TOSSICOMANIA: UN’INIZIAZIONE MANCATA

Iva Fabbri

 Il dilagare dell’uso di sostanze tossiche induce a fare alcune considerazioni sull’aspetto simbolico dell’assunzione di droghe. Una riflessione sul simbolo può essere di aiuto nell’individuare le cause e la possibilità di soluzione di questo problema così grave e difficile.
Da millenni l’uomo percepisce nel mondo che lo circonda una realtà mutevole in continua trasformazione. Nell’apparente staticità del vivere passa egli stesso da uno stato interiore all’altro, è immerso in un oceano in continuo movimento. Scopre che il divenire è la costante della sua vita. materia prima.jpg (31793 byte)Lo stesso Darwin che era uno scienziato incarnò nella sua teoria tale concetto.
Non esiste popolazione, dalla più primitiva alla più progredita, che non lasci trapelare dalla sua cultura l’idea dell’iniziazione come momento di passaggio da uno stato inferiore di consapevolezza e conoscenza ad un altro di tipo superiore. Passaggio inteso come trasformazione. Metamorfosi da morte a resurrezione.
Sia dal punto di vista organico che da quello psichico e spirituale morte evita accompagnano la nostra realtà in divenire. Lo stesso corpo umano, dopo un determinato periodo di tempo che varia a seconda del tessuto di appartenenza delle cellule, non conserva di sé quasi più nulla ad eccezione delle cellule nervose. Vita e morte si alternano in un inarrestabile ciclo vitale di mutamento. L’iniziazione è il rito di passaggio da uno stato ad un altro, implica un processo di trasformazione: dalla morte dell’uomo vecchio sorgerà l’uomo nuovo. Bruco farfalla, seme pianta. Questa è la realtà umana che rispecchia la realtà dell’universo intero dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.

La vita è come un fiume in perenne movimento: sempre lo stesso fiume, mai la stessa acqua...
Ed è l’equilibrio umano, precario ed instabile eppure preciso come l’ago della bussola che indica il Nord.
Luce ed ombra sono in costante tensione.
L’ombra sollecita la luce e viceversa alternandosi quasi ritmicamente da una fase all’altra.

Plutone, dio degli inferi, rapisce Proserpina, figlia di Demetra, e le somministra una bevanda che le farà dimenticare le sue origini divine affinché rimanga con lui nel regno dei morti.
La madre disperata invia al dio un messaggero, Mercurio (la memoria),perché le restituisca la figlia. Ma poiché Proserpina ha bevuto la bevanda dell’oblio potrà tornare su nel suo mondo solo in primavera e in estate, periodo in cui Demetra felice dona alla terra fiori e frutti in abbondanza. Ecco come il mito esprime le due polarità che si alternano. Una volta rapito nell’ombra l’uomo patisce e teme il dolore che essa reca con sé. Perde la memoria della vita che fluisce nella tensione dinamica luce ombra. Oppone resistenza, paralizzato dalla paura non si lascia andare da un polo all’altro ed arresta l’intero processo del divenire.
La verità della luce è anelata dall’ombra dolore: il dolore qualunque esso sia esige una risposta. L’uomo sollecitato dal dolore si pone alla ricerca della verità dell’essere. Ma la ricerca implica un rischio, comporta errori infiniti, tentativi su tentativi che spesso peggiorano lo stato di disagio; ma appunto rinfocolano il bisogno. L’andito è il respiro umano in qualsiasi strato sociale. Non si vive infatti di solo pane. Le motivazioni possono essere le più varie, ma la radice rimane sempre la stessa: la verità del divenire vuole essere.

Prendiamo in esame la tossicomania. Il piacere è la molla primaria che spinge alla ricerca della sostanza. Ma il piacere di cosa? Di sentirsi calmi o di sentirsi euforici, comunque di sentirsi diversi.
E’ un bisogno di passaggio da uno stato ad un altro, di trasformazione male interpretato che spinge ad assumere la droga. La trasformazione che come simbolo è forza viva, si parcellizza e si annienta nella sostanza, si pietrifica nel suo aspetto oscuro e devastante.
Diventa un bisogno inesorabile e distruttivo per il fatto che non se ne riconosce la reale essenza. Non si intuisce che è il desiderio di vita che muove, cos’è come un potente desiderio di vivere spinge il suicida ad uccidersi. La disperazione di non percepirsi vivi; ‘cioè in continuo divenire, in continua trasformazione, sollecita la morte. Non è la morte che il suicida vuole, egli vuole vivere: vuole più vita perché non vive abbastanza.
Mi è stato detto più volte da chi cercava di smettere che si sentiva vivo solo quando era alla ricerca disperata di droga: "Più sono disperato, più mi sento". La casa, la macchina, il lavoro e perfino la ragazza dopo i primi momenti di euforia diventano banali. Perché’ Perché la linea di tendenza lungo la quale si muove il drogato è basata sull’avere: "Se avessi la casa, la macchina, il lavoro ecc.
Ma una volta avuto tutto ciò, ricomincia di nuovo da capo: "Non sono contento, voglio stare meglio". Il problema sta nel "non sono". Non sono, perché non sono in contatto con il fluire mio e del mondo che mi circonda. Voglio trattenere, voglio possedere. Ho paura... Paura di perdere ciò che ho, anche se è quasi nulla. E così, come Creso, ogni cosa che tocco muore. E l’ago, lo sniffo, la pasticca introducono nel sangue quella sensazione di mutazione nel flusso dell’esistere che l’avere nega. Ma solo per poco. Dietro alla serie di veli del disagio (difficoltà di rapporti, mancanza di affetti, di amore, di lavoro, di soldi e di quanto la civiltà dei consumi offre) trapela l’ultimo ed inesorabile disagio esistenziale: l’anelito alla verità, alla libertà, alla conoscenza di sè e del mondo. In definitiva è il bisogno di percepire la forza che scorre nei propri succhi vitali e nei propri pensieri e sentimenti così come scorre nella linfa degli alberi, nel lento crescere delle gemme, nel fluire dei venti, nel trascorrere ritmico del tempo da una stagione all’altra. La vita.

Negli Atti di Tommaso (vangelo apocrifo del Nuovo Testamento) al capitolo IX si legge:

Lasciai la patria della luce e discesi per un cammino difficile e periglioso."
"Dimenticai di essere il figlio del Re, divenni schiavo del loro capo".
"Dimenticai la perla per la quale ero stato inviato, appesantito dal loro cibo caddi in un sonno profondo".
"I figli del Re mi scrissero per dirmi: - Non dimenticare che sei figlio di re, e hai accettato un giogo di servaggio. Ricordati della perla che devi trovare, ricorda la veste intessuta d’oro -.
Mi ricordai di essere figlio di re e la mia origine richiedeva che fossi libero, mi ricordai della perla che dovevo cercare.
Andai verso il terribile dragone con degli incantesimi, lo abbattei pronunciando su di lui il nome del Padre mio (1)".

La memoria intessuta d’oro spinge alla ricerca della perla, la percezione consapevole della pienezza dell’essere in cui luce ed ombra sono integrate. Nel fluente alternarsi di polarità opposte scocca la scintilla della vita,
così come è realisticamente espresso nel simbolo del Tao. E’ un processo difficile e rischioso che esige l’incontro con il dragone che vuole arrestare, paralizzare, pietrificare.
"Dimenticai di essere il figlio del Re". La memoria spinge, stimola la ricerca, ma è una memoria oscura, perché l’uomo fraintende. Confonde il senso di totale pienezza e benessere, che è dato dalla connessione con la dynamis della vita (forza e movimento), con l’appagamento di un ottuso piacere. Nel caso della tossicomania la ricerca si arresta coatta e ripetitiva al limite della soglia, l’incontro con il dragone viene rimandato a domani, fra una settimana, fra un mese. E’ sempre l’ultimo buco, l’ultimo sniffo, l’ultima volta, ma non è mai l’ultima.

Il tossicomane rimane paralizzato al di qua della soglia, non la varca. Non incontra consapevolmente il drago assumendo il dolore della rinuncia alla sostanza, lo spasmo del senso di morte che il dolore comporta e ne rimane inconsciamente avvolto nelle spire. Crede di esser libero di scegliere "posso smettere quando voglio" oppure si sente schiacciato da fatti e persone "non ce la faccio, perché...", non sa che è schiavo soltanto di se stesso. Non comprende il senso della ricerca e questa diventa coatta e ripetitiva, lo sbatte nelle piazze come le canne al vento.

A suo modo è un eroe, ma un eroe negativo. Non ha capito che il desiderio struggente che prova per l’assunzione della sostanza altro non è se non un desiderio di trasformazione, di profondo cambiamento di se stesso. Come il suicida, vuole la vita e la nega. Rimanda a domani. Non accetta la sua realtà storica: individuale, familiare, collettiva.
Rifiutando la luce della coscienza che fa male evita il dolore della visione, ignora che quella luce è forza che ha in sé il germe della risoluzione, perché è luce di conoscenza.Albero_Alchemico.jpg (15395 byte)
Ha paura del drago e rimane ipnotizzato dagli occhi del drago. Chiude i suoi occhi per vedere con gli occhi della sostanza. Prigioniero all’infinito di quella stessa realtà che rifiuta e potrebbe trasformare se solo capisse che è bene vedere per ricordarsi di essere il figlio del Re.

"Pronunciando su di lui il nome del Padre mio". La parola...
Essa è strettamente connessa con il pensiero. Parola e pensiero vengono indicati come logos. Logos è parola che crea, pensiero che crea: forza di creazione; la parola per essere tale è la manifestazione di coscienza e pensiero.
Al contrario la parola del tossicomane è logorroica, è forza perversa di ottundimento e di annichilimento di sé e degli altri, annegati come lui in un oceano inarrestabile di parole. Si parla addosso. Il silenzio è l’antidoto.. Il silenzio che nasce dopo i tormenti per l’assenza della sostanza, dopo la disintossicazione fisica, dopo la rinuncia. Il silenzio nudo e scarno che dapprima fa male, ma poi reca in sé la pace. Nel silenzio si fa strada sempre più sonora la Parola e con la Parola sorge la Memoria.
Solo allora, presente la Parola, vivida la Memoria, è possibile il rinnovato incontro consapevole con il Drago e la scoperta della Perla. Ma è un cammino pericoloso.
Il tossicomane esaspera ed amplifica quella comune condizione umana di arresto: la paura di lasciarsi andare al divenire della vita. Si arresta a metà strada. E’ al limite della soglia fra luce e ombra. I suoi movimenti sono paralizzati in un gesto coatto e ripetitivo che a volte immagina di essere l’ultimo e che purtroppo rimane il primo di una lunga serie.

Ed è l’iniziazione mancata....


Bibliografia

(1) G.VANNUCCI

Il libro della preghiera universale,

Libreria Editrice Fiorentina, 1978, pagg. 35-36