Copertina_particolare1.jpg (10919 byte)La psicologia analitica in Italia

Quadro storico della psicologia analitica in Italia
sino agli anni Sessanta

La psicoanalisi ha avuto un lento, difficile e faticoso cammino prima di potersi affermare in Italia, ed essere accreditata almeno nell'ambito della cultura, se non nel mondo accademico ancorato alla Psicologia scientifica tradizionale e alla Psichiatria dell'Ottocento. Si può dire che i nomi di Freud e Jung apparvero timidamente sulla scena italiana, a conferma di un ritardo culturale cronico del nostro paese. Nei primi anni del Novecento, apparvero recensioni o brevi articoli sulle opere dei pionieri e sulla tecnica psicoanalitica. Michel David situa nel 1908 l'introduzione in Italia del pensiero di Freud e Jung, ma più attendibile e documentata è la fonte di A. Carotenuto, che data al 1 marzo 1903 la comparsa del nome di C.G. Jung nella pubblicistica italiana.1 Egli, inoltre, presenta la più completa cronistoria bibliografica della presenza di Jung nel nostro paese, che ci consente di rilevare la positività complessiva dei primi giudizi sul pensiero junghiano. Nei primi tempi il nome di Jung è costantemente associato a Freud e alla psicoanalisi. Soltanto verso gli anni Quaranta, se non più tardi, diverrà più familiare la Psicologia Analitica del maestro svizzero che si distanziò dalle teorie psicoanalitiche freudiane sino a rompere poi i rapporti con Freud e la Scuola di Vienna.
La lettura della pubblicistica critica italiana di quei tempi, ci consente di rintracciare le radici che hanno poi fatto crescere la psicologia analitica in una dimensione meno strettamente clinica e positivistica, come invece accadde per il freudismo. Si deve giungere al 1936 perché la ricerca italiana allinei Jung a Freud.
Giustamente Carotenuto ritiene che l'affermazione primaria del freudismo negli anni Venti era più estesa e delineata, perché la teoria di Freud emanava da concetti scientifici radicati alle scienze esatte, più di quanto emergesse dalla teoria junghiana, la quale, già allora, faceva sentire le sue componenti filosofiche e religiose che la distanziavano dal pansessualismo freudiano.
La psicoanalisi freudiana non aveva del resto da contare su una diffusione obbiettiva, se nel 1926 nell'opera di Enrico Morselli, essa viene presentata in maniera del tutto inattendibile tanto da richiamare le critiche di E. Weiss e dello stesso Freud. II moralismo nostrano, i pregiudizi confessionali e un certo clima politico che già si estendeva nel paese, produssero resistenze inconsce e razionali verso Freud favorendo distorsioni ermeneutiche.
Possiamo affermare che la Psicoanalisi si struttura in Italia sul piano operativo, nel 1926, con la costituzione del la prima società psicoanalitica italiana a Teramo ad opera di Levi-Bianchini e alcuni suoi assistenti. Furono tradotti i testi freudiani, tra cui i "Tre contributi alla teoria sessuale,, e la "Introduzione allo studio della psicoanalisi,,. Weiss ritenne sempre, però, che Levi-Bianchini non avesse mai recepito chiaramente il messaggio freudiano. Jung veniva citato, commentato, ma ancora mancavano i suoi veri adepti capaci di tradurne le opere e capirle.
Non è un eufemismo di comodo dire che il provincialismo culturale non era assolutamente ricettivo alla visione junghiana quale emerge da "Simboli della trasformazione,,. Nella seconda metà degli anni Trenta accade invece tutto, nel bene e nel male, per le sorti della nuova scienza psicologica. Nel 1936, a cura di Laterza fu edito "II mistero del fiore d'oro,, di Jung e Wilhelm ma il suo contenuto - assolutamente nuovo per i lettori - presentava i concetti junghiani più complessi, quali archetipo, inconscio collettivo e processo di individuazione.
L'impatto non era dunque dei più proficui, perché tra l'altro si creò subito un fraintendimento di base in quanto il testo apparve nella collana esoterica e l'interesse si spostò sul Wilhelm sinologo!2 Ma nel contempo, come scriviamo più avanti estesamente, giunse in Italia il medico berlinese Ernst Bernhard che sarà il fondatore della Associazione Junghiana nel nostro paese.
Dunque, E. Weiss per i freudiani era già il primo indiscusso padre della Psicoanalisi italiana, membro della Associazione Psicoanalitica Internazionale sino dal 1913 e rifondatore nel 1932 della Società Psicoanalitica Italiana. (E. Servadio, N. Perrotti e C. Musatti saranno i suoi primi grandi allievi) e per gli Junghiani fu Benhard a ricoprire questo ruolo.
In quegli anni il rapporto tra analisti freudiani e junghiani fu buono e certamente uno dei motivi psichici presenti in Bernhard fu quello di unire le due scuole, forse anche come amplificazione del mito personale della polarità ebraismo-cristianesimo da risolvere in una risultante.
Nel 1938, in clima di repressione razziale, fu sciolta la Società Psicoanalitica Italiana ma i suoi membri non si dispersero. Nel 1942, per merito di Cesare Pavese, l'editore Einaudi pubblicò "II problema dell'inconscio nella psicologia moderna,, e questa volta Jung fu posto al centro del l'attenzione culturale italiana. L'accoglienza fu contraddittoria ma ricca di spunti: se da una parte non si comprendeva la specificità della funzione religiosa nei processi inconsci, peculiare della teoria junghiana, dall'altra, si trovavano già gli agganci con il mondo mito-archetipico e persino un parallelo fra Jung e G.B. Vico3.
II periodo più nero, a causa della guerra e della distruzione delle città italiane, vide diminuita ogni attività culturale e soltanto dopo la liberazione e la pace, troviamo a Roma Ernst Bernhard e Roberto Bazlen che danno inizio alla vera, massiccia diffusione della Psicologia Analitica. Bazlen, grande organizzatore culturale, fa uscire per Einaudi e Astrolabio i testi junghiani "·L'io e l'inconscio,, e "Psicologia e educazione,,. Bernhard ha intanto coltivato fitti rapporti con i freudiani e con la scuola junghiana di Zurigo.
Nel frattempo si ricostituiva anche la Società freudiana con Servadio, Musatti, Perrotti, Merloni, Modigliani. Alcuni di loro furono poi profondamente vicini a Bernhard sino alla sua morte. Finalmente, dopo il 1948, apparvero tradotti: "Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia,,, "Tipi psicologici,, e "Psicologia e religione,,. Erano anni in cui figure prestigiose dominavano con coraggio e fede la scena culturale italiana, presa ancora fra i dogmatismi ideologici degli estremismi.
Così a Torino, A. Olivetti sostenne l'opera di Bernhard e Bazlen e ci fu persino l'istituzione del primo asilo infantile aziendale affidato alla direzione di un'analista junghiana, M. Loriga. Fu un susseguirsi di edizioni junghiane tra cui "La realtà dell'anima,, e il testo esplicativo della Jacobi "La psicologia di C.G. Jung,,.
Oramai la Psicologia Analitica aveva trovato i suoi discepoli che si raccolgono intorno a Bernhard.
II primo sodalizio junghiano agisce su vari fronti: oltre alla formazione dei nuovi analisti pensa alla introduzione della psicologia di Jung nelle Università e a curare la traduzione degli scritti. L'azione culturale non ha terreno facile davanti a sé, neppure nel dopoguerra, quando anche da parte cattolica si critica negativamente Jung scambiando le sue categorie psicologiche per un discorso metafisico se non addirittura teologico. E saranno in prevalenza Levi-Bianchini, insieme a Padre A. Gemelli a insistere nella critica fuorviante.
I freudiani si mantennero arroccati nella loro ortodossia e se non apertamente critici, neppure abbondarono mai di propensioni verso i colleghi junghiani.
Ma pure attraverso tante difficoltà e larvate ostilità, la diffusione della Psicologia Analitica in Italia fu assicurata dalla Scuola romana.
Mentre il freudismo dilagava in una pubblicistica culturale che sconfinava nei campi più disparati, fino a ibridare anche l'ideologia marxista, la Psicologia di Jung mantenne e ampliò, quasi in sordina, il suo terreno fertile.