ANORESSIA E BULIMIA: Segni di un simbolo
Esiste una profonda relazione fra la madre ed il cibo, infatti già fin
dal periodo della gravidanza il seno materno nutre il figlio con il suo sangue. Sangue che
si trasformerà in latte per il neonato. Sangue e latte che danno la vita e che
appartengono a colei che da la vita.
È una connessione inscindibile: il ricettacolo si fa matrice e nutre: la Madre. Tale
principio femminile comporta gli aspetti ambivalenti della vita e della morte: vergine
madre di luminosa bellezza e divinità oscura, Madre di vita e Madre di morte. Èva
affascinata dalla seduzione del serpente destina i suoi figli al dolore ed alla morte...
la Donna vestita di sole partorisce il Figlio che da la vita...
Per i figli la madre è calore ed amore oltre che nutrimento, fra le sue braccia si
sentono sicuri e protetti. Ma oltre che essere ricolma d'amore essa può incarnare anche
l'aspetto oscuro del simbolo; può essere assente, nel caso che si neghi, o divorante, se
rimane morbosamente attaccata al ruolo di nutrice. Nel qual caso il suo amore corre il
rischio di diventare potere di castrazione. Infatti, poiché attraverso la madre il figlio
entra in contatto con la propria anima ed il ricco mondo delle forze archetipiche, può
accadere che in tale rapporto viva l'immagine deformata dell'archetipo. Si costella così
nell'anima il potere distruttivo della madre ctonia che paralizza lo sviluppo dell'io in
un fascinoso maleficio di autodistruzione. Nel gioco alterno di amore odio la coscienza
dell'io si frantuma in ribellione, paura e senso di colpa. Questo il terreno su cui
possono manifestarsi bulimia ed anoressia. Esse stanno ad indicare una profonda disarmonia
nel rapporto madre figlio e per traslazione un rapporto disarmonico del figlio con se
stesso quindi con il proprio corpo. Il corpo diventa così il terreno della lotta contro
la madre che soffoca e uccide.
A meno che in una diagnosi differenziale non si scoprano fattori organici di tipo endocrino si evidenzia quasi sempre l'esistenza di conflitti psichici che spingono ad assumere troppo o troppo poco cibo. Infatti le emozioni e gli stati d'animo determinati da avvenimenti particolari hanno sempre una notevole influenza sull'assunzione di cibo.
Prendiamo in esame la bulimia. Gli attacchi di voracità coatta,
insopprimibi-le, costituiscono la manifestazione di una compensazione a frustrazioni
affettive in presenza di un io fragile. Tale fragilità insorge a causa di un ambiente
oppressivo ed ansiogeno in cui la presenza di una madre ossessiva può costellare
nell'anima del bambino un complesso di forze archetipiche destrutturanti l'io. La carenza
affettiva determinata da mancanza d'amore o da un amore morboso, che sconfina nel
controllo possessivo, implica un'impossibilità di autoaffermazione, crea un imprinting
animico disarmonico, che si manifesta anche nei successivi rapporti affettivi di tipo
primario, ed ha come conseguenza il rifiuto di sé e del proprio corpo. L'assunzione di
cibo risulta essere così l'unico campo di affermazione in una situazione frustrante,
costituisce l'unico momento che può arrecare piacere in una vita insoddisfatta. Proprio
perché tale, l'atto del cibarsi diventa coercitivo e difficilmente controllabile. Ma
poiché ogni rapporto d'amore comporta anche una caratteristica di tipo sessuale, anche le
stesse frustrazioni sessuali possono essere un fattore determinante nella compulsione a
cibarsi. La madre di morte costellata dalla madre prima e dal partner poi pone in un tale
stato di disagio interiore che può condurre fino alla vera e propria obesità.
Jores nel suo "Trattato di medicina psicosomatica" riporta un termine tedesco di
uso popolare che spiega molto bene la relazione cibo affetto: Kummerspeck, grasso di
afflizione.
Ciò che la vita non può dare sul piano affettivo viene assunto con voracità attraverso
la bocca in un tentativo di regressione verso la prima infanzia, il rassicurante periodo
della vita in cui cibo ed affetto coincidono. Il bulimico incapace di distinguere fra cibo
e affetto compensa con l'alimentazione la mancanza di amore. Questo spiega anche gli
atteggiamenti infantili che a volte sono caratteristici di tali soggetti.
L'inadeguato sviluppo dell'io si fa sentire ancor più nei momenti più difficili della
vita, nei confronti dei quali si sentono impreparati: a questo proposito perfino la stessa
gravidanza può scatenare crisi di bulimia. La mancanza di autonomia, la difficoltà ad
affermarsi vengono compensate dalla mole imponente : laddove non si propone un io forte
che si afferma conquistando uno spazio psichico, viene conquistato uno spazio materiale.
Questo quadro si aggrava ancora di più per l'anoressia.
La madre di morte è ancor più virulenta e lavora a livello del tutto inconscio. Infatti
l'anoressico oppone una notevole resistenza a voler riconoscere i propri conflitti: sta
bene, va tutto bene, i rapporti con i familiari sono buoni... A suo dire ha solo paura di
ingrassare. Assume un atteggiamento difensivo difficile da intaccare. Ancor più che nella
bulimia il corpo è il terreno su cui si manifesta la volontà di autodistruzione che può
arrivare fino alla morte. L'effetto devastante dell'anoressia si vede marcatamente nelle
donne, infatti è una patologia tipicamente femminile. Le mestruazioni scompaiono e per il
dimagrimento anche gli attributi sessuali sono meno evidenti. Ma mentre nella bulimia
l'assunzione di cibo si manifesta ancora, anche se morbosamente, con la ricerca di piacere
e quindi come attaccamento alla vita, nell'anoressia il rifiuto di mangiare diventa il
simbolo stesso del rifiuto di vivere. Rimane comunque all'origine dei due comportamenti un
profondo stato di insoddisfazione e di scontentezza di sé, in ultima analisi uno stato di
profonda depressione, anche se nell'anoressia esso è velato nei primi tempi da un
insolito vitalismo e da una visione della realtà falsamente ottimistica.
Alla base c'è un immenso bisogno di amore, quell'amore che in un modo o nell'altro è
stato negato, la cui assenza per eccesso o per difetto ha determinato una struttura
dell'io estremamente fragile.
L'atteggiamento della madre induce così una profonda sfiducia nelle proprie capacità,
anche se non è sempre la madre a costellare tali situazioni psichi-che; infatti può
accadere che questo ruolo nelle famiglie numerose sia giocato da altri componenti la
famiglia.
Lo stato di fragilità dell'io comporta una dolorosa sensazione di dubbio e di
insufficienza. Dominata da pesanti sensi di colpa, perennemente inquieta, l'anoressica è
tesa nello sforzo di dare il meglio di se stessa alla ricerca di quell'amore che non le è
stato donato e che ora non riesce a donarsi. Il risultato è un rapporto di amore odio con
la figura materna, la ribellione tenuta allo stato pressoché inconscio si manifesterà
sull'unico elemento di potere ricattatorio: il rifiuto del cibo. La protesta inconscia
può arrivare ad estendersi alla vita stessa proprio in ragione della figura simbolica
della madre. E negando la vita madre recide le radici stesse del suo essere donna, la sua
femminilità. Non potendo né affermarsi, né ribellarsi si rifugia in un inconfessato
desiderio di morte.
Come si può notare bulimia e anoressia costituiscono i segni manifesti di un simbolo
distruttivo. Come si può intervenire? Non certo con le imposizioni, né con la
costrizione, soprattutto occorre evitare di porre l'accento sul cibo. Voler imporre diete
ferree o un'alimentazione forzata sortirà solo l'effetto contrario.
Occorre lavorare sul simbolo. Innanzitutto bisogna scindere il simbolo
distruttivo dalla reale figura materna che lo ha costellato, altrimenti si corre il
rischio di farne un capro espiatorio e di penalizzare un essere che è già penalizzato
dall suo stesso modo di vivere. Anche la madre infatti è vittima dell'aspetto simbolico
oscuro che la spinge compulsivamente ad amare in modo morboso, se non la rende addirittura
incapace di amare. Appare evidente quanto potrebbe essere di aiuto chiedere la
collaborazione consapevole della madre allo scopo di stabilire un contatto nuovo, nel
quale, prendendo coscienza di quanto a sua volta sia succube di un simbolo di morte, possa
creare un clima vitale di accettazione e di fiducia.
L'uomo è un essere complesso che riassume in sé le caratteristiche dei tre regni della
natura, con i quali ha in comune la mineralità, la crescita e lo sviluppo, gli istinti e
le emozioni. Ma se fosse solo così non ci sarebbero problemi, vivrebbe la maternità
istintivamente come gli animali, il fatto che sia capace di pensare lo pone quasi sempre
in conflitto con se stesso: le tre funzioni dell'anima, pensare, sentire e volere, sono in
rapporto disarmonico fra di loro. Ecco perché spesso compie azioni che non vorrebbe, che
gli si impongono in modo coatto senza che se ne renda nemmeno conto. Il mondo degli
istinti e delle passioni si rivela essere più forte della sua stessa coscienza pensante.
Occorre ampliare il livello di coscienza, passare da una coscienza razionale affettiva,
primitiva ed egoistica, ad un livello più ampio di consapevolezza in cui l'uomo possa
percepire coscientemente la forza immanente che lo pervade e che è l'io spirituale che
vive sconosciuto in lui. Deve emergere a coscienza il nucleo centrale e luminoso.
Occorre abbandonare ogni atteggiamento ansioso e riproporre con estrema pazienza l'immagine simbolica della figura di madre che da la vita. Un simbolo non è un'astrazione intellettuale, è un'energia reale che produce i suoi effetti. Elaborando il simbolo si potrà portare a gestazione la fonte stessa della luce come consapevolezza di un Io forte e sicuro in grado di dominare quelle forze archetipiche distruttive che abitano l'anima dell'uomo.
Iva Fabbri
Sta in:
Analisi dei segni - Rivista di Medicina, Psicologia e Scienze Umane
Semestrale - Anno 1 - Numero 1 - 1991
Edita dall'istituto di Ricerca sul Pensiero