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I DOLORI DELL’ANIMA

Thomas Moore nell’introduzione al suo volume "La cura dell’anima" inizia con questa riflessione:
"La grande malattia del ventesimo secolo, che ha a che vedere con tutti i nostri problemi e che ci colpisce sia in quanto singoli individui sia in quanto società, è la «perdita d'anima». Quando l'anima è trascurata, non si limita ad abbandonarci; essa ricompare in modo sintomatico nelle ossessioni, nelle dipendenze di ogni genere, nelle forme di violenza e nella perdita di significato. Noi siamo tentati di isolare questi sintomi o di sradicarli uno per uno; ma il problema di fondo è che abbiamo perso il nostro sapere relativamente all'anima e non ci interessiamo neppure più a esso".
Di questa memoria oggi ci restano solo esili tracce soffocate da tutti gli aspetti tecnologici, e per tecnologico intendo non solo l’aspetto scientifico, ma tutti quegli atteggiamenti che hanno a che fare con il rapporto di causa-effetto, quando è scontato che ad un’azione debba corrispondere una reazione; creando necessariamente un futuro arido e prevedibile.
L’anima, lo spirito dell’uomo, non rientra più nella consuetudine della nostra vita e fa parte, ormai, di un mondo staccato da noi. La nostra ansia di vivere bene ci fa costruire castelli blindati da sicurezze concrete.
Tutto funziona fino a quando il meccanismo regge; ma abbiamo già visto nella favola del re rospo, in una delle prime comunicazioni dell’altr’anno, che la principessina all’improvviso perde la palla d’oro con cui giocava; l’incantesimo rassicurante di una vita dorata si rompe, si frantuma senza rimedio, e tutto è caos.
Nella nostra vita di principessine le perdite delle relazioni rassicuranti, Testi delle piramidi.jpg (24850 byte)le morti, gli abbandoni improvvisi ci destabilizzano facendoci soffrire; le blindature di cui si parlava si polverizzano e la depressione, il senso di vuoto, la disillusione e la mancanza di significato della nostra vita affiorano inesorabili.
Gli schermi che avevamo alzato per rassicurarci, comprendiamo allora che ci proteggevano solo da questo. La certezza ci protegge dal mistero e la ripetitiva sicurezza quotidiana ci preserva dalla paura del caos.
Caos e mistero nella fantasia dell’uomo si identificano, entrambi i termini parlano di una zona dove la ragione non può più entrare, restando riservata solo a coloro che si occupano di quelle attività che hanno a che fare con la parte spirituale dell’uomo.
Così il mistero si trasforma in metodo.
In questo caso sia il mago, che il sacerdote diventano i custodi del limite sacro, gli "unici autorizzati ad avere rapporti con il numinoso; questa delega di potere fa nascere la frattura, dolorosa per l'umanità, fra sacro e profano".
L'uomo delegando ad altri autorizzati il colloquio con il divino si desacralizza rimanendo immobile, prigioniero del mondo della razionalità.
I miti che fino a quel momento lo avevano sostenuto ed arricchito si svuotano di significato e tutti i simboli che lo avevano definito homo religiosus, si trasformano in segni vuoti di affettività.
"Il sacro non è un momento della storia della coscienza, ma un elemento della struttura della coscienza", e "nessuno guarisce veramente se non riesce a raggiungere un atteggiamento religioso". Tutto questo ci fa pensare che in illo tempore l'uomo attraverso i miti o la visione di ierofanie fosse dal punto di vita psichico in contatto con questa dimensione e quindi con se stesso.
Secondo Hillman "L'archetipo permeava gli eventi raggruppati sotto di esso e il potere numinoso delle figure divine conferiva a qualsiasi fatto venisse accolto nelle stanze della mente una carica di valore emotivo. Le cose si tenevano insieme, non semplicemente per le leggi dell'associazione, che sono essenzialmente esterne e persino meccaniche, ma in ragione della loro intrinseca appartenenza a un significato mitico. (.....) E' attraverso la memoria, che gli Dei entrano nella nostra vita.(......) La psiche è costretta da essi a sviluppare una psicologia che sia basata non sull'umano ma entro il divino.

Cartiglio.jpg (24934 byte)Il disagio indifferenziato dell’uomo di oggi ha quindi pienamente a che fare con la perdita dell’anima, di quell’aspetto sacro che con la sua presenza rende la vita carica di senso.
Come al solito cercherò attraverso il racconto di un caso di entrare nell’esperienza di quanto detto dal punto di vista teorico.
Luigi è un uomo di 50 anni, fa il rappresentante da 30 e si è avvicinato alla psicoterapia, su consiglio del suo medico, per risolvere uno stato depressivo che gli rendeva oramai difficile affrontare l’esistenza quotidiana.
Vedovo con un figlio, si presentava come una umile persona ferita che chiedeva ai farmaci, prima, ed a me, ora, di guarirlo. La crisi, a suo dire latente da tempo, si era acuita in questo periodo per la morte della madre e anche a causa del calo del lavoro dovuta alla crisi del settore in cui opera.
Le sicurezze che lo avevano sostenuto fino ad allora erano crollate: il denaro lo proteggeva e la madre lo rassicurava con la sua presenza, all’improvviso si è trovato proiettato in una vita più crudele di quella che si fosse immaginato e augurato di poter vivere.
Raccontando la sua vita, seduta dopo seduta, si veniva delineando un personaggio tutt’altro che depresso e ferito; aveva diverse relazioni affettive che gestiva con grande maestria e che utilizzava per la propria sopravvivenza. Non con cattiveria o con loschi fini, ma la presenza di molti rapporti era la rappresentazione evidente della sua insicurezza di fondo. Le gratificazioni che ne riceveva rappresentavano la risposta all’eterna domanda che Luciano, ma l’uomo in genere si pone di fronte al mondo:
Sono amato? E se si quanto?
Le risposte che otteneva non erano mai esaustive dei suoi bisogni.
L’abitudine alla facile seduzione, come lui la definiva, logold_bee.gif (2756 byte) rendevano coatto in questo meccanismo: molte conquiste, molti bisogni.
Il meccanico bisogno infantile di essere amato era una droga che andava assunta con regolarità, pena la sofferenza derivata dalla crisi di astinenza.
Fra le tante relazioni, una era più importante delle altre, ma faceva fatica a decollare perché soffocata dai dubbi e dalla difficoltà ad abbandonare le altre. Scegliere voleva dire rinunciare a molte gratificazioni e se poi fosse andata male? Meglio tenere tutto!
La progressiva perdita economica veniva a rappresentare una perdita di energia concreta che lo incitava a reagire, ma non trovava questa forza dentro di sé. Le ristrettezze economiche, sosteneva gli impedivamo di fare scelte, ma di fatto le energie interiori non riuscivano ad esprimersi e preferiva attingerle dai tanti rapporti piuttosto che produrne. Con il passare delle sedute tutte queste donne cominciarono a diventare sempre più rarefatte e la sua attenzione si rivolgeva sempre di più verso quella più importante che era, a differenza delle altre anche libera, senza legami, e con cui avrebbe potuto stabilire, volendo, con maggior facilità una relazione costruttiva. Ma un giorno Luciano mi portò un sogno:
"era con la sua donna importante, alla televisione c’era un bambino di circa dieci anni che parlava. Egli veniva sempre più attratto da quello che diceva questo ragazzo: più lo guardava, più riscontrava tratti familiari su quel volto che appariva in televisione, e sempre di più si accorgeva di essere lui. Questo interveniva dallo schermo con grande sicurezza e pur non ricordandosi che cosa dicesse, Luciano era sempre più colpito dalle parole del bambino".Cartiglio1.jpg (14876 byte)
La sua situazione interna stava cambiando, a colloquio con la sua anima finalmente differenziata dai mucchi di femminili gratificanti riusciva ad ascoltare ora quello che il suo bambino interiore gli stava comunicando. La relazione con l’anima ritrovata, salvata dal cicaleccio dei femminili indifferenziati che lo trattenevano nella dimensione infantile della gratificazione senza costrutto, permetteva alla sua voce interiore di parlare sicura anche se ancora aveva una sfumatura di irrealtà come hanno tutti i programmi televisivi.
Questo dialogo comunque ebbe il suo effetto e le energie giovanili che tornavano in gioco produssero un sensibile beneficio nella vita di Luciano; prese altre rappresentanze di generi complementari al suo e ricominciò con grinta a prendere appuntamenti e a creare nuove occasioni di lavoro.
Attualmente, anche se ancora con un atteggiamento non del tutto lineare, sta cercando con la sua donna importante un appartamento dove poter ricostruire un nucleo affettivo, un nido da cui spiccare il volo verso nuove attività commerciali da aggiungere a quelle che ha ricominciato a svolgere.
La vita, addormentata dal ripetersi dell’elemento gratificante, attraverso il colloquio interiore, ha ritrovato quelle energie giovanili che lo portano, si fa per dire, a rischiare.
In questa storia, comunque, l’elemento a più alto rischio è il rapporto con l’altro dove l’altro non può rimanere solamente un oggetto gratificante al nostro servizio, ma diventa l’altro polo di un dialogo che ci può portare lontano, nei pressi della nostra anima. In questo caso l’unione psichica corrispondente all’unione reale provoca il risveglio di quel bambino che ha ancora energie da vendere e voglia di mettersi in mostra. Tutto ciò a servizio dell’esperienza di un uomo adulto di cinquanta anni.
Il caso di Luciano è il caso di tutti, quando la depressione ci assale, la voglia di lottare ci abbandona, è segno che stiamo facendo un’operazione repressiva nei nostri confronti.gold_djed.gif (3063 byte)

Nella comunicazione precedente parlammo in modo generale del bambino che vive dentro di noi, in questa abbiamo incontrato il bambino di Luciano, ed ora vorrei continuare a fare ulteriori riflessioni su questo tema utilizzando questa volta il mio bambino.
Mi rendo conto che ho difficoltà a mostrare il bambino che ho dentro di me; resisto a mostrarlo, il pudore delle sue sensazioni e delle sue emozioni è la rappresentazione di quanto io lo senta inadeguato a rappresentarmi nella realtà che mi vuole forte e capace. Allora il bambino resta dentro di me nascosto, carico di vergogna e mistero, potremo definirlo il mio elemento esoterico personale, il mio mistero.
Sono convinto che le attese e le aspettative del mio periodo di bambino siano ancora lì presenti e che anni d’analisi di riflessioni e di studi in fin dei conti non l’abbiano neanche scalfito nel suo nucleo profondo; egli continua a pretendere, a chiedere, a immaginare visioni del mondo che sono sempre un po’ più in là rispetto a dove, con grande fatica, io riesco ad arrivare.
tet2.gif (4006 byte)Lui è il motore della mia esistenza; la sua sofferenza corrisponde alla mia disattenzione in rapporto ai suoi bisogni.
La società decide che da una certa età in poi si debba diventare grandi e che è arrivato il tempo di interrompere il rapporto con la fase precedente, ma questa pretesa è assurda, vuota di significato, la forma che ci viene richiesta di assumere è un’identità costruita su convenzioni che non conserva, in molti casi, la Memoria di ciò che sperava di poter essere. Le scelte devono essere ragionate e mostrare buon senso.

Quanti morti ha fatto il buon senso!

L’ordine e la passione, sono due eserciti che lottano nel nostro animo e che non hanno mai la possibilità di fermarsi ad un tavolo per aprire trattative o per sancire una tregua.
Se ci voltiamo indietro vediamo che quel bambino era vivo brillante ed ora noi siamo realizzati, seri e responsabili e forse dopo questa considerazione anche un po’ depressi.
Ma quando riusciamo, perché la vita ce lo chiede, a riflettere su questo, quanta dolcezza e quanta malinconica tenerezza ci afferra il cuore e allora la memoria erompe con tutto il suo potere e ci abbandoniamo a sogni e fantasticherie; questo dura di solito solo un attimo. La realtà ci riporta ad ora e la memoria si annebbia di nuovo e tutto ricomincia daccapo.
I sogni vanno ascoltati dice Jung essi sono "la piccola porta occulta che conduce alla parte più nascosta ed intimafalcrelief1.gif (3868 byte) dell’anima, aperta sull’originaria notte cosmica che era anima assai prima che esistesse una coscienza dell’io (…) col sogno noi penetriamo nell’uomo più profondo, universale, vero ed eterno, ancora immerso in quella oscurità della notte primitiva in cui egli era il tutto e tutto era in lui..."
Se ascoltassimo la memoria di quel bambino, i suoi ricordi e le sue aspettative di vita, che cosa succederebbe di noi?
Verrebbe da pensare che tutto ciò che noi ricordiamo delle gioie e dei dolori della nostra infanzia, siano elementi da considerare come simboli, potenzialità vibranti di una realtà profonda da realizzare.

Hilmann nel "Codice dell’anima" parla a proposito di questo del concetto della ghianda:
"La teoria della ghianda dice che io e voi e chiunque altro siamo venuti al mondo con un’immagine che ci definisce. E questa forma, questa idea, questa immagine non tollerano eccessive divagazioni. La teoria della ghianda sostiene che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di potere essere vissuta. Noi nasciamo con un carattere; che è dato; che è un dono, come nelle fiabe dalle fate madrine al momento della nascita".Cartiglio2.jpg (13617 byte)

Hillman ne parla oggi, ma già Platone, nel mito di Er, e Plotino parlavano di ciò nelle loro opere.
Secondo Plotino, noi ci siamo scelti il corpo, i genitori, il luogo e la situazione di vita adatti all’anima e corrispondenti alle sue necessità.
In questo contesto il concetto Junghiano di vocazione, che abbiamo già visto in altre occasioni, assume un’importanza ed una pregnanza diversa.
"Avere una vocazione, dice Jung, nel suo significato originario vuol dire essere guidati da una voce. (…) La voce interiore è la voce di una vita più piena, di una coscienza ulteriore più ampia. Nella voce interiore, l’infimo e il sommo, l’eccelso e l’abietto, verità e menzogna spesso si mescolano imperscrutabilmente, aprendo in noi un abisso di confusione, di smarrimento e di disperazione. (…) L’uomo che, tradendo la propria legge, non sviluppa la personalità, si è lasciato sfuggire il senso della propria vita. Fortunatamente la natura, benevola e indulgente, alla maggior parte degli uomini non ha mai messo in bocca la fatale domanda sul senso della loro vita.
E quando nessuno domanda, non occorre che qualcuno risponda"

 

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Antonio Tirinato
Centro Icone – Fiesole (FI)

Firenze,27\3\99