IL CONTRIBUTO TEORICO DEL GRUPPO DI FIRENZE
La Teoria dell'Autonomia Policentrica
II concetto di Autonomia Policentrica fu, in quegli anni, una formulazione
assolutamente nuova, insolita nel panorama teorico, organizzativo e persino linguistico
delle società analitiche. Con questo termine - Autonomia Policentrica - il Gruppo di
Firenze intendeva proporre una nuova idea di organizzazione della società analitica, che
prevedeva l'articolazione della società in gruppi autonomi, capaci e resi liberi di
determinare le proprie strutture interne e le didattiche. Tali gruppi operavano - secondo
il progetto - con altri gruppi, seguendo un criterio federativo, ove era privilegiato
l'interscambio paritario.
Questa autonomia era stata concepita in sostituzione del modello sociale imperniato sullo
statuto unitario, generalizzato all'intero territorio nazionale e che risultava, come si
è già detto, troppo accentratore. Si intendeva dunque, a Firenze, creare un'alternativa
assai più dinamica che corrispondesse peraltro all'immagine di una psiche non monolitica.
Pertanto l'Autonomia Policentrica non era da considerarsi un semplice schema organizzativo
esterno, bensì un vero e proprio strumento psicologico, che avrebbe agito - modificandola
- sulla concezione tradizionale del rapporto analitico nonché del rapporto analista
didatta-candidato analista. Rapporto che nelle società analitiche era sino allora
modellato su schemi fissi, ancora identificati all'immagine ortodossa e scolastica
tramandata da Freud e Jung.
Pertanto, la concezione varata dal Gruppo di Firenze puntava ad articolare gruppi
autonomi formati a loro volta da singoli membri che godevano della propria autonomia
espressiva, senza limitazioni poste da ruoli prestabiliti, né tanto meno da strutture
gerarchiche o iter obbligati in percorsi programmati.
Il gruppo cioè, nella sua specificità, era inteso come un organismo vivo, articolato in
molteplici centri, ove i membri singoli erano considerati forza evolutiva ed elementi
individuali autonomi. Data una simile impostazione dinamica, ne discendeva che il rapporto
analitico - questione fondamentale - si sarebbe di conseguenza sviluppato, proprio nella
pratica, in maniera molto più creativa, attraverso l'incontro, il gioco e le interferenze
libere dei due centri del rapporto, entrambi autonomi nella propria dimensione psicologica
e posizione relazionale: l'analista, da una parte e il paziente dall'altra. E anche: il
didatta da un lato e il candidato analista dall'altro.
Tale innovazione avrebbe vanificato la tradizionale relazione analitica, in particolare
quella didattica.18
Carlo L. Iandelli, che può essere considerato il teorico ideatore del concetto di
Autonomia Policentrica, scriveva allora:
"In questo modo la assunzione della responsabilità-autorità è condivisa e
dall'individuo per sé e dall'individuo nel gruppo; questo, secondo me, dovrebbe
corrispondere all'esperienza di un'autentica democrazia diretta o partecipatoria, dove la
minoranza come contro-parte reale ha il diritto-dovere di portare avanti esperienzialmente
i propri lineamenti di particolare individuazione comunitaria.
Un tale processo di libera accettazione della contro-parte può realizzare un altrettanto
libero gioco degli opposti, senza più ricorrere a movimenti di repressione della
contro-parte come ombra collettivo-sociale, Dal mio punto di vista l'accettazione della
contro-parte come ombra autentica del gioco dinamico degli opposti è uno degli aspetti
più elementari - nel senso di fondamentali - della rivoluzione culturale
junghiana!".19
Nella enunciazione di Iandelli è di notevole importanza psicologica l'assunzione della
responsabilità-autorità, riferita all'individuo per sé o in rapporto a un gruppo. Si
voleva superare dunque la posizione tradizionale della relazione analitica duale o
gruppale che fosse, spostando o dissolvendo - in senso endopsichico - il problema della
autorità assunta per prassi obbligata (autorità dell'analista), o delegata e proiettata
(dipendenza del paziente o del candidato).
In tal modo veniva a crearsi uno scambio, non soltanto paritario, ma più ricco di energia
costruttiva poiché essa risultava liberata dai ruoli fissi che implicano ombra,
resistenze, identificazioni, come si è visto nel modello tradizionale.
L'autonomia espressiva e comportamentale, lungi dall'ingenerare confusione o smarrimento,
doveva invece produrre un aumento di responsabilità soggettiva verso l'esperienza
personale e verso i gruppi. II soggetto diventava garante di sé in prima persona e come
tale rispondeva di sé e nell'operato e nella propria posizione teorica. Era anche un
modello di democrazia diretta o partecipatoria, dove la minoranza - al limite, un singolo
membro! - sentiva assicurato il diritto di esprimere le proprie esperienze nei confronti
di una controparte maggioritaria, senza che questa, in quanto prevalente numericamente,
potesse di autorità sindacare sull'operato altrui.
Dunque era esaltato il concetto di confronto-partecipazione e non più il concetto di
relazione-conflitto statico, dove l'asimmetria impediva il libero gioco delle polarità e
anzi lasciava anche troppo spazio alle conflittualità, alla repressione e quindi
all'insorgere di ombra personale e collettiva.
Iandelli si rifaceva indubbiamente alla peculiare concezione di Jung espressa ne
"La funzione trascendente,,. L'Autonomia Policentrica rispondeva non solo a una
potente immagine interna intimamente connessa al processo di individuazione, ma anche al
bisogno veramente junghiano di salvaguardare la totale personalità individuale nel suo
divenire entro l'equazione personale specifica.
Se ciò veniva portato nella questione della formazione analitica, era inevitabile una
rivoluzione del rapporto nel senso di aiutare il candidato a sviluppare la soluzione
individuale senza costringerlo alle forche caudine delle norme tipiche collettive di una
struttura o statuto che fossero.
Non era un invito all'evitamento delle difficoltà reali, che pure esistono nella vita;
era piuttosto una strategia più utile per l'economia psichica, che evitava le soluzioni
razionali e le norme collettive ritenute dannose o incapaci di sostituirsi a una soluzione
squisitamente individuale.
Tale visione psicologica implicava certo dei rischi (che, come vedremo, si produssero e
furono presi dal Gruppo), ma anche un sacrificio di notevole significato terapeutico: il
sacrificio della sicurezza che ogni membro del gruppo o allievo analista perdeva, dal
momento che la Autonomia lo lasciava a se stesso sottraendolo alle imago Mater
(Associazione) o Pater (L'analista Didatta) che funzionavano anche da oggetti protettivi
archetipici capaci di protrarre la dipendenza del soggetto.
Per il Gruppo di Firenze era sottinteso che il processo di individuazione dovesse passare
attraverso proprio questo sacrificio del conscio egoico riferito alle sicurezze per un
compenso molto più creativo, costituito - nel segno di Jung - dall'abbandono alla massima
insicurezza d'un gioco caotico di figure o immagini fantastiche. Qualcosa di molto vicino
a quelle che sarebbero state poi le istanze della psicologia archetipica.20
Questa concezione dunque, contrapponeva la struttura statutaria a carattere
collettivo-normativo, alla organizzazione spontanea-individuale. II Gruppo riteneva non
propriamente rispondente alla realtà dell'anima l'impostazione teorica dell'AIPA, che
infine poteva essere vista come una conscia difesa della Persona necessitata
all'obbedienza delle istanze collettive.
Ciò, in particolare, si avvertiva dopo la scomparsa di Bernhard, poiché l'autorità
messa su di lui, veniva spostata ora sulla immagine-ordine-legge rappresentata dallo
Statuto associativo con tutto il suo rituale, che veniva interiorizzato in nome del Padre.
Nell'interpretazione dei fiorentini ciò era una sorta di difesa persecutoria e un bisogno
di tamponare l'angoscia derivante dalla improvvisa perdita di un controllo superegoico. A
Firenze si voleva reagire a tutto questo stato di cose, suggerendo per l'esterno la via
autonomistica individuale gruppale - pur non negando le difficoltà di realizzazione - che
consentisse un ordine interno ed esterno più vicino al nucleo originario del pensiero di
Jung, dove l'autorità individuale, come processo di ricerca dell'identità soggettiva si
sostituisse alla riduttiva necessità di consegnarsi ad una autorità formale
rappresentata da norme collettive esterne.
Sarebbe tuttavia limitativo del pensiero di Iandelli e significherebbe misconoscere il valore originale endopsichico della sua formulazione, se considerassimo l'Autonomia Policentrica nel senso pragmatico, come una semplice proposta di struttura federativa di tanti centri di potere autonomo e relativo tra di loro. Essa è invece una vera e propria continuazione - a livello culturale - di un complesso processo creativo di frammentazione all'interno di un temenos di individuazione. Un trapasso, cioè, di una esperienza psichica e psicologica intra-soggettiva individuante dalla dimensione del singolo o del gruppo, alla dimensione collettiva culturale esterna. 21
Iandelli considera come necessario un percorso personale dove il primo stadio è
caratterizzato psichicamente da una posizione, raggiunta consciamente, di disponibilità,
di attesa per la ricezione dei motivi individuanti.
Riconoscere e perseguire il proprio destino mediante la costellazione cosciente
dell'attesa, significava allora avviare un processo di centroversione, dove l'Io
(personale o del gruppo), si orienta verso l'interno. Così il luogo dell'accadimento
viene posto fra l'esterno (che in tale fase è depotenziato) e il mondo interno che è
invece privilegiato. Si raggiunge cosi un confronto Io-sé profondo dove è necessario
abbandonare i parametri di valutazione usuali validi soltanto nella esperienza Io-mondo
esterno. Naturalmente questa dinamica produce scompensi libidici ove vengono sperimentati
i vari passaggi - ombra, colpa, allagamento, emersione di formazioni archetipiche - sia
come eventi interni, sia come eventi ritenuti provenienti dal fuori.
E' dunque utile il lavoro di riconoscimento delle proiezioni e delle identificazioni
proiettive - secondo Iandelli - perché l'Io impari a riconoscere fenomeni e cambiamenti
non come sua re-azione all'esterno, bensì come inter-azione fra il profondo se stesso -
l'Io - mondo esterno.
Ma per assumere questa funzione di mediatore fra centro interiore e centro esteriore, l'Io
deve produrre nel proprio campo un completo svuotamento, eliminare cioè tutte le
categorie precedenti di valore (Io-vuoto) che velavano ed impedivano all'Io un contatto
diretto con i contenuti individuanti dell'inconscio mitologemico. Successivamente viene
superata la posizione di centro-versione, e l'Io si apre alla dinamica di disponibilità
al rapporto inter-umano e nel contempo endopsichico, dove viene riconosciuta - dice
Iandelli - la capacità di affidamento perseverante all'altro da sé, sia esso un'altra
persona, sia esso l'Altro Trascendente come Sé-Dio.
Appare evidente allora che questo affidarsi al rapporto, istituisce una modalità di
comunicazione partecipatoria con la realtà, secondo un nuovo ordine di responsabilità,
dove non ci sono più i ruoli divisi in attivo-passivo ecc., dove l'Io - a seconda dei
casi - si dà, o riceve autorità o si pone dipendente, soltanto per soddisfare condizioni
del tutto estranee alla realtà della relazione autentica e trasformativa. 22
Questa - in termini analitici - è l'Autonomia Policentrica. Le realtà psichiche sono
più di una, quindi ci sono più centri. Di conseguenza l'Io deve farsi flessibile e più
ancora vuoto, affinché si lasci poi invadere da un orientamento policentrico, duttile,
disponibile. L'Autonomia Policentrica - diceva Iandelli - costituisce un tentativo di
messa in esperienza, in primo luogo all'interno del temenos, proprio del movimento
junghiano, di nuove modalità coscienti di responsabilità-autorità per il singolo
individuo impegnato nel processo di individuazione.
Con la sua visione, Iandelli forzava, con indubbio acume innovativo, la posizione teorica
del primo junghismo italiano mutuato da Bernhard e dall'AIPA e aprendo l'esperienza
psicologica del profondo - oltre l'ordine sacrificato - alla dimensione del tutt'altro,
che è l'ordine simbolico e l'ulteriorità di senso. Oggi sembra, questo discorso, una
posizione raggiunta, 23 ma è a Iandelli, al Gruppo di
Firenze che noi intendiamo ricondurne la paternità.
Sì trattava proprio di allontanare l'Io dal mondo abituale - come dice Galimberti -
dove non ci può essere parola diversa da quella espressa dall'autorità ego-centrica.
Portare altrove l'attenzione, dove l'Io non è più autore esclusivo ma spettatore. Posto
davanti alla scena dove altri autori (altri centri) fanno recitare altri soggetti. Siano
autori e soggetti interni o esterni, ciò non modifica l'assunto creativo.
Ed è stata questa sostanziale modificazione dell'Io che Iandelli spostò anche nella sua
didattica creandole lo spazio aperto.
Per dare modo al lettore di approfondire la valutazione critica della struttura, si riporta qui di seguito la Carta Programmatica dell'Autonomia Policentrica nel suo testo originale del 1972.
Carta Programmatica APERTA dell'Autonomia
Policentrica Partecipatoria
"per una libera ASSEMBLEA ISTITUENTE di psicologi junghiani".
ASSEMBLEA ISTITUENTE di PSICOLOGIA ANALITICA
Firenze, 29 maggio 1972
Tre livelli funzionali intercomunicanti:
A) Gruppo, quale struttura dinamico-comunitaria individuante;
B) Inter-gruppo, quale spazio relazionale di attivazione didattica;
C) Assemblea istituente-partecipatoria, quale livello di base-concorso.
A) Gruppo Individuante
- tutti i partecipanti alla esperienza analitico-antropologica di un "gruppo-particolare"
- autogestione comunitaria
- autodeterminazione (autovalutazione - allovalutazione, in direzione auto, oggettivamente personale e di gruppo).
B) Inter-gruppo
- spazio relazionale sotto forma di comune didattica o comitato didattico, quale "attivo-didattico"
- tre membri assembleari (v. punto C), più due-tre membri eletti come delegati da ciascun gruppo con modalità democratica-partecipatoria, per una durata transizionale - ad es. trimestrale-, dopo di che si avrà un'altra elezione di gruppo di due-tre delegati differenti
- relazione fra i gruppi, attivazione inter-gruppo, oggettivazione inter-gruppo
- le funzioni ancor più differenziate dell'attivo- didattico verranno articolate ed elaborate direttamente nel corso degli incontri dell'attivo-didattico stesso
C) Assemblea istituente-partecipatoria
- la base-concorso di tutti i partecipanti alla esperienza analitica junghiana a sperimentazione permanente: tutti paritetici e perciò con diritto di voto
- elegge - ogni anno - il comitato direttivo-rappresentativo costituito da tre membri: presidente, vice- presidente-segretario, tesoriere
- elegge, ogni sessione, un proprio coordinatore di lavoro
- elegge - ogni semestre - tre membri assembleari della comune didattica o collegio didattico (v. anche punto B)
- dibatte e verifica le linee di ricerca dei gruppi e della comune didattica
- propone linee programmatiche di sperimentazione
- cura il mantenimento di un reale spazio di democrazia partecipatoria, dove le minoranze possono e devono esprimere la loro specifica linea di ricerca entro i limiti della non-sopraffazione, allo stesso modo delle maggioranze, le quali - in tal senso- hanno solo in più il compito prevalente di mantenere le loro linee di ricerca in contrasto dialettico con quelle delle minoranze.
Chiarimenti
a) I membri singolari che non entrino a far parte di un gruppo-particolare confluiranno in un gruppo-generale che come tale all'inizio si configurerà
b) I gruppi-particolari, che si riconoscono quale loro linea di ricerca nel modello istituente rappresentato dall'attuale "statuto" e "regolamento" dell'AIPA, sperimenteranno questo modello comunitario-antropologico, allo stesso modo degli altri gruppi- particolari che avranno adottato il loro "personale" modello, tutti quanti intesi come modelli aperti e pertanto istituenti.
c) I1 primo ciclo di esperienza partecipatoria avrà una durata di cinque anni, dopo di che si passerà ad un ulteriore ciclo sperimentale.
Una precisazione
La presente carta programmatica aperta deriva dallo stimolante "incontro di Teano" fra due gruppi attuali dell'AIPA - il gruppo della "Rivista di Psicologia Analitica" ed il gruppo di Firenze - e con la partecipazione anche di un membro singolo dell'attuale comitato direttivo dell'AIPA a titolo personale, quale elaborazione sia della storia associativa della nostra associazione junghiana, sia della sperimentazione didattica "a-spazio-aperto" condotta dal gruppo di Firenze in questi ultimi tre anni, sia del contributo portato a Teano ed inviato altresì a tutti i membri attuali dell'AIPA da parte del suddetto gruppo della "rivista di Psicologia Analitica". Pertanto questa carta programmatica è da intendersi come una forma di ulteriore concretizzazione delle proposte inviate all'attuale Presidente dell'AIPA da parte del medesimo gruppo della "Rivista di Psicologia Analitica", in data 23/V/1972, per un dibattito alla prossima assemblea dell'11/VI/1972
Per un supporto didattico-scientifico di metodologia antropologia junghiana si rimanda a:
1) Autori vari: Una psicologia per la liberazione; 1'Individuale, Firenze 1971;
2) Autori vari: Senso e identità dell'Associazione Analitica, inviato al Presidente del l'AIPA e a tutti i membri in data 23/V/1 971;
3) C.L. Iandelli: Una rivoluzione individuale = la didattica a spazio aperto; 1'Individuale, Firenze, 1972;
4) "L'incontro di Teano" su "Autorità e potere in un'associazione di psicologi analisti; verso una struttura non gerarchica e una didattica a spazio aperto" del 27- 28/V/12 (contributi in corso di diffusione).
La presente "carta programmatica APERTA dell'Autonomia Policentrica partecipatoria" intende essere un contributo elementare al tema "I1 ruolo della psicologia analitica nel mutamento della cultura odierna", quale motivo culturale del prossimo congresso di Londra della internazionale junghiana, nel 1974; e con particolare riferimento al punto "Il ruolo e la funzione della psicologia analitica nella trasformazione della società".
(Teano, 30/V/ 1972; a cura di C.L.I.)
letto e dibattuto a Saturnia, il 21/1/1973