Terzo Millennio:
Luomo simbolico-religioso come via alla "salus"
"I cristiani spesso si domandano come mai Dio
non parli più loro,
come si crede che abbia fatto nei tempi antichi.
(...) Noi siamo a tal punto prigionieri della nostra coscienza soggettiva
da esserci dimenticati del fatto, antico quanto il mondo,
che Dio parla soprattutto per sogni e per visioni"
( C. G. Jung )
Sogno di una paziente:
"Mi trovo allinterno di una piccola chiesa del XI secolo che mantiene
intatto lo stile e lo spirito dellanno Mille; soltanto il soffitto che doveva essere
a capriate colorate mostra un rifacimento, o meglio la sovrapposizione di un soffitto più
moderno che copre tutto lantico; è questa lunica nota stonata
dellinsieme. Sullaltare in marmo cè un crocefisso ligneo dello stesso
periodo, la figura del Cristo appare molto stilizzata.
Mi trovo insieme ad altre persone ed a ciascuno di noi, al momento di entrare in chiesa,
è stato donato un piccolo fiore selvatico. Ogni fiore è diverso dallaltro, il mio
è azzurro con molte tenere foglioline verdi, qualcuno ha margherite, bocche di leone ed
altri fiori ancora di cui non ricordo il nome. Il rito religioso che celebriamo consiste
nel tenere in mano il fiore che ci è stato donato e contemplarlo in silenzio."
"In definitiva - dice Jung - tutti si ammalano perché hanno perduto ciò che le
religioni di tutti i tempi hanno dato ai loro fedeli; e nessuno guarisce veramente se non
riesce a raggiungere un atteggiamento religioso. Naturalmente questo non ha nulla a che
vedere con la confessione di una fede o lappartenenza ad una chiesa. Per il
direttore spirituale si apre un campo immenso; ma sembra quasi che nessuno se ne sia
accorto. Né sembra che il pastore (...), o il sacerdote di oggi, sia sufficientemente
preparato a fra fronte alla poderosa sollecitazione odierna in campo spirituale. Sarebbe
più che ora che il direttore spirituale e lo psicoterapeuta si dessero la mano per
assolvere questo compito gigantesco."
Nellatteggiamento religioso a
cui fa cenno Jung noi riconosciamo luomo che è pervenuto alla consapevolezza dei
limiti assoluti dei linguaggi dati, soprattutto quelli appartenenti alle categorie
semiotiche, segniche, razionali; che usa i simboli sapendo di esprimere un non dato che
rinvia ad ulteriorità non situabili nello spazio-tempo conscio; luomo che definiamo
e chiamiamo simbolico religioso.
A lui, dunque è restituita tutta la libertà di accedere alla gamma di esperienza
psichica possibile; ed in questa libertà di sentire - essere - esistere lanima
trova il suo gradiente che non è un linguaggio, ma via al cuore e indicazione della
Natura a cui lIo razionale-istintuale non può aggrapparsi. è in questa realtà
della Psiche vivente che è possibile laccadimento, limmediatezza, la
rivelazione della propria capacità creativa e religiosa, che significa libero,
incessante, naturale fluire dellenergia vitale.
Luomo che non conosce la realtà della Psicologia del profondo si mantiene oggi
scisso e polarizzato sullestremo lembo conscio logico-scientifico.
Lesperienza globale delluomo è immersa - lo voglia o no - in un mondo
naturale noto e ignoto, in un universo di prove personali transpersonali, psichiche e
archetipiche, immanenti e trascendenti dove tutto può convergere e divaricare.
Scrive Umberto Galimberti: "Larchetipo junghiano, nellaffinità delle sue
contraddizioni, nella coincidenza degli opposti che in lui si esprime, non è una cosa,
non è unimmagine, non è una verità, non è un a priori, non una fantasia, ma è
un simbolo che mette insieme (syn-ballein) il linguaggio umano con la fonte pre-umana da
cui il linguaggio si è separato. (...) così dopo Jung non si può fare psicologia se non
accedendo alla nascita della psicologia che non si trova nei libri scientifici, ma in quel
pre-testo che è la religione".
Se luomo di oggi, dunque, non ri-lega il linguaggio umano, istintuale e razionale, a
questa fonte pre-umana, corre il grave rischio di una inflazionata o rigida
identificazione con uno dei due poli, escludendo laltro. Tale identificazione può
soltanto produrre, allora conflitto coatto, fisso, non dinamico; nevrosi per insufficienza
di linguaggio, di strumenti conoscitivi, di valori fondanti.
Troppe psicologie si fermano a considerare
le manifestazioni e i comportamenti umani nei campi razionali e biologici e riducono
luomo a puro sintomo: a segno leggibile una volta per tutte. Infatti le psicologie
scientifiche includono volentieri nella nosografia patologica le esperienze soggettive
come la paura, langoscia, il dolore, il fantasticare, leccitazione, la
malinconia, leuforia. E troppo spesso dimenticano che letteratura, poesia e
religione, teatro e mistica hanno nei secoli fiorito incentrando le opere darte
proprio su tali esperienze delluomo.
Dice Nietzsche: "Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella
danzante.
Io vi dico: voi avete ancora del caos dentro di voi".
Il simbolo è irriducibile sia al sintomo che al segno, sia alla metafora che alla parola,
diciamo che lIo non può che farsi ferire dai simboli se vuole incontrare la Conoscenza.
Luomo simbolico è superamento dei
confini dati, raggiunti. è un uomo in cammino, tale solo se si apre allulteriorità
di senso e di linguaggio, cioè se riesce ad accogliere simboli capaci di unificare gli
opposti ed ad uscire da una fenomenologia interpretativa ed esplicativa.Il mondo biologico
e lo psichismo soggettivo possono essere uniti nellesperienza soltanto dal simbolo.
Freud cercava nei traumi la causa dellumana sofferenza, ma definiva simboli i
sintomi psicosomatici; per di più riferiti sempre allenergia sessuale. è qui che
si arresta la capacità psicodinamica del freudismo, perché i sintomi sono esperiti dal
soggetto come qualcosa di noto, di definibile, per di più corporeo.
Allora nel linguaggio psicoanalitico i sintomi assumevano carattere di simboli, anche
onirici.
Tutto rinviava al corpo, al sessuale, alla materia, al determinismo positivistico. I
simboli agganciati ai sintomi in senso freudiano divennero fatalmente segni. Da qui il
formarsi di una vera e propria semiotica psicoanalitica che circoscrive luomo ai
segni, cioè lo riferisce riduttivamente alle manifestazioni del dato di fatto, del
sintomo-trauma, sia esso interno od esterno.
Non si può parlare di un uomo simbolico
né con Freud né con Lacan, perché segni, allegorie o grammatiche, non possono definire
luomo globale-intero; tuttal più lo interpretano.
Per Freud, sappiamo, era incompatibile uscire dal codice sessuale per dare altro referente
alla situazione psicologica.
Jung si separò da lui quando comprese che il simbolo non si lascia catturare da nessun
codice. Giustamente U. Galimberti sottolinea questo limite nel freudismo quando scrive:
"Da Eraclito a Goethe, la natura ama nascondersi. Con Freud litinerario che si
dischiude porta a scoprire il nascondimento segreto. Lipotesi è illuministica, la
categoria che la presiede è il progresso della civiltà sulla natura, la metafora che fa
da sfondo è il colonialismo. "Dovera lEs, deve subentrare
lIo". La morale che ne scaturisce non è quella degli asceti, ma quella dei
conquistatori. Linconscio non è eterna creatività di forme, "spettacolo per
sempre nuovi spettatori", ma landa da civilizzare, terra disponibile per le opere
della ragione."
La psicologia di Jung, come si comprende facilmente, punta alla funzione terapeutica più
ardita, lasciando campo libero al simbolico e al religioso, con lidea che una simile
energia irriducibile e non quantificabile, quasi omeopatica - diremmo - produce la restitutio
ad integrum dellessere.
Luomo simbolico-religioso è integrazione armonica dei contrari, ove non esiste più
prevalenza dellIo né della psiche inconscia. Si è dunque nel pieno significato di re-ligo
e di syn-ballein: legare, attaccare, mettere insieme; che dai latini al medioevo
riconduce luomo al dio vivente, con pietà.Con il processo di individuazione
lIo razionale è ricondotto con pietas, a ri-legarsi con lanima, con la
psiche inconscia o mondo irrazionale che sia, con lOmbra, con laspetto
primario di sauro, con gli istinti, e insomma con le più abissali ambivalenze pulsionali.
Esplosione della tragedia allora, del misterium individuationis, dove luomo
intelligente e logico si china e riconosce il proprio essere umano, essere tutto
quello che è, nulla escluso.
I suoi piedi sono sulla terra, come radici che succhiano linfa dalle origine ctonie e
oscure. Il suo tronco è nellesistere nel giorno, nel tempo; e cresce nelle braccia
e nella testa, che sono suoi rami e fronde protese al cielo.
Luomo simbolico ormai non può che recare listanza religiosa. Il rischio della
verità non può limitarsi a battere le vie dellimmanenza, come non può sottrarsi
nelle fughe metafisiche. Luomo simbolico rimane tuttavia fedele alla necessità che
regola la natura.
"Siate fedeli alla terra!" - esorta Zarathustra di Nietzsche.
La tèchne, la tecnica che ancora oggi arzigogola sulla trasparenza del
transfert è assai più debole della necessità, come dice Eschilo.
E vorrebbe dominarla.
Luomo simbolico riconosce soltanto i limiti imposti dalla natura. E supera tutti gli
altri creati dalluomo contro natura. Luomo simbolico può esistere alla sola
condizione di ri-entrare nella verità della natura. Che non è idilliaca, bensì tragica,
come sapevano i greci. Perché la sua norma non consente di scegliere il bene e scartare
il male; scegliere la gioia e lasciare il dolore.
La necessità contiene tutto: come sappiamo dalla relazione analitica. La tecnica
stabilisce un dominio, un controllo. La necessità cancella i domini e impone
laccadere, il succedersi. Come le stagioni, le fasi lunari, la nascita e la morte.
Se esiste qualcosa che avvicini allesperienza della necessità, questo è proprio il
simbolo che indica quellunità, quella pienezza con remote distanze, quella tensione
verso un totalità assente, rimpianta, richiamata dallincompiutezza di senso e
dallintrinseca povertà immanente, dellesserci-qui dellhic et nunc.
Possiamo dunque sintetizzare che
luomo simbolico è partito dallesperienza clinica per giungere nella sua
incessante, parabolica necessità di ricercare la salute, alla visione delluomo
psicologico analitico del profondo nel tempo di C. G. Jung.
Ma oggi noi un interiore, patito, e trasceso Jung chiede a noi, Impone a noi, indica a
noi, di proseguire oltre la psicologia analitica, nel pieno prodursi dellaccadimento
e dellulteriorità di senso e di significati.
Ma proseguire con quale atteggiamento, con che disposizione?
Con la psiche totalmente ricettiva, aperta rischiosamente e tragicamente oltre
lanalitico. Quella psiche - intesa come Anima e Cuore - che, ricettiva, accoglie e
si abbandona, come eterno femminino, ad una realtà più grande, colma di salvezza e
salute che la vivifica e la incarna in una continua Relazione.
Ci è gradito citare, nel concludere
questa nostra comunicazione, le parole che scrisse E. Bernhard nellintroduzione al
testo del padre Jean Pierre De Caussade "Abbandono alla provvidenza divina":
"Nellabbandono alla Provvidenza Divina troviamo così, per la psicologia e
dellesperienza religiosa e del processo di integrazione della coscienza, una ricca
fonte di sorprendenti parallelismi con le più essenziali manifestazioni religiose di
tutte le epoche - latteggiamento religioso dellabbandono si avvicina
particolarmente a quello del Bhakti-Yoga indiano e del Taoismo - ed infine delluomo
moderno nel processo di integrazione della coscienza, processo di individuazione come
lo definisce e descrive C.G. Jung.
Meta ultima di questo processo - dopo la debita assimilazione dei contenuti psichici
rimossi nellinconscio alla responsabilità della coscienza attuale - è appunto il
raggiungimento di quella trasformazione dellio primitivo ed ascrivente tutto a se
stesso, la quale scaturisce dalla integrazione della coscienza attraverso la esperienza
vissuta del fino allora inconscio costante operare del Sé o Imago Divina
(Dio, Cristo, Divina Provvidenza, Atman, Purusha, Tao o come altrimenti lo si denomina)
nellanima e nel destino delluomo - trasformazione che lo spirito cinese
dellI King (Libro dei mutamenti) così definisce:
Il benigno lo scopre (il Tao) e lo
chiama benigno.
Il saggio lo scopre e lo chiama saggio.
Luomo inconscio vive di lui giorno per giorno e non se ne accorge".
O descrivendo la stessa trasformazione con unespressione Paolina (Gal. 2,20):
"Vivo, ma non più io;
Vive invece Cristo in me".