpersonali, dove manifesta una profonda originalità.
Questi simboli del padre e della madre, delluomo e della donna, della vergine e della sposa, non sono assenti dalla simbologia universale. Basterà accennare agli sviluppi che la figura del padre presenta nel pensiero freudiano e psicanalitico per comprendere limportanza di riflettere sul rapporto che intercorre fra la valenza dei simboli interpersonali nella prospettiva giudeo-cristiana e quella che si trova nellinterpretazione freudiana del simbolo universale.
Iniziamo con una prima osservazione di grande importanza.
Nella tradizione giudeo-cristiana, la simbologia interpersonale occupa un posto decisivo. La ragione profonda sta nel fatto che il Dio che si rivela si manifesta non come una forza cosmica, neppure come il Creatore, ma come Jahve che stipula unalleanza con il popolo eletto e interviene personalmente nella sua storia. Anche qui, la sovraddeterminazione storica costringe ad una ricerca di senso che non riduca tutto ad un mero rapporto con il simbolo naturale ed universale.
Lesempio più importante è il simbolo del padre nei confronti di quello del figlio. Secondo linterpretazione freudiana, la figura del padre sarebbe quella di un rivale contro il quale il figlio deve lottare per conquistare la sua libertà autonoma. In realtà, tale figura del padre è imposta dalla socità politica che vuole assicurare la propria stabilità e quindi, secondo Freud, non ha valore genuino. Ne segue che la religione basata su questa figura paterna altro non è che illusione.
Se rimane vero che la figura del padre è legata allautorità e indica il fondatore della legge, bisogna aggiungere che, nella prospettiva cristiana, il rapporto del Figlio al Padre è un rapporto di amore, non di dominazione, ma di pura benevolenza. Una tale interpretazione del simbolo, del resto, corrisponde al senso di Dio espresso dalle religioni primitive; la nozione freudiana è mera costruzione a priori.
Le altre figure interpersonali acquistano nella religione cristiana una grande ricchezza che rispecchia la ricchezza dei rapporti che luomo si sforza di allacciare con il Dio dellAlleanza. I simboli religiosi non sono, infatti una parola su Dio in se stesso, bensì sui rapporti delluomo con Dio: ciò vale in particolare per il simbolo dello sposo che, a partire dal Cantico dei cantici, si è imposto ai grandi mistici cristiani quale modello della realizzazione di amore interpersonale.
Volendo trattare del simbolismo religioso cristiano, non si può passare sotto silenzio il mistero fondamentale dellIncarnazione e chiedersi in quale misura il Figlio incarnato vada considerato il simbolo per eccellenza di Dio nel suo misterioso essere di Padre.
Ribadiamo subito che, proponendo il tema di Cristo simbolo del Padre, non mettiamo minimamente in discussione la realtà storica di Gesù di Nazaret, Verbo incarnato; ci proponiamo soltanto di riflettere sul fatto che, in virtù della sua incarnazione, il Cristo è rivelatore del Padre non solo mediante il suo messaggio, ma anche mediante tutta la sua realtà umana.
Qui siamo al centro della fede cristiana: è piaciuto a Dio non soltanto lasciar trasparire la sua gloria nellopacità materiale del cosmo e nelluomo fatto a sua immagine, ma gli è piaciuto rendersi presente anche nel cuore del mondo, mandando il proprio Figlio a piantare la sua tenda in mezzo a noi, quel Figlio che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza (Eb 1, 3).
Una duplice strada si apre dunque dinanzi alluomo per arrivare a Dio: inserito nel mondo della natura e in quello della storia, egli può percepire la presenza di Dio sotto un duplice velo sensibile. Di questo movimento che parte dal dato sensibile per risalire fino alla sfera spirituale e divina, il simbolo è il vettore privilegiato.
Non bisogna ridurre il senso simbolico del mistero del verbo incarnato ad una considerazione generica, ma aver presente che tutta la traiettoria storica percorsa da Cristo e che lo conduce dal primo istante della sua esistenza alla vita profetica e poi alla croce, alla morte, alla risurrezione e alla sovranità universale, tutto è rivelatore della realtà spirituale e divina che rimane nascosta.
Il primo valore ad essere rivelato simbolicamente nella figura totale di Cristo è la santità.
Che contempliamo il Cristo bambino oppure il Cristo trasfigurato, quando perdona sulla Croce o quando risorge per la potenza dello Spirito di santità, in lui appare il Santo.
La santità di Cristo non conosce mancanze o cedimenti: ecco perché i santi hanno sempre saputo discernere in lui la bellezza.
Essa è il secondo valore della figura di Cristo, e come nota san Bernardo, la bellezza di Cristo è duplice, umana e divina, e quella della sua umanità simboleggia la bellezza divina: "Quanto sei bello per i tuoi angeli, Signore Gesù, in forma di Dio, nel giorno della tua eternità, generato .....................splendori dei santi prima della stella del mattino, tu, splendore e figura della sostanza del padre, chiarità senza fine e mai oscurata della vita eterna! Quale seduzione per me, mio Signore, nellapparizione della tua bellezza".
Se dalla figura globale passiamo alle figure particolari di Cristo presenti nel Vangelo, siamo rimandati alle rappresentazioni delle icone che puntano a mettere in risalto le varie funzioni messianiche di Gesù di Nazaret: egli quindi verrà proposto come pastore, maestro, medico, re, pantocrator ecc.
Non è necessario per questo inventare nuovi moduli iconografici: basta assumere quelli che già servivano alliconografia comune; lo sguardo di fede e il riferimento alle scene evangeliche consentono al credente di discernere nelle varie raffigurazioni la sostanza spirituale e divina.
Del resto, il racconto evangelico aveva già provveduto a presentare la figura di Cristo ricorrendo a suggerimenti simbolici.
Facciamo solo lesempio del maestro di sapienza: tale figura viene normalmente collegata al simbolo della collina. Matteo elenca sette alture diverse; soffermiamoci su alcune ascensioni principali.
La prima conduce alla collina delle beatitudini dove insegna il maestro di sapienza. La seconda porta al monte Tabor: là si manifesterà la gloria interiore che Gesù aveva tenuta nascosta durante la vita a Nazaret; e subito dopo, egli nasconderà di nuovo la sua gloria. La terza, la più drammatica, al monte Calvario dove, quando sarà innalzato, attirerà tutto a sé. La quarta infine, al monte degli Ulivi, testimonia il suo trionfo: egli ascende al Cielo proprio dal luogo dove fu schiacciato durante lAgonia; e da lì partiranno gli uomini di Galilea per compiere la loro missione universale.
Menzioniamo infine una scena propria del grande simbolista del Nuovo Testamento: lapostolo san Giovanni. Mosso verosimilmente dallintento di far emergere il significato pasquale della crocifissione (in sé lesecuzione di Gesù da parte di pagani non ha niente di sacro), san Giovanni insiste sulla scena del costato trafitto da cui sgorgano sangue e acqua e che ricorda lAgnello pasquale. Come vediamo da questo esempio, diventa simbolico tutto un episodio storico e levangelista stesso ne fornisce linterpretazione. Daltronde conosciamo limportanza del racconto giovanneo per tutta la pietà cristiana.
Attraverso la nostra presentazione del simbolismo cristiano emergono alcuni tratti che vogliamo ora ricordare:
3 - Religione e espressione simbolica
Dopo esserci soffermati sul fatto che la vita religiosa, e in particolare quella cristiana, faceva appello allattività simbolica, cerchiamo ora di mettere in luce come questa connessione fra religione e espressione simbolica non sia soltanto una questione di grande convenienza, ma sia unesigenza profonda dellatteggiamento religioso come tale. Al punto di poter parlare di una vera e propria necessità.
Riducendo il fatto religioso alle sue linee essenziali, appaiono tre aspetti: la nozione di Dio che sta allinizio della fondazione del cosmo, quella di una vita al di là dellesistenza terrena e il fenomeno della preghiera come elevazione della mente verso il fondatore permanente delluniverso.
Dal punto di vista della possibilità della rappresentazione di questi tre aspetti, emerge un elemento comune: il superamento del linguaggio fondato sullesperienza intramondana. Non abbiamo, infatti, lesperienza di un inizio assoluto, né quella di un nuovo tipo di vita sottratto alla corruzione, ne quella di un rapporto immediato ed efficace con una potenza benevola che interviene nella nostra esistenza. Diventa quindi necessario trovare un linguaggio che, pur radicato nella nostra esperienza mondana, si riveli capace di unapertura tale da diventare atto a significare una trascendenza; ed è proprio questa la caratteristica dellespressione simbolica.
Sotto questo profilo fondamentale, il simbolo si oppone al concetto comune. Questo, infatti, è caratterizzato dal suo aspetto formale e chiuso. La sua origine è necessariamente lesperienza intramondana: a partire dallespe-rienza sensibile, il concetto viene elaborato dallintelletto, per diventare un mezzo di comunicazione univoco appoggiato sui segni linguistici. Lunicità è tanto più necessaria in quanto lelaborazione concettuale è finalizzata allazio-ne tecnica nel mondo. Inoltre, come nota Borrella, la chiusura del concetto è strettamente legata alla formazione della scienza, i cui concetti devono essere univoci, universali e operativi.
Da tale presentazione appare chiaro che il concetto non può essere applicato adeguatamente allespressione di azioni che, come la creazione o la consumazione del mondo, non appartengono alla sfera dellesperienza intramondana. Se comunque si tenta di farlo, non si esce dalla prospettiva scientista che, per mancanza di una rappresentazione convincente tende alla negazione stessa delle nozioni di creazione e di consumazione. Il medesimo negativismo si applica alla nozione di Dio il quale, per definizione, non rientra nellambito intramondano.
Bisogna però distinguere accuratamente i concetti comuni da quelli metafisici, ossia dei concetti trascendentali di essere, di buono o di vero ecc. .
Tali concetti, infatti, non sono chiusi ma aperti, perché esigono per la loro comprensione un processo complesso di posizione, di negazione e di passaggio alla trascendenza. Dire che Dio è lEssere o il Buono non significa rinchiuderlo nella limitatezza della mente umana, ma aprire questa ad una dimensione infinita.
Tale procedimento si applica soprattutto alla conoscenza di Dio. Ma la sua validità si verifica molto meno nel campo della vita religiosa. In essa, infatti, è coinvolta non solo la mente, ma la totalità delluomo che deve rendere omaggio a Dio; inoltre, la finalità del culto non è solo, ne principalmente, la conoscenza, bensì lunione a Dio la quale attira tutte le componenti delluomo.
Per quanto poi riguarda la vita di preghiera, è chiaro che essa richiede una radicale disponibilità nei confronti di Dio e tale disponibilità tocca non solo lintelletto ma la volontà e il cuore. Per tutte queste ragioni dunque, lespressione simbolica che coinvolge tutto luomo si dimostra più adatta a rispondere allistanza religiosa propria delluomo.
Daltronde, come nota Dionigi Areopagita, la conoscenza metafisica, proprio perché è aperta alla trascendenza, nasconde un pericolo: quello di apparire adeguata alla realtà divina. Infatti, le rappresentazioni di Dio quale Ragione, Intelligenza, Essenza, Sostanza, Essere, Buono "sono certamente più sante e sembrano in qualche modo superiori alle immagini materiali,"precisamente in quanto il loro punto di partenza è un concetto universale già liberato dalla materialità e dalla temporalità, ragion per cui si avvicinano a Dio. Ciononostante rimane necessario il momento di negazione del modo in cui i concetti metafisici si applicano a Dio.
In tale prospettiva, le immagini banali, e perfino volgari, con le quali Dio viene indicato, dimostrano una certa superiorità: in virtù della loro stessa inadeguatezza esse costringono lo spirito a un superamento immediato, mentre i concetti più elaborati rischiano di generare in esso una fiducia eccessiva nelle proprie capacità di raggiungere il divino.
Osserviamo ancora come le dissomiglianze delle immagini che significano Dio, quali la Roccia o il Roveto ardente, contengano sempre qualche cosa di positivo che sostiene il movimento simbolico: "Non dimentichiamo che non vi è nulla che non partecipi in qualche modo al bello, poiché la scrittura non ha torto di dire: Tutto è molto buono (o bello)".
Nei confronti dellespressione concettuale, comune e metafisica, quella simbolica gode di un grande privilegio: essa è sempre presente aperta in quanto fondata sul dinamismo della coscienza totale, ed è sempre presente nella sua realtà naturale. Ecco perché latteggiamento religioso che cerca di stabilire un rapporto con il mondo divino può nitrirsene continuamente.
Notiamo che il rapporto attuale della coscienza al mondo divino implica necessariamente una dimensione affettiva: lattività religiosa è vita e ogni vita si esprime attraverso una reazione affettiva. E anche da questo punto di vista, il simbolo appare come lespressione connaturale dellattività religiosa.
Limmagine, infatti, convoglia una carica affettiva, la cui origine va riposta nel fatto che limmagine naturale si forma a partire dal contatto con il mondo, sia quello cosmico che quello delle persone. Ora, tale elemento affettivo del rapporto con la realtà naturale spiega come lattività simbolica non si leghi tanto al simbolo considerato sostantivamente quanto al simbolo qualificato: lacqua viva è il contrario dellacqua morta!
Unaltra conseguenza di questo fatto riguarda la possibilità di una percezione negativa di un simbolo che, normalmente, ha valenza positiva: così, ad esempio, la figura del padre applicata a Dio può suscitare un rigetto.
La creazione dellespressione simbolica presuppone sia una percezione oggettiva che possiede già una certa struttura semantica sia un dinamismo interiore che metta il simbolo in rapporto al significato ricercato: nel caso della vita religiosa, il rapporto con la realtà trascendente.
A sua volta, la contemplazione simbolica presuppone una certa sintonia con il mondo dei simboli. Tale sintonia viene rafforzata o indebolita dalla formazione culturale più o meno adatta al campo semantico espresso dal simbolo. Quanto più la coscienza si trova in sintonia con il campo di riferimento semantico, tanto più si apre e segue il movimento di passaggio al livello superiore. Se ne deduce facilmente limportanza per la vita cristiana e spirituale della familiarità con il mondo dei simboli scritturistici e liturgici.
Come si vede, lattività simbolica non si propone di raggiungere una conoscenza oggettiva del mondo soprannaturale ma, grazie al suo dinamismo di farsi guidare verso unesperienza espressa dal linguaggio simbolico e di partecipare a questa esperienza trasformatrice.
Diventa allora più comprensibile il fatto che la vita mistica si compiace nellespressione simbolica. Senza entrare in grandi disquisizioni circa la natura della vita mistica, accenniamo soltanto al fatto che essa comporta uno sforzo per raggiungere lassoluto e unirsi ad esso. Un assoluto, però, che non è adeguatamente definibile mediante il linguaggio concettuale e neppure mediante il linguaggio simbolico. Tuttavia, come abbiamo più volte sottolineato, questultimo non ha bisogno di inquadrare un oggetto, è sufficiente che lo significhi e indica un movimento verso il suo referente. Il dinamismo interiore della coscienza, congiunto con la grazia di Dio, concederà al mistico di giungere allunione con Dio.
Dato che presuppone lesigenza soggettiva di esprimere un al di là dellesperienza quotidiana, lattività simbolica appare particolarmente adatta ad esprimere lesperienza mistica. Chi è attratto dalla ricerca di Dio a partire dalla contemplazione del mondo o dalla propria interiorità, si sente spinto a porre al proprio servizio le ricchezze delluniverso e della cultura per incanalare, attraverso la mediazione simbolica, il proprio dinamismo verso Dio. Così i mistici hanno saputo captare le armoniche presentate loro dal rapporto con il mondo della natura e delle relazioni interpersonali, utilizzandole per esprimere la propria ricerca spirituale. Parallelamente, chi frequenta i mistici sarà tanto più desideroso e capace di percepirne lespressione simbolica, quanto più vivrà una vita spirituale affine a quella che ne ha presieduto lelaborazione.
In realtà, il rapporto con il mondo collega nella nostra coscienza il ricordo delle prime esperienze vitali dellessere umano con lurgenza delle necessità più immediate: il bere, il mangiare, la luce, il desiderio di affetto. Ora, poiché la vita cristiana, essendo partecipazione alla vita di Dio, è vera vita, per la sua espressione e la sua attuazione deve fare proprie la ricchezza multiforme e lintensità del nostro rapporto con il mondo della natura e delle persone. Ce lo hanno insegnato i grandi mistici che furono anche grandi simbolisti.
CONCLUSIONE
Alla fine del nostro percorso e dopo aver dimostrato come, per la sua stessa funzione di esprimere il rapporto delluomo con Dio, la vita religiosa non possa fare a meno dellespressione simbolica, ci appare larco completo che dalla constatazione del posto privilegiato occupato dal simbolo nellattività religiosa perviene alla sua giustificazione funzionale e quindi metafisica.
Tuttavia, per giungere a tale conclusione, bisogna non fermarsi sul problema della conoscenza di Dio - perché allora il concetto è più atto del simbolo ad esprimerla -, ma sulla vita religiosa in se stessa, la quale include lattività culturale e la ricerca delluomo a Dio, percepita come anticipo della salvezza. Ciò vale per tutte le religioni che si appoggiano sul senso di un Dio che trascende il mondo ed è signore della vita: tutte fanno appello al simbolo, sfruttandone lorigine vitale e lapertura continua. E degno di nota invece, che quando il simbolo viene considerato a mo di concetto, che rimanda cioè a un referente univoco, si passa ad atteggiamenti superstiziosi.
La situazione non è fondamentalmente diversa quando passiamo alla vita cristiana: anche qui, si tratta di situarsi davanti al Dio trascendente e a unirsi a lui, anticipando così la vita eterna. Da questo punto di vista il simbolismo cristiano si rifà al simbolismo religioso comune.
Per il fatto però che il rapporto a Dio viene vissuto attraverso la fede in un Dio che è intervenuto costantemente nella storia degli uomini e ha consegnato la rivelazione che ne deriva in una serie di documenti scritti, è chiaro che lattività simbolica appoggiata su una tale fede diventa più ricca, più impegnativa e più riconoscibile nella sua singolarità
Più ricca: perché al simbolismo cosmico e comune si ricollega un simbolismo storico. I racconti degli interventi di Dio sono stati percepiti da scrittori i quali possedevano una mentalità simbolica e sono diventati a loro volta portatori di un nuovo senso simbolico che riguarda i periodi storici successivi. E anche più impegnativa: la fede, infatti, non può dissociare il racconto delle gesta salvifiche del Dio di Abramo, di Mosè e dei profeti dal messaggio di rivelazione che contiene. Salvandoci, Dio si rivela; rivelandosi, Dio ci salva.
Lelemento più decisivo, però, e che definisce la singolarità della fede cristiana, è che lintervento di Dio è giunto fino allIncarnazione del proprio Figlio. In lui, la rivelazione del Dio creatore e salvatore ha preso forma umana, in modo tale che tutte le azioni, le parole e la traiettoria esistenziale di Gesù di Nazaret diventano rivelazioni del Padre: "Chi vede me vede il Padre"(Gv 14, 9).
E non solo rivelazioni, ma cammino di salvezza. Infatti, in virtù dellappartenenza dei fedeli al Corpo mistico di Cristo, diventa loro possibile partecipare alla vita manifestatasi in Cristo: in questo senso tutta la realtà cristica diventa simbolica della realtà cristiana.
Infatti bisogna considerare che Cristo stesso, per manifestare e perpetuare la fecondità salvifica della propria esistenza di Figlio incarnato, morto e glorificato ha voluto istituire dei sacramenti che significassero e operassero i vari momenti della salvezza. Tale prospettiva non solo riassume tutta la simbologia del cosmo creato nel verbo di Dio, ma ne fonda unaltra più operativa e che contiene di per sé la capacità di effettuare la salvezza significata.
Significando ciò che operano e operando ciò che significano, i sacramenti cristiani verificano la pienezza della realtà simbolica, al tempo stesso espressiva e trasformatrice.