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Giano Bifronte
La storia di G.

Bisogna trovare il proprio sogno
perché la strada diventi facile.
Ma non esiste un sogno perpetuo.
Ogni sogno cede il posto
a un sogno nuovo,
e non bisogna volerne trattenere alcuno.

(H. Hesse)

Salute e malattia si definiscono scambievolmente. Infatti soltanto quando una persona registra disturbi di qualsiasi genere, attribuisce al suo stato la condizione di malattia, cosa che generalmente non accade per la salute. Quando questo paradosso si verifica, ne viene immediatamente cercata la causa, e si concepisce la malattia come il risultato di una influenza cattiva, demoniaca, che si è introdotta nell'organismo. Nonostante la nostra progreditissima medicina, si torna all'infrazione tribale, al totem offeso.

"Ancora ai nostri giorni è una reazione comune e probabilmente naturale per un ammalato esclamare "Cosa ho fatto per meritarmi ciò?" oppure "Perché proprio io?"..........Occorre aver presente queste antiche abitudini nei confronti della malattia e della salute nella Weltanschauung della terapia moderna, occorre, ancora una volta, che consideriamo la malattia come il risultato del peccato o della trasgressione contro un potere superiore. Abbiamo bisogno di associare il contributo cristiano a questo modo di considerare la malattia, contributo che è espresso significativamente da Gesù, quando i suoi discepoli fanno riferimento ai peccati del cieco: "Non ha peccato quest'uomo, né i suoi genitori, ma ciò è l'opera di Dio che si vuole manifestare in lui". Entrambi questi punti di vista esprimono la stessa idea, che la malattia è mandata da Dio e che dobbiamo ritornare allo stesso Dio per curarla. Le cause efficienti della malattia vanno considerate come una manifestazione o un sintomo dell'alienazione dell'uomo da quel potere superiore e da quella intelligenza guida che si trovano nella sua propria anima e stanno ad indicare il bisogno di un nuovo schiudersi della sua anima; eppure i guaritori moderni hanno perso del tutto il contatto con il bisogno dell'anima di scoprire scopi e significati in ogni suo profondo dolore....... La domanda vitale non è più "Come posso trovare sollievo dalla mia sofferenza e liberarmi da questa terribile malattia?", ma "Cosa vuole da me il Dio dentro la mia anima? Come posso scoprire l'intenzione nascosta dietro il mistero della mia malattia, affinché possa essere curato?".....
Cosa vuole Dio, non cosa voglio io! Dicendo ciò veniamo a conoscenza del fatto che la nostra vita e il nostro benessere dipendono soprattutto da un potere superiore e da una intelligenza guida, che è al di sopra del nostro controllo, con la quale però possiamo entrare in contatto. Un atteggiamento sinceramente simbolico ci conduce a tale presa di posizione o forse dovremmo dire che questa presa di posizione ci conduce in ultima analisi all'atteggiamento simbolico. Guarire allora diventa essenzialmente una questione di entrare in contatto col Dio, responsabile della malattia, così che possiamo scoprire il mistero del male e forse il miracolo della cura".(47)

Come si può vedere, in un primo approccio, l'uomo attraverso il suo meccanismo proiettivo considera il disturbo come qualcosa che proviene dall'esterno, una sofisticata forma di punizione divina. Ma il disturbo può essere invece interpretato come una protesta biologica nei confronti della non assunzione consapevole del conflitto.
Il conflitto si determina quando una pulsione, che spinge al soddisfacimento del desiderio, non si realizza completamente. Essa infatti può essere sia rimossa e negata sia momentaneamente esaudita, ma può succedere in quest'ultimo caso che chieda ancora di essere appagata. In effetti non se ne é recepito il messaggio più recondito. I conflitti hanno più potere sulla realtà di quanto normalmente riteniamo. Possiamo considerare quindi la malattia come un "appello".
Alla luce di queste considerazioni possiamo rileggere il caso di R.
Il suo mal di testa, le sue frequenti malattie trovano la loro ragion d'essere nell'esigenza di normalità, e nella paura di essere pazzo. Solamente quando accetterà la sua "anormalità" e inizierà a "curare", tutto potrà scomparire. In questo senso R. riesce a superare il conflitto che lo faceva star male e ad entrare in contatto con altre persone che guarite danno valore al suo stato.
"Curare" in fin dei conti è un atto d'amore che trasforma sia colui che lo riceve sia colui che lo dona.
A proposito del conflitto si potrebbe dire che qui si entra nel vasto campo della libertà dell'individuo e di ciò che può essere considerato normale. Se si intende per normalità un primo attacco alla libertà della coscienza ed alle peculiari qualità dell'uomo, nel caso di R., se egli non avesse accettato il suo diverso, sarebbe stato posseduto da una serie di parametri di normalità che lo avrebbero in definitiva ucciso, allontanandolo dalla sua Memoria.
Prendiamo in considerazione i suoi mali di testa alla luce della medicina psicosomatica, notiamo che questi stanno ad indicare aggressività repressa. R. si trova in uno stato di separazione, diaballein, che gli impedisce di mettersi in relazione con il mondo. Poiché le sue capacità di visione degli organi interni non rientravano nei codici percettivi correnti, da cui la convinzione di essere pazzo, si sentì costretto a nascondersi e ad isolarsi. Questo sviluppò in lui un senso profondo di avversione per il mondo che si estrinsecava nei ricorrenti mal di testa. E nonostante che avesse continue riprove della realtà delle sue visioni, lo stato di malessere aumentava sempre più la sua ansia. Infatti quando successivamente decise di curarsi con gli psicofarmaci, su consiglio di alcuni medici da lui consultati, l'ansia si placò, ma le visioni continuarono implacabili.
Questo ci fa pensare che esistono più livelli di intervento e quindi differenti stati aggregativi dell'essere umano, per cui la sostanza farmacologica può avere buoni risultati sul sistema corporeo nervoso, ma ben poco può fare su ciò che corporeo non è.
Ma R. non si arrese, la sua volontà di capire lo portò all'incontro determinante con una psicologa, dove trovò un ascolto attento ed interessato, in definitiva trovò un testimone che gli permise di accettare le sue capacità percettive.
Il testimone è colui che rappresenta il punto di riferimento. Nei flutti del malessere, il testimone è l'ancoraggio che lega alla stabilità, una stabilità che anche se difficile, permette comunque di affrontare convenientemente la situazione di disagio. E' colui che avendo ben visto e ben interpretato, ha evitato l'insidia del senso di onnipotenza che lo vorrebbe spingere a portare sulla propria strada chi a lui si è rivolto; lo accetta così com'è e ratifica il suo essere.
In definitiva gli ha permesso di connettersi con la sua più intima Memoria: R. correva il rischio di sentirsi diagnosticare pericolose psicopatologie che lo avrebbero distolto dalla consapevolezza di stati di coscienza inusuali.
Il sintomo che prima relega, isola e separa in uno stato di avversione, trova infine il suo scopo nell'atto di unione, che ricollega nell'amore uomo ad uomo, ricompone la ferita del diaballein nella relazione fra individuo e individuo, syn-ballein.

Prendiamo ora in esame il caso di G.

G. è un professionista di 45 anni, è venuto in terapia per un profondo senso di insoddisfazione della vita. A suo dire riusciva a vivere solo il venti per cento delle sue capacità ed era convinto che soltanto l'incontro con una donna particolare gli avrebbe restituito l'ottanta per cento mancante. G. è sposato e con figli e non è del tutto soddisfatto del suo matrimonio. Per uno strano caso, proprio agli inizi della terapia, incontra la donna che aveva sempre cercato.
Improvvisamente la vita che sentiva scorrere lenta e stanca prese a fluire e G. si sentì travolto dal fiume delle sue stesse energie. Sentiva di avere il mondo in mano, quel dannato ottanta per cento inespresso finalmente poteva manifestarsi, ma comunque nel più profondo di sé si affacciava sempre una lontanissima incertezza. Dopo sei mesi circa prese la decisione di separarsi per poter andare a vivere con il suo sogno. Ne parla con la moglie e comincia a cercar casa. A questo punto quella lontanissima incertezza prende sempre più corpo. G. racconta: "Mi aspettavo di essere soddisfatto e tranquillo come chi si è levato un grosso peso dallo stomaco, ma si faceva sempre più posto in me un dolore profondo ed avevo la sensazione di andare contro me stesso. Il dolore diventava sempre più profonda lacerazione. Pensavo al dolore che stavo arrecando a mia moglie".
Era evidente che G. si era lasciato possedere da ciò che non si era mai permesso di vivere con la sua compagna. Questa veniva vissuta come ruolo, come se G. non avesse voluto vedere in lei la sua anima. Il percorso di G. era chiaro. La normalità del matrimonio, inteso come una serie di regole e di istituzioni, gli impediva di entrare in contatto con la sua donna, che veniva assumendo sempre più i caratteri di madre. Era lei che apparentemente impediva con la sua presenza il manifestarsi dell'aspetto vitale dell'anima.
In realtà G. non aveva avuto il coraggio di fare un salto nel buio del suo aspetto femminile sconosciuto.
Il nuovo incontro invece gli permetteva di compiere quel salto che gli dava la possibilità di esprimere la parte sconosciuta di sé.
G. si rende conto per mezzo dell'incertezza e del dolore che non aveva risolto il suo problema, ma si era dato anima e corpo ad un'immagine da cui dipendeva. Poiché non aveva agito consapevolmente, veniva posseduto dal fascino numinoso del femminile, che gli impediva di separare la donna amata dalla manifestazione della propria anima. Con questa nuova consapevolezza decide di troncare la relazione e di tornare dalla moglie, con la quale instaura un nuovo tipo di rapporto.
Qui siamo nella situazione descritta da Jung a proposito degli affetti: "Gli affetti non sono "fatti", prodotti dalla volontà, semplicemente insorgono. L'io cosciente è messo in disparte da contenuti autonomi e spesso fino a quel momento inconsci."(48)
G. si rende conto della proiezione e stabilisce un nuovo rapporto con la sua donna, cioè con una configurazione della sua anima, che fino a quel momento aveva definito e ruolizzato. Il contenuto inconscio autonomo che fino ad allora lo aveva posseduto in una fascinazione senza scampo, ora poteva cominciare ad essere espresso consapevolmente.
Certamente, come abbiamo già detto, la giovane coscienza può perdersi nelle fascinazioni dei contenuti inconsci, ma se leggiamo la storia di G. nella chiave dell'incontro/scontro dell'Io con il Drago per liberare l'Anima, vediamo che il processo ha seguito questo percorso: G. identificandosi con l'io contingente che si aspetta di vedere incarnate le manifestazioni dell'anima in una donna reale, imprigiona e perde di vista la sua anima. Ma G. soffre e la sofferenza è la voce dell'anima che chiede di essere liberata.
Il Drago ingaggia la lotta che può essere mortale a vari livelli. Dapprima tenta l'anima e la turba, poi l'ossessiona con stati d'animo e pensieri ripetitivi ed automatici ed infine possiede la volontà attraverso le subpersonalità e i complessi, nei confronti dei quali l'Io è inerme. La lotta con il Drago è pericolosa, perché l'Io, come abbiamo detto nei capitoli precedenti, è inconsapevole della sua stessa Fonte di Vita e delle Forze Telluriche con le quali convive.
In questa lotta G. avrebbe potuto rimanere vittima dell'aspetto fascinoso e divorante della sua proiezione, ma la "caduta agli inferi" è funzionale, lo spinge alla ricerca di se stesso. Nel momento in cui riconosce il contenuto d'ombra proiettivo lo trasforma e decide di avviare un nuovo tipo di rapporto con la moglie.
Il riconoscimento del contenuto d'ombra esige la purificazione: rinuncia all'identificazione e al sogno ed investe tutte le energie che erano dedicate ad esso nel rapporto con la sua compagna. Unisce in un atto cosciente le forze del volere e del pensare e ricostituisce l'unità scissa.
Il cammino di G. è quindi molto simile al processo iniziatico descritto da Dante nella Divina Commedia.
Riconosciute le forze proiettive, Inferno, con la rinuncia alla donna idealizzata le purifica, Purgatorio, per giungere alla consapevolezza di un amore più adulto e maturo per la moglie, Paradiso.
"La guarigione si realizza, quando, riconosciute ed accettate le parti peggiori di noi stessi, le purifichiamo rinunciando all'attaccamento ai nostri impulsi istintuali ed emotivi. In quel momento si fa strada la consapevolezza della nostra essenza spirituale, che è la vera forza di guarigione.
L'egoismo si trasforma in capacità di donazione ed è la vita. L'uomo passa per gradi da un livello di coscienza inferiore, in cui riconosce ed accetta in sé l'esistenza di istinti e passioni, ad un livello superiore che si manifesta come conoscenza ed amore. Attraverso un atto volitivo di rinuncia, motivato dall'intuizione di se stesso come essere spirituale, purifica gli elementi oscuri e li trasforma. L'ossessione, assedio possessivo di forze inferiori, si trasforma in volontà di donazione consapevole allo spirito ed al mondo."(49)
E' il cammino dell'eroe: Gilgamesh, Ulisse, Faust, Parsifal...
E' l'esperienza dei misteri, il significato anagogico (50) della vita che l'anima non scopre per mezzo della razionalità ... leva l'ancora ed arriva al mare profondo dell'essere.
La moglie costituisce per G. la guida che lo conduce fuori dai meandri della proiezione e degli "affetti": egli riconosce, nel suo dolore, il dolore della propria anima negata. "Pensavo al dolore di mia moglie."
Il passaggio attraverso la selva oscura, in cui l'io è posseduto ed è vittima del proprio errore (la durezza di cuore dei vangeli) è necessario e funzionale alla crescita ed alla trasformazione interiore. La discesa agli inferi costituisce il momento in cui si riconoscono gli istinti e le passioni. Un'immagine alchemica rende perfettamente l'idea di questo processo: il vitriol, l'elemento corrosivo della materia. La parola è infatti costituita dalle iniziali della frase: Visita Interiorem Terram Rectificando Invenies Occultam Lapidem.
E' un processo corrosivo e disgregante che arreca dolore.
E l'inferno è pericoloso. Ci si può paralizzare, prigionieri di un dolore sterile e improduttivo.
Il purgatorio rappresenta il vero lavoro interiore di purificazione. Per mezzo della rinuncia l'io compie un atto cosciente anche se doloroso.
Potremmo dire che in seguito all'insight suscitato dalla visione del proprio inferno l'eroe modifica la sua condotta, purgatorio, per conquistare la forza della passione trasformata, paradiso.
In effetti la passione è una forma degradata dell'amore, sperimentata passivamente come necessità.
La notte oscura di Giovanni della Croce, le prove inflitte a Giobbe ("verrà un salvatore" grida Giobbe al culmine della disperazione) costituiscono il punto cruciale, il passaggio che trasforma il dolore in amore.
Come dicevamo a proposito di R. il sintomo ricompone la ferita della separazione, l'unità scissa.
"Gli alchimisti hanno una immagine molto calzante alla trasformazione della sofferenza e del sintomo in un accrescimento di valore dell'anima. Uno dei traguardi del processo di alchimia era la perla preziosa. Questa perla, all'inizio, non è che un granello di sabbia, un sintomo nevrotico, un disturbo, un segreto irritante e noioso della propria carne, da cui non c'è conchiglia che possa proteggere. Questo granello è ricoperto, elaborato giorno per giorno finché diventa perla, ma ancora deve essere ripescata dall'abisso e acquistare autonomia. Poi, quando il granello è recuperato, viene indossato. Deve essere portato a contatto con il calore della pelle, perché conservi la sua lucentezza... Il tesoro esoterico, ottenuto con uno sforzo che nessuno conosce, diviene uno splendore esoterico." (51)
Gli istinti (paura, aggressività, sessualità, potere, ecc.), che separano l'uomo da se stesso e lo possiedono, si sostituiscono alla coscienza dell'io. Per dirla secondo i testi di Qumran lo Spirito della Verità e lo Spirito della Menzogna, perennemente in lotta, si contendono il cuore dell'uomo, ma la verità della luce anelata nelle profondità delle tenebre sollecita l'uomo alla ricerca dell'essere.
La libertà dell'io sta nel separare la luce dalle tenebre con un atto di Volontà che continua nel tempo la creazione: il solve et coagula (separa e aggrega) degli alchimisti. Ed è la storia dell'uomo.

L'homo viator.


Note

  1. - Stein R - Body and Psiche. An archetipal view of psichosomatic phenomena, in Spring 1976

  2. - Jung C. G. - Opere Vol. 9 (Tomo 1), Boringhieri, Torino 1983, pag.265 e seg.

  3. - Fabbri Iva - Op. Cit. , pagg. 67-68

  4. - Dal greco anagein termine marinaio che significa levare l'ancora, salpare.

  5. - Hilmann J. - Vita interiore: l'inconscio come esperienza, sta in Rivista di Psicologia Analitica, Anno IV n°1, Marsilio Editore, Venezia 1973, pag. 85.