La paura nel processo di individuazione
L'uomo rimuove la sua morte, si considera eterno e, in questa eternità
fittizia, aspetta che le cose intorno a lui si compiano.
Dalla nascita alla morte tutto può accadere. In questo intervallo di possibilità egli si
dibatte tra razionalità e sentimento; la sua mente gli chiede di essere ciò che il suo
cuore non sempre condivide.
Questi, seguendo i dettami della ragione, evita di farsi quelle domande a cui solo il suo
cuore, se ascoltato, potrebbe rispondere.Tutta la struttura della società lo porta
gradualmente a vivere secondo leggi e dogmi già stabiliti, insegnandogli a non ascoltare
se stesso.
Giorno dopo giorno le regole assorbono la sua capacità di scegliere, e l'uomo si muove
sempre di più in un mondo in cui le certezze sono il bene, e l'incertezza ed il dubbio
configurano un mistero malato da cui difendersi.
L'alternativa a questo comportamento è la disapprovazione del collettivo e, secondo la
legge totemica, l'allontanamento dal clan. Anche se sommaria, crediamo che questa
descrizione renda molto bene la guerra a cui è sottoposto l'uomo durante tutta la sua
vita.
Possiamo dire che nel momento in cui l'essere umano si rivolge domande sul contenuto e sul
senso della propria vita, sottraendo le sue idee alla totale identificazione con il
collettivo, egli si muove verso un primo esperimento di consapevolezza. Questo è il
percorso che lo porterà a scegliere se stesso e contemporaneamente ad incontrare i vari
gradi di paura. Dar forza alle proprie idee porta ad entrare in contatto sia con la
paura del distacco dalla famiglia (clan), sia con la paura della sofferenza che deriva
dall'abbandono e dalla rottura del legame.Per non soffrire egli può accontentarsi di
vivere all'interno di una posizione rassicurante, protetta e avallata da norme e regole
socialmente accettate e condivise.
Ma a volte la vita pone degli intralci e la sicurezza raggiunta pare dissolversi, cadono
le certezze e tutto diventa sfumato e pericoloso. Per riconquistare il vecchio equilibrio
l'individuo si trova nella necessità di porsi delle domande ed è allora che si imbatte
nella paura di affermare se stesso al di fuori di regole rassicuranti. Si trova
costretto ad assumere personalmente le proprie responsabilità fra cui quella di
manifestare e realizzare se stesso nella sua più peculiare individualità. Da qui
l'insorgere di un altro grado di paura: la paura di vivere, che in ultima
analisi è paura di morire cioè di entrare nel flusso continuo della trasformazione.
"Giacché la vita e la morte sono una cosa sola
così come il fiume e il mare "1
Quando l'uomo rimane nel passato e non accetta il divenire, torna
indietro; infatti arrestando il processo evolutivo, regredisce rispetto al divenire. In
altre parole l'accadimento che turba l'equilibrio precario di una situazione
indifferenziata fa scaturire la tentazione di esistere e la necessità di essere.Questo
processo si ripresenta ad ogni istante nel corso della nostra vita e, anche se pensiamo di
essere arrivati all'ultimo stadio, c'è sempre una parte dell'uomo che deve prendere
coscienza dell'indifferenziato.Tale processo fluisce nel corso dell'esistenza; quello che
oggi è un'acquisizione interiore, apparentemente definitiva, può essere una regressione
domani se ci si cristallizza su questa posizione.
"Perché giunga il meglio il bene deve cedergli il passo. ... La strada che si
cela dentro di noi è come un elemento vivente della psiche, che la filosofia classica
cinese chiama "Tao" e paragona a un corso d'acqua che inesorabilmente scorre
verso la propria meta. Essere nel Tao significa compimento, integrità, vocazione
pienamente realizzata, principio e fine, e completa realizzazione del significato
dell'esistenza intrinseco a tutte le cose".2
Non inserirsi nel flusso del Tao, o del divenire, non realizzare che bisogna superare il bene
perché è nemico del meglio e rimanere ancorati al bene, questo è paura.
"Ciò che un tempo esisteva non è più,
Ciò che non era è divenuto
e l'intero ciclo si è compiuto di nuovo."3
Colui che ha paura, quindi, teme di abbandonarsi al nuovo e rimane
ancorato ad una vecchia situazione sia essa di bene o di male, che comunque rappresenta un
qualche cosa di conosciuto da cui è preoccupante distaccarsi.
La paura è un potere che trattiene nel passato, non immette nel presente e allontana dal
flusso benefico della trasformazione e del divenire. Di fatto si ha paura del vecchio e
in egual misura si teme il nuovo.
Il Tao è quella linea che attraversa, percorre ed esiste contemporaneamente nel
passato, nel presente e nel futuro, che conserva in sé gli opposti e, senza mai sommarli,
li regola nella loro alternanza; come un fiume che scorre è sempre lo stesso fiume, ma
mai la stessa acqua.Così come la respirazione si alterna tra inspirazione ed espirazione,
l'esistenza fluisce e si manifesta in processi ritmici ed antinomici di vita e di morte.
"La paura della morte non è che il tremito del suddito
quando la mano del re gli si posa in fronte in segno d'onore.4
Quando il processo si blocca e si paralizza in un polo per l'insorgere
della paura, si manifesta il sintomo. Questa dinamica non è così chiara come a prima
vista può sembrare perché manca la consapevolezza della paura. Quest'ultima parla, anzi
balbetta attraverso il sintomo.La paura, da sintomo limitante, deve diventare la chiave
che permette di comprendere l'essenza più profonda dell'uomo alla ricerca di se stesso (homo
viator).Il dolore che il sintomo arreca, sia esso fisico o psichico può rimanere
improduttivo ed esaurirsi nel rapporto di causa-effetto, cioè nella serie infinita di
assunzioni di rimedi farmacologici che possono curare la malattia-sintomo senza arrivare
alla radice di essa. In questo caso il sintomo non mantiene l'estensione del suo
significato etimologico di avvenimento fortuito5,
caso che improvvisamente appare in una situazione consolidata e tranquilla, cioè stimolo
per un allargamento di visuale e per un cambiamento di ottica, ma diventa un fatto da cui
bisogna difendersi (guarire).
E' evidente che l'atteggiamento dell'individuo ed il rapporto di dipendenza con il farmaco
si sostituiscono alla consapevolezza.L'Io è passivo, dal momento che ha delegato i suoi
poteri alla "malattia" ed alla "cura" di essa, rimane ancorato
all'espressione fisica del disagio interiore.La dinamica interiore viene continuamente
proiettata all'esterno.
In questo caso ricadiamo vittime di quel meccanismo peccato-sofferenza-perdono che siamo
abituati a vivere come esaustivo delle nostre pene. Quando l'uomo assume un farmaco che ha
la possibilità di guarirlo instaura con questo lo stesso rapporto deviante che un certo
tipo di cattolico osservante ha nei confronti della confessione-comunione.
Il dolore, la sofferenza sono l'espiazione del peccato e l'ostia
contiene la possibilità di un perdono risanatore.E' l'idea del male che sta sempre in
agguato per carpire l'uomo ignaro, che toglie all'individuo la possibilità di reagire.
Con questa idea l'uomo vive con il desiderio di non infrangere alcun tabù per conservarsi
sano, ma ciò impedisce l'oscillazione tra i poli e cristallizza l'essere umano in una
ribellione più o meno oscura.
Come abbiamo detto all'inizio, l'uomo si dibatte continuamente fra ragione e sentimento,
fra logos e caos, bene e male che sono sempre le stesse facce della stessa medaglia.
"Coscienza e inconscio non producono come sintesi un tutto se l'una è repressa e danneggiata dall'altro e viceversa. Se devono combattere tra loro, che sia almeno una battaglia leale con eguali diritti per entrambe le parti. L'una e l'altro sono aspetti della vita. La coscienza dovrebbe difendere la sua ragione e le sue possibilità di autodifesa; ma anche alla vita caotica dell'inconscio dovrebbe essere permesso di seguire la sua strada, nei limiti in cui ciò sia tollerabile...
Questo è pressappoco ciò che io chiamo processo d'individuazione.
Come già indica il nome, si tratta di un processo o di uno stadio dello sviluppo che nasce dal conflitto fra i due fatti psichici fondamentali"6.
Per rendere possibile ciò l'individuo deve mantenere sempre viva questa differenza di potenziale fra gli aspetti costituenti della psiche per far scorrere quella energia che alimenterà la sua trasformazione profonda.Appare evidente quindi che il dolore e la paura possono arrestare l'uomo in un aspetto antinomico della vita, ma possono anche essere vissuti come elemento produttivo di trasformazione.
"Non esiste male,
Esiste solo il compito che non è riconosciuto
.............
Il male è bene in formazione
ma non ancora pronto". 7
Note:
Ovidio - Metamorfosi XV, 184\5
Cortellazzo M. Zolli P. - Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1991.
Mallaz G. - Dialoghi con l'angelo, Ed. Sarva, Imola (Bo) pp. 154\155
Donella Bigazzi - Carlo Alberto Cicali - Iva Fabbri
Sergio Gaiffi - Mariacarla Sinnati - Antonio Tirinato
Sta in:
Analisi dei segni - Rivista di Medicina, Psicologia e Scienze Umane
Semestrale - Anno 3 - Numero 5 - 1993
Edita dall'istituto di Ricerca sul Pensiero