Mauro Mugnai
Introduzione
Parleremo di Alchimia, argomento quanto mai oscuro alla maggior
parte di noi, argomento fantasioso che è entrato nel luogo comune come per esprimere un
concetto astruso fondato su niente, frutto di menti bizzarre e non scientifiche. Ebbene
uno dei motivi per cui siamo qui è proprio per cercare di sfatare questo luogo comune e,
soprattutto, cercare di creare interesse o almeno curiosità per un argomento che sta
ritrovando nuove interpretazioni, che ha influenzato e influenza la Psicologia, l'Arte, la
Letteratura, la Religione e da pochi anni, sorprendentemente, perfino il mondo scientifico
e in particolare la Fisica Ufficiale che ha elaborato addirittura un nuovo approccio
metodologico. L'idea dei "Frattali", come espressione dinamica e geometrica del
Caos, della "Meccanica Quantistica" e della "Relatività", fanno parte
di questo nuovo metodo. I frattali espressione grafica della congiunzione del mondo
matematico e il mondo puramente estetico della natura, possiedono una caratteristica,
quella di essere dotati di "ricorsività infinita". Ciò significa che la loro
struttura geometrica si ripete continuamente in natura, con qualsiasi scala di
ingrandimento li si voglia vedere, sempre uguale e tuttavia sempre diversa a se stessa. La
fisica quantica abolisce la distinzione fra energia e materia, dimostra come in realtà
l''osservatore' sia un partecipante all'esperimento atomico, che può esercitare degli
effetti sulle particelle stesse. Fritjof Capra nel suo libro "Il Tao della
Fisica" ad un certo punto dice: "La teoria dei quanti rivela un'unicità di base
dell'universo. Mostra che non possiamo scomporre il mondo in unità piccolissime
dall'esistenza autonoma. Via via che si penetra nella Materia, la natura non ci mostra
nessun 'fondamento di edificio' isolato, ma appare piuttosto come una rete complicata di
relazioni fra le varie parti del tutto. Il ruolo che l'osservatore riveste in queste
relazioni è sempre e necessariamente essenziale. L'osservatore umano costituisce sempre
l'anello finale della catena dei processi di osservazione, e le proprietà di qualunque
oggetto costituito da atomi possono essere comprese solo in termini di 'interazioni
dell'oggetto con l'osservatore'. Questo significa che l'idea classica di descrizione
obiettiva della natura non è più valida [...]. Nella fisica atomica, non si può mai
parlare della natura, senza parlare, allo stesso tempo, di noi stessi."
Non solo la fisica atomica porta avanti le idee di coscienza e di unità. La teoria del
'Caos' apre la possibilità che una piccola azione possa determinare effetti che si
ripercuotono sull'universo intero, definito sinteticamente come 'effetto farfalla'.
I vecchi e rigidi confini fra mente e materia possono essere superati, perché nulla si
crea né si distrugge, ma si trasforma. Queste nuove premesse scientifiche sono molto
vicine a quelle su cui si basa l'Alchimia; per questo pare possibile che essa possa ancora
fornire nuove intuizioni scientifiche.
Da un punto di vista etimologico la parola Alchimia, secondo l'opinione più diffusa,
deriverebbe dall'arabo "Al-Kimiya". Con tale termine gli arabi
intendevano "l'arte di fabbricare l'oro e l'argento partendo da metalli diversi o
vili."
Nei testi che ho consultato, anche autorevoli, non c'è chiarezza sull'origine del suo
significato. Tutti insistono sull'origine araba dell'articolo determinativo al,
tradotto 'il', mentre molto meno chiara appare la seconda parte della parola, Kimiya,
di origine incerta, ma che comunque non appartiene alla lingua araba, forse all'egiziano o
al greco. All'egiziano perché sarebbe da ricondursi al termine "Chem"
che significa "nero" con riferimento alla terra d'Egitto resa nera dal Limo
alluvionale del Nilo (mi sembra peraltro importante e non casuale l'accostamento tra
l'arte della trasmutazione e l'aspetto fertile della terra e quello fecondante del Nilo).
Altri invece ritengono che la derivazione più probabile sia dalla parola greca "Chyma"
con significato di "mescolare" collegata al processo di fusione del metallo.
Vorrei però proporre un'altra interpretazione, un'interpretazione "alternativa"
e un po' esoterica, nata da un'intuizione di René Guénon, che mi pare molto stimolante e
degna di essere ricordata. Tale parola, sembra solo apparentemente di origine araba, ma
meglio sarebbe dire che gli arabi hanno mantenuto il termine che invece trae origine dalla
radice greca che significava "mescolare". Questa a sua volta sarebbe la
traduzione greca di un termine egizio, Kemet, che connota l'Egitto come 'terra
nera', in opposizione alla 'terra rossa' del deserto. Erodoto definisce l'Egitto 'dal
terreno nero'. Si deve ricordare, infatti, che "l'Egitto, - scrive Plutarco - che
ha la terra così nera, viene chiamato con lo stesso nome della parte nera dell'occhio,
Chémia, e viene paragonato al cuore: perché è caldo, umido e si insinua tutto a
meridione, ossia nel territorio di sinistra del mondo abitato, come il cuore sta nel lato
sinistro dell'uomo, poiché per gli Egizi l'Oriente rappresenta il volto del mondo,
il Settentrione il lato destro e il meridione quello sinistro". D'altronde,
secondo lo stesso Plutarco, il cuore mentre rappresentava l'Egitto, al tempo stesso
rappresentava il Cielo: "Gli Egizi - egli dice - raffigurano il Cielo, che
non può invecchiare perché è eterno, con un cuore posto su un braciere la cui fiamma ne
alimenta l'ardore". "Cosicché - scrive René Guenon - il cuore (Chémia)
è, ad un tempo, il geroglifico dell'Egitto e quello del Cielo". "In Egitto
si sostiene - scrive ancora Plutarco - che Osiride è il Nilo che si congiunge con
la Terra, simboleggiata da Iside, fecondandola. [...] I sacerdoti più sapienti non
solo chiamano il Nilo Osiride [...], ma sono anche convinti che Osiride rappresenti
senz'altro il principio e la natura dell'elemento umido in sé, origine della vita e
sostanza fecondante. [...] Il mito vuole che Osiride avesse la pelle nera, perché
l'acqua scurisce ogni cosa in cui viene assorbita, terra, vesti, nuvole". Egitto,
dunque, come originale luogo di incontro tra Cielo e Terra, luogo del sacro rapporto tra
la terra Iside e il dio Nilo Osiride, dove si può soltanto intuire che esso rappresenta
il "sito recettoriale" della divina, nera, forza fecondante e trasformante la
Terra. È facile vedere, da questo, l'omologia Cielo-Terra (ciò che è in basso così
come ciò che è in alto) e considerato che l'Alchimia vuole ristabilire questo contatto,
mi sembra evidente, salvo qualche ragionevole dubbio, il suo originale significato.
Comunque sia, l'Alchimia è l'Arte della Trasmutazione. L'Alchimista, con il suo lavoro,
cerca di produrre nel materiale su cui sta operando, cioè la Materia Prima, una serie
successiva di mutamenti per condurlo da uno stato grezzo a uno stato perfetto e
incorruttibile. Uno stato che può essere espresso, in una forma semplice ed
esemplificativa, come la trasmutazione del metallo vile in oro. L'oro perché è il più
perfetto dei metalli: è incorruttibile, non si ossida, né è distrutto o alterato dal
fuoco, che può soltanto raffinarlo e purificarlo.
Ma io non voglio entrare troppo nei dettagli più intimi dell'Alchimia, mi limiterò a
fare un'introduzione storico-culturale.
Innanzitutto vorrei premettere che non è assolutamente facile né, forse, possibile, dare
una definizione dell'Alchimia completa e non obbiettivabile. Questa costituisce una
tradizione sapienziale particolarmente difficile da comprendere, sia perché si esprime
principalmente con simboli mitologici che non consentono mai una definizione precisa e
univoca. Sia per la difficoltà di constatare in modo oggettivo il frutto presunto delle
straordinarie trasformazioni alchemiche. Sia perché la storia dell'Alchimia investe un
raggio molto ampio, sia dal punto di vista spaziale che temporale essendo praticata nella
società orientale, araba e occidentale, da più di duemila anni. L'Alchimia inoltre ha
attratto una grande quantità di persone, animate dagli intenti più disparati. Alcuni
erano interessati dall'aspetto più scientifico o intimamente chimico, altri erano
attratti invece dall'aspetto simbolico o filosofico.
Per altri ancora si poteva aprire la possibilità di produrre farmaci realmente efficaci o
una ricchezza enorme. È per questo motivo che l'Alchimia non può avere una trattazione
univoca. Essa, anche se la sua struttura costitutiva principale non si è modificata, ha
subito nel corso dei secoli varie modificazioni interpretative a seconda della cultura e
delle motivazioni di chi l'ha praticata. Ogni alchimista ha voluto dare del proprio, ha
aggiunto immagini non sempre coincidenti tra loro, e a volte ha detto e scritto tutto e il
contrario di tutto, sempre combattuto dalla necessità di tenere nascosti ai "non
iniziati" i segreti della "Grande Opera". Tutto ciò costituisce un aspetto
particolarissimo e importante dell'Alchimia, che io trovo basilare, perché come gli
alchimisti anche gli studiosi di Alchimia descrivono e definiscono la Tradizione Alchemica
in base alle proprie inclinazioni e alle proprie tendenze culturali, ed è inevitabile che
ciò avvenga, perché non esiste un'interpretazione "obbiettiva" dell'Alchimia.
È indispensabile, nell'avvicinarsi ad essa, tener conto, contemporaneamente delle tre
dimensioni di cui è composta: la dimensione scientifica, la dimensione psicologica e
quella spirituale. L'Alchimia, infatti, per molti e forse anche per alcuni alchimisti, è
soltanto l'Arte di fare l'oro o tuttalpiù un tentativo iniziale di una chimica
irrazionale e magica. Ma se l'Alchimia non fosse altro che questo, in accordo con le
parole di Mircea Eliade, non potremmo darle credito e, soprattutto, sottovaluteremmo
l'intelligenza di chi per millenni ha vissuto per essa. Se l'oro fosse stato l'unico fine
perseguito dagli Alchimisti non sarebbe possibile comprendere la loro pretesa saggezza.
Sebbene, comunque, non sia possibile sapere con certezza quali siano le cause storiche che
hanno determinato la nascita delle pratiche alchemiche, è certo però che l'Alchimia non
si è costituita, come disciplina autonoma, partendo dall'intenzione di fabbricare l'oro.
È noto infatti che, fin dal XIV secolo a. C., i popoli mesopotamici conoscevano le
tecniche metallurgiche per raffinare l'oro. Pensare di collegare a questo una disciplina
che ha ossessionato il mondo occidentale per duemila anni significa non solo dimenticare
la straordinaria conoscenza che gli antichi avevano dei metalli, ma anche non riconoscere
la serietà delle loro capacità intellettuali e spirituali. Il pensiero scientifico greco
possedeva, come tutti noi sappiamo, una straordinaria capacità di sintesi e di analisi
razionale, mentre ciò che colpisce di più nei testi alchemici è proprio l'assenza di
spirito scientifico.
Se dunque l'Alchimia non nasceva solo dal desiderio di
produrre l'oro, né soltanto dalla ricerca scientifica, dove dobbiamo cercare le origini e
le autentiche motivazioni di questa disciplina particolare? Essa, secondo
un'interpretazione tra le più affascinanti proposta dallo storico delle religioni Mircea
Eliade, sembra costituire il risultato dell'incontro di una corrente esoterica
rappresentata dai Misteri, come il Neopitagorismo e il Neoorfismo, dall'Astrologia e dallo
Gnosticismo, con le tradizioni delle tecniche metallurgiche più antiche dei Fabbri,
legati magicamente al Cielo e alla Terra da conoscenze rivelate , e custodi dei segreti
dei mestieri come è avvenuto anche in Cina con il Taoismo e in India con il Tantrismo.
È, presumibilmente, nell'antica concezione della Terra Madre portatrice dei minerali
'embrioni' e soprattutto con il lavoro dell'uomo impegnato a estrarre i metalli dalla
miniera, alla fusione e alla forgia che si deve cercare una delle fonti principali
dell'Alchimia, perché l'uomo arcaico modificando con il fuoco la materia si sostituiva in
qualche modo alla Madre Terra o, comunque, ne continuava l'Opera.
La scoperta dei metalli ha contribuito a determinare un rapporto magico tra l'uomo
e la matrice della terra nella quale sono germogliati i minerali. Ha influito
considerevolmente sulla condizione dell'uomo arcaico, determinando una modificazione
profonda del concetto che l'uomo aveva di sé nel Cosmo. Ha costituito uno dei più forti
fattori di spinta dell'evoluzione mentale, psichica e intellettiva, e della civiltà
umana. Il metallo meteorico caduto dal Cielo poi determinava un contatto altrettanto
magico tra l'uomo e il Cosmo rendendolo partecipe di una realtà eterna, permettendogli di
compiere magici tentativi di unificazione di quel Cosmo che la creazione aveva diviso.
L'uomo ha cominciato lentamente a prendere coscienza della disgregazione del Reale
determinata dalla Creazione e da questo momento, anche con metodi diversi, mentali e
religiosi come l'alchimia, tenderà sempre nella sua storia a ritrovare quell'unione
originale del Reale, quel momento di inizio adamitico che condizionerà ogni simbolo, ogni
mito, ogni cultura, sia in oriente che in occidente. Si elaborarono delle tecniche
metallurgiche che al tempo stesso costituivano dei Riti, dei Misteri in quanto implicavano
la sacralità del Cosmo e si trasmettevano attraverso Iniziazioni. L'iniziazione ai
Misteri consisteva nel partecipare alla passione, alla morte e alla resurrezione di un
dio, che il neofita sperimentava direttamente in modo simbolico. La finalità dei Misteri
era la trasmutazione dell'uomo. Attraverso l'esperienza della morte e della
resurrezione iniziatiche, l'uomo come il dio diveniva immortale.
I simboli grafici architettonici cominciarono ad esprimere una
peculiare concezione della realtà rappresentata dalla omologia totale tra il Cielo e
il Mondo. Questo implicava non solo che quanto esiste sulla terra esiste anche
in Cielo, ma che a ogni cosa presente in terra ne corrisponde una identica in Cielo
sul cui modello ideale è stata realizzata. E questo concetto ha seguito nei secoli un
filo comune che ha tenuto unita l'evoluzione mentale dell'uomo da Platone alla scuola
alessandrina con Ermete Trismegisto e la Tavola di Smeraldo, al Vangelo di Giovanni, a
Dante, a M. Ficino e alla filosofia neoplatonica, a Giordano Bruno, alla tradizione
indiana e cinese fino ai nostri giorni. I fiumi, le montagne, le città, i templi, che non
sono altro che l'immagine stessa del Cosmo, esistono realmente a vari livelli
Celesti. Una Gerusalemme Celeste è stata creata da Dio prima che la città di Gerusalemme
fosse costruita dall'uomo, è scritto nell'Apocalisse del profeta Baruc. Tutto ciò che è
conosciuto, tutto ciò che è reale segue questa legge magica delle corrispondenze. Il
cosmo è diviso in regioni governate dagli Dei, regolate dai pianeti. Tutto ciò che
succede in una zona celeste succederà anche sulla terra e sull'uomo che si trova sotto la
sua influenza. Un certo metallo corrisponde a un certo pianeta. Anche gli oggetti, in
quanto creati dall'uomo, possiedono un significato magico. I fatti e i gesti dell'uomo,
poiché si ricollegano a oggetti considerati magici, saranno regolati da leggi sacre. Gli
atti sono trasformati in riti.
Poiché tutto ciò che esiste sulla terra esiste anche in Cielo, era inevitabile una
corrispondenza tra il corpo umano e il Cosmo, una corrispondenza microcosmo-macrocosmo.
La cultura greca fu influenzata profondamente da queste magiche corrispondenze
mesopotamiche tra uomo, pianeti, dei e metalli.
Anche l'origine storica non è possibile fissarla con precisione. Essa fa la sua comparsa
nel mondo occidentale intorno al I - II secolo d. C., ma esistono testimonianze, sempre
secondo alcuni storici e in particolare Eliade, di tecniche alchemiche o pre-alchemiche
legate comunque alla fusione mistica dei metalli almeno mille anni prima. Diventa quindi
cruciale per gli storici capire e scoprire quando ci fu tale separazione, quando cioè
l'Alchimia diventò una disciplina autonoma dalla semplice (si fa per dire) lavorazione e
fusione dei metalli.
Comunque sia, attualmente, la maggior parte degli studiosi ritiene improbabile un'origine
unica dell'Alchimia, anche se ci sono sostenitori dell'origine Egizia, Cinese, o
Ellenistica. Nonostante che i primi documenti alchemici risalgano, come si è detto,
intorno al I secolo della nostra Era è da presumere che si sia sviluppata, prima di
rendersi manifesta, anche e soprattutto, attraverso la tradizione orale con un lento
processo di affinamento e fusione di teorie nate in tempi e in luoghi differenti, con il
concorso scambievole delle culture occidentali, o comunque Ellenistico-Alessandrina, e
orientali.
Secondo la tradizione antica, infatti, le tecniche alchemiche furono rivelate agli uomini
da un dio o comunque da un personaggio semidivino come Ermete Trismegisto o nella
tradizione mitologica greca che, forse derivata e trasformata da quella indiana o cinese,
attribuiva alla dea Cibele la rivelazione agli uomini dei "Misteri" della
metallurgia. ( il cui rito, secondo Mircea Eliade, servirà, con il "Mistero"
della morte e della resurrezione di Attis, da modello all'alchimista per operare anche
sulla materia e determinare la sua redenzione).
Una versione particolarmente significativa di questa tradizione ci è
tramandata da uno dei primi alchimisti a noi noti, Zosimo di Panopolis, vissuto in Egitto
nel II secolo d. C. che attribuisce alla dea Iside la rivelazione agli uomini dei misteri
dell'Alchimia che le erano stati a sua volta svelati da un Angelo corrotto che si era
invaghito di lei. Un testo simile è possibile ritrovarlo anche nel libro di Enoch, un
apocrifo dell'Antico Testamento scritto nel II secolo a. C.
Più tardi, mentre in Oriente e particolarmente in Cina si continuò senza interruzione a
praticare le tecniche alchemiche come ritroviamo nel Taoismo, in Occidente, con la
decadenza dei Misteri dell'antichità, intorno al V-VI secolo la Tradizione Alchemica
Occidentale cadde in declino, rimase però e continuò solo nel mondo arabo a cui dobbiamo
la conservazione e la traduzione dei testi antichi, soprattutto ellenistici che
presumibilmente sarebbero andati irrimediabilmente perduti per sempre. Gli Arabi
svilupparono l'Alchimia e riuscirono a influenzare l'occidente europeo del XII secolo
(tracce di questo fenomeno le ritroviamo nelle cattedrali gotiche), destando nuovamente
l'interesse per l'antica tradizione. Ma essi fecero molto di più. Svilupparono la
tendenza più razionale che avrebbe portato alle scoperte chimiche vere e proprie. L'Islam
rappresentò il custode e il punto di incontro delle diverse correnti alchemiche orientali
e occidentali antiche. Quindi l'Alchimia medievale, che nel XII secolo divenne autonoma
come scienza, non fu più la stessa praticata mille anni prima, ma presumibilmente fusa
con concetti orientali e forse anche Taoisti. Dobbiamo a Marsilio Ficino nel 1463 la
traduzione per Cosimo dei Medici del Corpus hermeticum attribuito a Ermete
Trismegisto a cui si riferirà continuamente nei sui scritti. Ma l'opera più importante
del Ficino rimane: il "De vita coelitus comparanda", in cui compendia la
sua visione dei molteplici piani di una realtà, dove le immagini celesti sono segni e non
cause, espressioni dei divini concetti, simboli dell'anima mundi, dell'armonia del
mondo, dell'anima, delle stelle, dei demoni.
Di questo gigantesco sistema l'uomo diventa il "faber"
che muta, che opera, che capta e imprigiona le forze del cielo per restituire la vita, per
creare magici effetti. L'uomo può arrivare a vedere il cielo popolato di figure, a loro
volta distribuite in altre immagini corrispondenti a quelle stesse del mondo inferiore. A
questi stessi scritti si riferirà spesso G. Bruno, come nella sua opera, "Spaccio
della bestia trionfante".
I testi degli antichi alchimisti sono scritti in uno stile volutamente oscuro e
apparentemente sconclusionato, ornati di immagini simboliche stupefacenti ricorrenti
nell'immaginario collettivo di ogni epoca, espressione dell'enorme potenza
"magica" coinvolgente, presente nel processo alchemico. Sta di fatto che
l'Alchimia era definita da Ruggero Bacone: "La scienza che insegna a trasformare ogni
genere di metallo in un altro" e secondo un alchimista arabo del Medioevo: "Per
mezzo di quest'arte, quei metalli che sono imperfetti nella miniera vengono ricondotti
dall'imperfezione alla perfezione, dalla corruzione all'incorruttibilità." Tale
trasformazione si ottiene mediante la "Pietra Filosofale" o "L'Elisir"
la cui realizzazione costituisce quindi la meta finale della "Grande Opera".
Ma a partire dal XIV secolo l'Alchimia assume anche un altro aspetto, perché oltre a
perfezionare i metalli, l'Elisir svolgerà un'analoga opera di perfezionamento sul corpo
umano.
Comunque sia, oggi sappiamo che non è giusto ridurre l'Alchimia alla pura e semplice
pretesa di fabbricare l'oro o di produrre una medicina per prolungare la vita e sappiamo
che gli alchimisti stessi, nel tramandarci quest'immagine certamente bizzarra della loro
Arte, hanno occultato coscientemente o incoscientemente altri significati. Solo i numerosi
studi compiuti negli ultimi decenni ci hanno restituito una prospettiva più completa,
consentendoci finalmente di comprendere che l'Alchimia è stata qualcosa di diverso e
molto di più: una regola di vita, una ricerca di esperienze trascendenti, un modo
particolare di porsi nei confronti della Natura.
Dobbiamo forse al chimico francese dell'800 Marcelin Berthelot la
riscoperta dell'importanza di un approccio diverso all'Alchimia. Da allora infatti si sono sviluppate molte ricerche di studiosi con obbiettivi
e metodi diversi che si distinguono, principalmente, in tre direzioni.
La prima considera l'Alchimia come sistema filosofico e religioso. I rapporti tra
l'Alchimia e il Taoismo, lo Yoga, l'Ermetismo , il Sufismo e il Cristianesimo sono stati
oggetto di studio di diversi autori come Mircea Eliade, di Andrè-Jean Festugère, di
Henry Corbin.
La seconda considera l'Alchimia come conoscenza magico-esoterica. Su questo piano di
interpretazione si collocano,tra gli altri, pur con posizioni personali diversificate,
Julius Evola, René Alleau, Titus Burckardt e René Guénon e più recentemente da Antoine
Faivre.
Una terza direzione di studi considera l'Alchimia come dimensione dell'immaginario. Gli
aspetti irrazionali dell'Alchimia hanno attirato l'attenzione di alcuni studiosi della
psicologia del profondo, da Herbert Silberer a Carl Gustav Jung e Marie-Luise Von Franz.
Quindi l'Alchimia, l'Alchimia Tradizionale, consiste in una disciplina che comporta un
lavoro fisico, di laboratorio, psicologico e spirituale, in quanto il metallo vile su cui
si opera e l'oro prodotto possono anche essere interpretati come simboli dell'uomo che è
alla ricerca del perfezionamento della sua natura.
Vorrei concludere con le parole di Paracelso, medico e alchimista del XVI secolo :
"La vera Pietra Filosofale si trova senza dubbio nell'inespugnabile fortezza della
verità [...]. Tale pietra sembra vile, disprezzabile ed esecrabile alla gente comune, ma
per i filosofi è più preziosa di qualsiasi gioiello [...]. E il cammino della verità,
che rigenera e rivitalizza ciò che non esiste più, facendolo tornare ciò che era prima
della corruzione, tramuta ciò che non è in ciò che dovrebbe essere. L'oro dei filosofi
che rende ricchi i Saggi non è certamente l'oro con cui si coniano le monete".