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Il Luogo di mezzo

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Il canto delle spade

"Nelle notti calme e stellate, quando la brezza tiepida sussurra sulle brughiere scozzesi, piegando gli steli d’erba e accarezzando l’erica, è possibile udire il canto delle spade.
Alto e chiaro, eppur debole come musica d’elfi, il canto s’innalza dalle rive di un ruscello fra i boschi simile al tintinnio di campanelle lontane.
Tuttavia, strano a dirsi, solo a chi non la cerca capita di udire questa irreale melodia: Se si tende l’orecchio, la musica muore nella solitudine delle montagne deserte.
"

 

"La psiche, dice Jung, è una regione a se stante, dotata di proprie leggi. Non è identificabile né con il cervello ne con gli ormoni, ma è da considerarsi un fenomeno sui generis".

Nella relazione che presentammo al Convegno di Teilhard de Chardin dal titolo "La funzione unitiva" avevamo esordito: "Nel settimanale lo Specchio di alcune settimane fa, in un articolo che parlava delle ultime scoperte sulle potenzialità e sulla fisiologia del cervello si leggeva: "Il mondo esterno, è un mondo astratto buio silenzioso, fatto di onde e vibrazioni: Il cervello deve essere presente affinché si verifichi una situazione di concretezza, fatta di luci e di suoni comprensibili. Dire, ad esempio, "I miei occhi vedono" è inesatto, sono le strutture del cervello che vedono, gli occhi si limitano a trasmettere impulsi elettrici in codice. All’esterno degli occhi non c’è nessuna luce, ci sono soltanto onde. Qualunque menomazione del cervello riduce dunque la capacità di decodificare il mondo anche se i sensi sono perfettamente funzionanti."

Prendendo spunto da questo articolo ci possiamo rendere immediatamente conto come la visione umana sia una visione che proviene dall’interno dell’uomo e che deriva dalla sintesi di processi interni dell’individuo.
Antonio Damasio nella sua opera "L’errore di Cartesio" sostiene che: "...la mente ha la sua sede nei processi celebrali, ma essi esistono perché il cervello interagisce con il corpo e questo con l’ambiente. Non è tutto scritto nei geni, sono le emozioni e l’esperienza a dare forma al cervello. In definitiva il cervello non è un organo già definito fin dalla nascita è una potenzialità che si realizza giorno dopo giorno nell’interazione con il mondo esterno."
Allora la visione o meglio la lettura interiore della visione è all’origine della nostra esperienza. è evidente come il tema psicologico si ponga al centro di questa visione. L’interpretazione fisica della vista ci introduce in una visione proiettiva del mondo: l’uomo vede e pensa che il mondo esista all’esterno di lui, ma in effetti ciò che lui vede è la rappresentazione della sua interiorità, del rapporto che esiste tra emozione e visione. Se sul piano della realtà fisiologica il mondo ridotto ad un insieme di onde elettriche si impoverisce, sul piano psichico questo si arricchisce in modo insperato. La visione del mondo allora diventa una rappresentazione interiore, ma perché questo sia possibile l’uomo deve attingere alla sua funzione simbolica che abita in quello scarto tra vero e verosimile, e che continuamente in oscillazione gli permette di non identificarsi in uno dei due poli. Tale identificazione produrrebbe invece un conflitto coatto, fisso, non dinamico.
L’essere umano che capisca di essere contenuto in un mondo diviso fra ragione e sentimento, tra visione oggettiva e soggettiva e che si faccia carico di questa frattura fino al punto di rimetterla dolorosamente insieme, si trasforma in individuo; ed il mondo circostante costituito, (abbiamo visto prima), da onde elettriche attraverso il simbolo diventa mondo interiore; di conseguenza, il percorso che l’uomo compie nella sua realtà si muta in processo di individuazione. In questo senso assumere un atteggiamento simbolico vuol dire essere tesi al ricongiungimento di parti divise, comunemente gettate fuori di noi, generanti sofferenza proprio perché divise".

La volta scorsa abbiamo visto attraverso il saggio di Eliade come la sofferenza abbia un ruolo primario nell’iniziazione e come questa sia fondamentale nella trasmutazione spirituale. Antonio attraverso le tentazioni riesce ad uccidere l’uomo profano che era in lui e diventa santo; bisogna morire a qualche cosa per diventare "altro". Occorre abbandonare la tradizione per diventare adulti. Abbiamo anche visto come la sofferenza rappresenti la chiamata, l’appello che ci spinge verso altre dimensioni che guardiamo spesso con terrore. Secondo Durand la funzione simbolica nasce dall’impossibilità per l’uomo di fermarsi al senso proprio delle cose. Possiamo affermare allora che la funzione simbolica spinge l’individuo a superare la realtà oggettiva ed andare oltre il fenomeno. Ma l’uomo che vive questa esperienza non può mai dimenticarsi che l’io sarà sempre pronto a degradare il simbolo in un segno fine a se stesso, ed egli dovrà muoversi nel mondo consapevole che "se si tende l’orecchio, la musica muore nella solitudine delle montagne deserte e che solo a chi non la cerca capita di udire questa irreale melodia".
Questo non significa che non bisogna cercare nella vita e che le cose arrivano da sé, ma bensì che quando percepiamo una sensazione, un’emozione o quando un’intuizio-ne riesce a farsi strada faticosamente fino alla nostra coscienza, l’io è tentato di possederla immediatamente.
Se la possiede la razionalizza, la rende sterile vuota e ripetibile; la parola che spiega prende il sopravvento e colma quel vuoto di cui siamo lamentose vittime e a cui non riusciamo ad essere in fondo grati.
La nostra vita si basa sullo star bene, che come abbiamo visto non siamo nemmeno in grado di definire, paradossalmente non trae beneficio da questo, ma bensì dalla consapevolezza dell’assenza che non si può riempire, ed ecco che appare l’esigenza del silenzio che altro non è se non assenza di possesso.
"Il silenzio, dice Rovatti è il contraltare del soggetto che nominando tutte le cose, le ha sottratte alla loro oscillazione di senso per produrle in quell'unico significato inscritto nel nome assegnato. Se si supera l’horror vacui che il silenzio può richiamare, se "non si ha orrore di riconoscere questo vuoto che ci si affretta a riempire, e lo si lascia agire", allora "il linguaggio può entrare in una sorta di oscillazione: nomi e cose si trovano rallentati nella loro corrispondenza. Si rendono più visibili gli scarti e gli slittamenti semantici: la parola, inerzialmente attratta dalla normale organizzazione concettuale, viene portata a manifestare il proprio alone metaforico".

Certe notti per dormire mi metto a leggere e invece avrei bisogno di attimi di silenzio, diceva Battiato.
Di fatto il silenzio non è un vuoto ma bensì un ambiente denso che contemporaneamente ascolta interno ed esterno che fa sintesi intuitive, collegamenti rivelatori, consapevolezze improvvise.

Guai a tentare di possedere tutto ciò!

Nell’iniziazione ritorna con insistenza il tema del distacco e del silenzio in tutti i miti; l’eroe viene a trovarsi in una condizione di isolamento, di distacco e di abbandono in balia di forze che lo minacciano, lo ingannano non certo per distruggerlo, ma per trasformarlo. La balena ingoia l’eroe e gli permette di isolarsi dal mondo e dalla lotta, gli permette di riflettere sulla sua esistenza.
In un certo senso, con un gioco di parole, la mancanza permette all’eroe di riflettere sulle mancanze che hanno guidato fino ad allora la sua lotta e tutto questo prima della rinascita definitiva.
La lotta è stata dura, i mostri affrontati hanno dato all’eroe combattente la certezza della sua forza interiore, ma questo ha ancora una prova davanti a sé: affrontare se stesso, affrontare l’io che cataloga, organizza e divora tutte le esperienze togliendogli di senso.
In questo percorso che noi continuiamo a credere di percorrere e di possedere, solo una parte di noi ne è veramente consapevole, l’inconscio, quello che per noi rappresenta il lato misterioso dell’esi-tenza, ma che silenzioso, immobile ci chiama e ci spinge scongiurando l’arresto mortale.

Jung in una lettera del 1957 al Prof. Oftinger diceva:
"Il rumore è benvenuto perché sovrasta l'istintivo avvertimento del pericolo che è in noi. Chi ha paura di sé stesso, ricerca compagnie chiassose e rumori strepitosi, per scacciare i demoni. Il rumore ci protegge da penose riflessioni, distrugge i sogni inquietanti, ci assicura che stiamo tutti quanti insieme e facciamo un tale chiasso che nessuno oserà aggredirci. I1 rumore è così immediato, così prepotentemente reale che tutto il resto diventa pallido fantasma.
La maggior parte degli uomini teme il silenzio, per cui quando cessa il brusio costante, per esempio di un ricevimento, bisogna sempre fare, dire, fischiare, tossire o mormorare qualcosa.
Il bisogno di rumore è quasi insaziabile, anche se talvolta il rumore diventa insopportabile. È comunque pur sempre meglio di niente. Quello che si definisce, significativamente, "silenzio di tomba", rende terribilmente inquieti. Perché? Vi si aggirano forse i fantasmi! Non credo; in realtà si teme ciò che potrebbe venire fuori dal proprio intimo e quello cioè che abbiamo tenuto alla larga con il rumore".

Il rumore dunque ci impedisce di sentire quella voce che ci ricorda costantemente il motivo della nostra venuta e della nostra esistenza. Il richiamo è costante ed avviene a diversi livelli.

Abbiamo visto nell’altra conferenza che l’adattamento alla mancanza provoca un’assenza di desiderio che ho voluto definire come un’assenza di desiderio di sé e che ritroviamo nella nostra vita tradotta in maniera attiva in un desiderio di te.
Questo atteggiamento sposta e subordina un incontro fantastico con una metà che sappiamo con certezza esistere in qualche parte dell’universo e che vogliamo incontrare a tutti i costi all’incontro con se stessi.
Cercherò di riprendere e chiarire questo concetto utilizzando ancora il repertorio di Battiato, ma prima di tutto voglio ricordare la seguente citazione di Jung:
"I rapporti emotivi sono rapporti di desiderio viziati da costrizioni e mancanza di libertà: si vuole dall’altro qualcosa che priva sia lui che noi della libertà. La conoscenza obiettiva sta al di là della relazione affettiva; sembra essere il segreto essenziale. Solo grazie ad essa è possibile la vera coniunctio".

- Dalla raccolta Fisiognomica del 1988

E ti vengo a cercare

E ti vengo a cercare
anche solo per vederti o parlare
perché ho bisogno della tua presenza
per capire meglio la mia essenza
Questo sentimento popolare
nasce da meccaniche divine
un rapimento mistico e sensuale
mi imprigiona a te
Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri
non accontentarmi di piccole gioie quotidiane
fare come un eremita
che rinuncia a sé.
E ti vengo a cercare
con la scusa di doverti parlare
perché mi piace ciò che pensi e che dici
perché in te vedo le mie radici
questo secolo oramai alla fine
saturo di parassiti senza dignità
mi spinge solo ad essere migliore
con più volontà
Emanciparmi dall’incubo delle passioni
cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male
essere un'immagine divina
di questa realtà
E ti vengo a cercare
perché sto bene con te
perché ho bisogno della tua presenza.

Commentare questo brano probabilmente sarebbe andare contro tutto il discorso sul silenzio che abbiamo fatto prima, ma due parole le devo dire per forza.
Il tema dell’incontro con l’altro, della dipendenza dal rapporto con quella metà di noi che avrebbe l’opportunità di completarci è il tema dominante di tutta l’esperienza dell’uomo, ed in vari modi nello scorrere del tempo guida e condiziona l’esistenza.
Ma se fuori di noi ci sono solo onde e vibrazioni con chi abbiamo a che fare?
Abbiamo sempre descritto il mondo in cui noi viviamo come un mondo duale dove gli opposti si alternano costituendo differenze di potenziale che fanno scorrere l’esi-stenza ed anche l’individuo non si sottrae a questa dualità e la porta dentro di sé come aspetto contrastante e complementare.

All’interno dell’uomo vive una donna e all’interno della donna un uomo. L’anima e l’animus, usando una terminologia junghiana sono quei principi che operano all’interno della psiche inconscia, li incontriamo come consorti, e come amanti nei nostri sogni e attraverso le proiezioni in immagini personificate reali amate fino alla negazione della propria identità.
Queste sono immagini così potenti da possederci fino al punto di mettere in pericolo la coscienza, ma sono anche quei principi, porte dell’inconscio capaci di farci percepire la coniunctio tanto agognata, quell’unione magica con la parte che pensiamo esistere e con cui vogliamo incontrarci ad ogni costo.
Qui siamo nella situazione descritta da Jung a proposito dell’autonomia dell’inconscio e degli affetti: "L’autonomia dell’in-conscio comincia là dove nascono le emozioni. Le emozioni sono reazioni istintive, involontarie che turbano con irruzioni elementari l’ordine razionale della coscienza. Gli affetti non sono fatti, prodotti dalla volontà, semplicemente insorgono. Quanto più forte è un affetto, tanto più si avvicina al patologico, ad una condizione cioè in cui l'io cosciente è messo in disparte da contenuti autonomi e spesso fino a quel momento inconsci."
Come esempio eloquente di questa situazione interiore voglio riportare un sogno di una persona che si trovava al termine di una relazione di grande coinvolgimento emotivo che aveva sconvolto la sua vita:
"Sto guidando la mia macchina per una strada di mezza campagna. All'improvviso, da una curva vedo uscire una macchina bianca che procede contromano; è guidata da una donna.
Questa, con una sterzata improvvisa cerca di evitarmi, ma il fianco della sua auto struscia contro il fianco della mia e prosegue la sua corsa. Mi fermo in uno spiazzo con l'idea di fare conversione e di inseguire questa sconsiderata, ma mentre sto facendo manovra questa si avvicina allo sportello e mi urla delle cose in maniera aggressiva.
La scena cambia ed io mi ritrovo a guardare un kart come se fosse la mia macchina, questa situazione non mi torna ed è come se fossi imbambolato e stupito di avere di fronte a me quello strano mezzo di locomozione, improvvisamente mi torna in mente che questo oggetto non era la mia macchina e tutto sembra riprendere le normali funzioni".

La macchina bianca che si scontra con quella del nostro personaggio che chiameremo z. durante il suo percorso è la rappresentazione della forze che senza controllo agiscono all’interno dell’uomo e che sbucano all’im-provviso e stravolgono lo svolgersi "tranquillo" della vita. L’incidente sospende la coscienza di Z. che si viene a trovare "suo malgrado" in una relazione dinamica con questa immagine femminile che subisce in tutta la sua potenza aggressiva.
Il cambiamento della scena è funzionale a che Z. si renda conto del suo stato di stupore che non era evidenziato nella prima parte del sogno, la dipendenza dalla situazione è fortemente caratterizzata dall’insufficiente mezzo di locomozione che Z. si ritrova a guidare e solamente quando si ricorda che questo mezzo non è il suo, le cose tornano a posto.

Abbiamo visto come la tensione all’unione guidi continuamente l’esperienza dell’uomo e contemporaneamente come sia sempre presente, o meglio in agguato, il rischio di annullarsi nell’oggetto, nella lettera.
Il rischio di fuggire in alto o di cadere in basso equivale a considerare ancora lo spirito ed il corpo entità tra loro separate, ma l’individuo durante il suo percorso di vita dovrebbe riuscire a ridurre questa pericolosa oscillazione ed imparare ad abitare la psiche, quel luogo di mezzo dove lo spirito ed il corpo confluiscono in uno scambio continuo di relazioni.
Questo è un organo vero e proprio che interfaccia la spiritualità con la naturalità istintuale ed è in questa regione interiore che avvengono le celebrazioni dei misteri, è la camera nuziale in cui si consuma il matrimonio sacro; il tempio interiore dove la ragione lascia il campo all’intuizione; qui avviene la seconda nascita dell’ini-ziato, in questo luogo è custodita la Memoria della Perla per la quale siamo venuti.

"L'Animus e l'Anima all'interno della struttura psichica, dice Jung, vivono e funzionano nei più profondi strati dell'inconscio, (...) essi comunicano al mondo effimero della nostra coscienza una vita psichica sconosciuta, appartenente a un lontano passato; comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di sentire, di pensare; il loro modo di sperimentare il mondo, la vita, gli dei, gli uomini. L'esistenza di questi strati arcaici costituisce presumibilmente la fonte della credenza nella rein-carnazione e nel ricordo delle "vite anteriori". Come il corpo umano rappresenta una sorta di museo della sua storia filogenetica, lo stesso avviene per la psiche. Perché negare alla nostra coscienza una storia che abbraccia circa cinquemila anni? Soltanto l'Io cosciente comincia perpetuamente daccapo per trovare una rapida fine, la psiche inconscia, invece non solo è infinitamente antica ma ha la possibilità di estendersi a un altrettanto lontano avvenire. Animus e Anima vivono in un mondo completamente diverso da quello esteriore, un mondo in cui le pulsazioni del tempo battono con infinita lentezza, in cui la nascita e la morte degli individui contano ben poco.....".

 

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Antonio Tirinato - Centro Icone

Intervento tenuto all’Istituto N Stensen il 15\2\97
nell’ambito del ciclo - Percorsi di vita simbolica anno IV°

 

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