Coscienza, Inconscio e Individuazione
Una cosa, in particolare, non è affatto cambiata: abbiamo portato con noi la vecchia giungla, ma nessuno sembra comprenderlo.(C.G. Jung)
Possiamo considerare la personalità umana come formata da due
elementi: primo, la coscienza e tutto ciò che le si riferisce; secondo, una rimanente
zona psichica inconscia, i cui confini non sono chiaramente tracciati.
Della personalità cosciente si può dare una definizione, ma bisogna arrendersi di fronte
all'impossibilità di definire quei fattori ignoti che formano la parte inconscia della
personalità; non possiamo fare altro che osservare gli effetti di questi fattori.
Nell'esame della personalità possiamo quindi parlare di "insieme della
personalità" che viene a rappresentare l'unione, il prodotto, dei due elementi,
quello conscio e quello inconscio.
Abbiamo quindi a che fare con una psiche più completa di quella cosciente e le
manifestazioni che ne discendono contengono sintesi che la coscienza non sarebbe stata in
grado di produrre.(10)
Noi crediamo, o meglio siamo per abitudine portati a credere che ogni avvenimento psichico
sia un'espressione della libertà di pensiero o un'invenzione dell'uomo che l'ha creato.
In realtà certe idee compaiono spontaneamente quasi dappertutto, esse non sono opera
dell'individuo, egli le subisce, esse s'impongono alla sua coscienza.
Nella dicotomia conscio e inconscio si può pensare inoltre che l'uomo sia
costituito da una realtà molto più complessa di quella che appare a prima vista, realtà
che d'altra parte è anche in continua evoluzione.
Si possono grossolanamente ipotizzare due differenti livelli. Uno, costituito dal piano
più denso della manifestazione, è caratterizzato dall'aspetto dualistico di bene e di
male. L'altro, il più sottile, va oltre il dualismo e riconduce a quell'essenza che i
buddisti chiamano "lo stato originario" e le religioni monoteistiche
ebraico-cristiane indicano come "uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio".
I due livelli si intersecano e a volte si alternano nella storia dell'anima umana.
Gli alchimisti, che avevano come scopo della loro ricerca la realizzazione della coniunctio
oppositorum, indicavano due vie: la via umida e la via secca .
Per esprimersi secondo la loro terminologia potremmo dire che la pratica psicologica nella
ricerca della realizzazione del sé segua la via umida. Ma è ipotizzabile tentare anche
l'altra via, andare oltre gli stati psichici e connettersi con lo stato originario, che i
buddisti definiscono luce dell'universo fin dal principio.
A questo proposito in una delle ultime e più belle pagine della sua vita Jung
afferma: "L'oggettività di cui feci esperienza in questo sogno e nelle
visioni appartiene a una individuazione compiuta. Rappresenta un affrancamento da
ogni valutazione e da tutto ciò che chiamiamo un legame affettivo: in genere gli uomini
attribuiscono molta importanza ai legami affettivi, ma questi contengono proiezioni che è
necessario respingere per realizzare se stessi e l'oggettività. I rapporti emotivi
sono rapporti di desiderio, viziati da costrizione e assenza di libertà; si vuole
dall'"altro" qualcosa che priva sia lui che noi della libertà. La conoscenza
obbiettiva sta al di là della relazione affettiva; sembra essere il segreto
essenziale. Solo grazie ad essa è possibile la vera coniunctio."(11)
Ma queste sono le considerazioni finali che egli lasciò nell'opera postuma da pubblicare
solo dopo la sua morte.
In precedenza, nelle opere scientifiche, a proposito di inconscio, coscienza e
individuazione aveva esaminato approfonditamente il contenuto di estraneità e di
autonomia dei contenuti inconsci rispetto alla coscienza, come riportiamo qui di seguito.
"I rapporti tra la coscienza e l'inconscio da un lato e il processo di individuazione
dall'altro costituiscono un problema che insorge per così dire regolarmente nelle ultime
fasi di ogni trattamento analitico. Per "analitico" intendo ogni procedimento
che si confronti con la presenza dell'inconscio. Per ciò che concerne anzitutto
l'individuazione, non dovrebbe essere superflua qualche parola di spiegazione.
Uso il termine "individuazione" per designare quel processo che produce
un individuo psicologico, vale a dire un'unità separata indivisibile, un tutto.
Generalmente si suppone che la coscienza coincida con la totalità dell'individuo
psicologico. Ma la somma di esperienze inesplicabili senza il ricorso all'ipotesi di
processi psichici inconsci fa dubitare che l'Io e i suoi contenuti siano realmente
identici al tutto. Se i processi inconsci in generale esistono, sicuramente appartengono
alla totalità dell'individuo, anche se non sono parti costitutive dell'io cosciente. I
fenomeni cosiddetti inconsci stanno così poco in relazione con l'Io che spesso non si
esita a negarne perfino l'esistenza. Ciò non impedisce che essi vengano alla luce nel
comportamento umano...... E' pertanto un pregiudizio supporre che qualche cosa che non si
è mai pensato nella psiche non si trovi. Innumerevoli prove dimostrano che la coscienza
è lungi dal coprire la totalità della psiche...... L'indagine approfondita dei fenomeni
di personalità doppia o multipla ha, per esempio, messo in luce un materiale ricco di
osservazioni convincenti.
In ogni caso la psicologia medica è stata profondamente colpita
dall'importanza di tali fenomeni, origine di una molteplicità di sintomi fisiologici e
psichici. Stando così le cose, l'ipotesi di un io esprimente la totalità psichica si è
rivelata insostenibile... E' evidente che osservatori scrupolosi come Janet e Freud non
avrebbero costruito teorie che fanno derivare l'inconscio principalmente da fonti conscie
se, nelle manifestazioni dell'inconscio, avessero potuto scoprire le tracce di una
personalità indipendente o di una volontà autonoma... Se Freud e Janet avessero avuta
un'esperienza specificatamente psichiatrica, sarebbero stati sicuramente colpiti dal fatto
che l'inconscio possiede contenuti totalmente dissimili da quelli della coscienza, così
estranei ad essa che nessuno, né il paziente né il terapeuta, riesce a comprenderli. Il
malato è inondato da un flusso di pensieri estranei alieni a lui quanto all'individuo
normale. Per questo lo chiamiamo alienato: capire le sue idee ci è impossibile...(12)
Non esiste in effetti nessun campo a noi direttamente conosciuto dal quale si possano far
derivare certe idee patologiche che si differenziano dal materiale nevrotico. Il materiale
di una nevrosi è umanamente comprensibile; quello di una psicosi, no. I contenuti
nevrotici possono essere integrati senza un danneggiamento sostanziale dell'io; le idee
psicotiche restano inafferrabili e si può dire che soffochino la coscienza dell'io. Esse
rivelano inoltre una spiccata tendenza a trascinare l'io dentro il loro sistema.
Casi siffatti dimostrano che in determinate circostanze l'inconscio è in grado di
assumere il ruolo dell'io. Le conseguenze di questo scambio sono il delirio e la
confusione, poiché l'inconscio non è una seconda personalità con un funzionamento
organizzato e centralizzato ma, con ogni probabilità, una congerie di processi psichici
decentralizzata. Ad ogni modo niente di ciò che lo spirito umano produce può sussistere
al di fuori del regno psichico. Non è lecito supporre che certe menti contengano elementi
che in altre non esistono affatto. Né abbiamo motivo di supporre che l'inconscio abbia la
facoltà di divenire autonomo solo in determinate persone, quelle predisposte alla
malattia mentale. E' assai più probabile che la tendenza all'autonomia sia una proprietà
più o meno generale dell'inconscio. Il disturbo mentale è in un certo senso solo la
punta emergente di uno stato latente ma generale. La tendenza all'autonomia si manifesta
soprattutto negli stati affettivi, anche nel caso di individui normali. Non ci vuole
molto: amore e odio, gioia e dolore bastano spesso per provocare uno scambio di ruoli fra
l'Io e l'Inconscio........
L'autonomia dell'inconscio comincia là dove nascono le emozioni. Queste sono reazioni
istintive, involontarie, che turbano con irruzioni elementari l'ordine razionale della
Coscienza. Gli affetti non sono "fatti", prodotti dalla volontà: semplicemente
insorgono. Quanto più veemente è un affetto, tanto più si avvicina al patologico, ad
una condizione cioè in cui l'Io cosciente è messo in disparte da contenuti autonomi e
spesso fino a quel momento inconsci........ Dopo che qualche cosa di sconosciuto è
improvvisamente emerso dal nulla è facile per lo psicologo dire come sono andate le cose,
ma prima chi lo avrebbe mai detto?
Noi chiamiamo l'inconscio "nulla", esso è invece una "realtà in
potenza": Il pensiero che faremo, l'azione che compiremo, lo stesso destino di cui ci
lamenteremo domani, sono già presenti inconsciamente oggi.
Dobbiamo perciò sempre tener conto dell'esistenza di elementi ancora ignorati. Potrebbe
trattarsi di potenzialità che si svilupperanno in futuro e che affiorano con
un'esplosione affettiva capace a volte di trasformare radicalmente una situazione.
Comunque l'inconscio ha un volto bifronte: da un lato i suoi contenuti rimandano al
passato ad un modo istintivo, preistorico e preconscio; dall'altro esso anticipa
potenzialmente il futuro. Una conoscenza completa della struttura inconscia presente in
ogni individuo fin dalla sua origine permetterebbe di preannunciarne ampiamente il
destino......Tutto ciò che diviene si edifica infatti sulla base di ciò che era e di
ciò che, consciamente o inconsciamente, ancora esiste come traccia mnestica. Ora, poiché
nessuno, venendo al mondo, si presenta come un prodotto totalmente nuovo, ma rinnova
sempre l'ultimo stadio di sviluppo precedentemente raggiunto, egli inconsciamente contiene
come dato a priori l'intera struttura psichica che si è sviluppata a poco a poco, in un
senso o nell'altro, nella schiera dei suoi antenati. Questo fatto conferisce all'inconscio
il suo caratteristico aspetto "storico", e in pari tempo è la conditio sine qua
non della conformazione che assumerà l'avvenire. Per questo motivo è spesso davvero
difficile stabilire se una data espressione autonoma dell'inconscio debba essere vista
principalmente come un "effetto" (quindi in modo storico) o come un
"fine" (quindi in modo finalistico anticipatorio).
Generalmente la coscienza pensa senza tenere in considerazione le precondizioni
ancestrali; se noi pensiamo in termini di anni, l'inconscio pensa e vive in termini di
millenni. Siamo sempre come bambini che dimenticano le cose del giorno prima. Viviamo
sempre in un mondo miracolosamente nuovo in cui ci sentiamo sorprendentemente moderni. Un
simile stato è un'inequivocabile testimonianza della giovinezza della coscienza umana,
non ancora consapevole di ciò che l'ha preceduta...... Per la sua giovinezza e
vulnerabilità, la nostra coscienza ha la tendenza, facilmente comprensibile, a tenere in
scarsa considerazione l'inconscio: come un giovane che, se vuol intraprendere qualcosa in
modo autonomo, non deve farsi troppo influenzare dalla maestà dei suoi genitori. La
nostra coscienza si è sviluppata, storicamente e individualmente, dall'oscurità di una
primordiale incoscienza. Processi e funzioni psichiche esistevano ben prima che vi fosse
una coscienza dell'Io. L'"aver pensieri" fu una realtà anteriore a quella in
cui l'uomo poté dire: "Sono consapevole di pensare".
Fascinazione, incantesimo, perdita dell'anima, possessione etc. sono
palesemente fenomeni di dissociazione e di repressione della coscienza causati da
contenuti inconsci.
Nemmeno l'uomo civilizzato è uscito completamente dall'oscurità dell'età primitiva.....
La coscienza si origina da una psiche inconscia che la precede nel tempo e che continua
poi a funzionare con o malgrado la coscienza stessa. Benché siano numerosi i casi in cui
dei contenuti coscienti ridiventano inconsci (ad opera, per esempio della rimozione), nel
suo insieme l'inconscio è lungi dal rappresentare un mero residuo della coscienza.
Come ho accennato sopra, ci sono poche speranze di trovare nell'inconscio un ordine
equivalente a quello dell'Io cosciente; non siamo in procinto di scoprire una personalità
inconscia dell'Io, tuttavia non possiamo trascurare che, come la coscienza emerge
dall'inconscio, così anche il centro dell'Io nasce da una oscurità profonda in cui era
in qualche modo racchiuso, contenuto in potenza. Ora come una madre umana non può che
generare un bambino umano, le cui più intime e profonde caratteristiche erano celate nel
grembo di lei già durante la sua potenziale esistenza, così noi siamo praticamente
costretti a credere che l'inconscio non possa essere un accumulo esclusivamente caotico di
istinti e di immagini. Qualcosa deve pur tenerlo insieme ed esprimerne la totalità. Il
suo centro è vero non può essere l'Io, perché l'Io è nato nella coscienza e si
contrappone all'inconscio, cercando il più possibile di escluderlo. Oppure si deve
pensare che con la nascita dell'Io l'inconscio abbia perduto il suo centro? Se così
fosse, dovremo attenderci una grande superiorità dell'Io rispetto all'inconscio, una sua
maggiore importanza e capacità di influenza. L'inconscio allora avanzerebbe umilmente
sulle orme della coscienza. Proprio ciò che vorremmo.
Sfortunatamente i fatti dimostrano che è vero il contrario: la coscienza soggiace fin
troppo facilmente alle influenze inconsce; accade anche che i motivi inconsci abbiano di
frequente il sopravvento sulle decisioni coscienti. Lo stesso destino individuale dipende
in gran parte da fattori inconsci. Un'attenta disamina rivela fino a che punto le
decisioni coscienti siano legate al regolare funzionamento della memoria: ma la memoria
spesso soggiace a fastidiose interferenze da parte di contenuti di carattere inconscio.
Inoltre essa funziona in maniera automatica. Generalmente si serve di nessi forniti
dall'associazione, ma spesso li usa in modo così straordinario che è necessaria
un'ulteriore indagine dell'intero processo di riproduzione mnemonica per scoprire come
certi ricordi siano potuti accedere alla coscienza; e non di rado i nessi sono
introvabili. In questo caso, è impossibile respingere l'ipotesi di un'attività propria
dell'inconscio. Un altro esempio è costituito dall'intuizione, la quale poggia
essenzialmente su processi inconsci di natura altamente complessa. Proprio per questa
caratteristica io ho definito l'intuizione "una percezione per via
inconscia".
Normalmente l'inconscio collabora con la coscienza senza frizioni o
disturbi, tanto che la sua esistenza non si nota nemmeno, ma se un individuo o un gruppo
sociale si sposta eccessivamente dai suoi fondamenti istintuali, sperimenta allora tutto
l'impatto delle forze inconsce.......... Nell'inconscio di ogni uomo è racchiusa una
personalità femminile; nell'inconscio di ogni donna, una personalità maschile.
E' noto che il sesso è determinato da una maggioranza di geni maschili o femminili. La
minoranza di geni del sesso opposto non è peraltro vanificata: un lato della natura
dell'uomo è caratterizzato dalla femminilità, egli possiede cioè una inconscia figura
femminile, fatto di cui non è in genere minimamente consapevole. Ho designato questa
figura con il nome di Anima.
Un'altra figura non meno importante e ben definita, è quella dell'Ombra che, come
l'Anima, si manifesta o proiettata su persone adeguate o, variamente personificata, nei
sogni. L'Ombra coincide con l'inconscio "personale" (corrispondente al concetto
freudiano di inconscio). La figura dell'Ombra personifica tutto ciò che il soggetto non
riconosce e che pur tuttavia, in maniera diretta o indiretta lo perseguita: per esempio
tratti del carattere poco apprezzabili o altre tendenze incompatibili...... L'Animus e
l'Anima all'interno della struttura psichica vivono e funzionano nei più profondi strati
dell'inconscio, in particolare in quel profondo strato filogenetico da me denominato
"inconscio collettivo".
Questa localizzazione spiega in gran parte la loro stranezza: al mondo
effimero della nostra coscienza essi comunicano una vita psichica sconosciuta,
appartenente a un lontano passato; comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il
loro modo di sentire, di pensare; il loro modo di sperimentare il mondo, la vita, gli dei,
gli uomini. L'esistenza di questi strati arcaici costituisce presumibilmente la fonte
della credenza nella reincarnazione e nel ricordo delle "vite anteriori". Come
il corpo umano rappresenta una sorta di museo della sua storia filogenetica, lo stesso
avviene per la psiche. Perché negare alla nostra coscienza una storia che abbraccia circa
cinquemila anni? Soltanto l'Io cosciente comincia perpetuamente daccapo per trovare una
rapida fine, la psiche inconscia, invece non solo è infinitamente antica ma ha la
possibilità di estendersi a un altrettanto lontano avvenire. Animus e Anima vivono in un
mondo completamente diverso da quello esteriore, un mondo in cui le pulsazioni del tempo
battono con infinita lentezza, in cui la nascita e la morte degli individui contano ben
poco..... Torniamo ora al problema dell'individuazione: la psiche consiste in due metà
incongruenti che insieme dovrebbero formare un tutto........ ma questo non accade se l'una
è repressa e danneggiata dall'altro e viceversa. Se devono combattere tra di loro che sia
almeno un combattimento leale ad armi pari...... Questo io intendo per processo di
individuazione, si tratta di un processo o di uno stadio dello sviluppo che nasce dal
conflitto tra i due fatti psichici fondamentali..... Come si debbano armonizzare i dati
coscienti e quelli inconsci è cosa che non posso indicare con una ricetta. Si tratta di
un processo vitale irrazionale che si esprime per il tramite di certi simboli. In questo
caso è indispensabile la conoscenza dei simboli, perché in essi si compie l'unione dei
contenuti consci e inconsci e da quest'unione risultano nuove situazioni o nuovi
atteggiamenti della coscienza. Perciò ho chiamato funzione trascendente l'unione degli
opposti. In questa guida della personalità alla pienezza consiste lo scopo di una
psicoterapia che permette di non essere mera cura di sintomi".(13)
Colpisce nelle pagine di Jung il concetto di sviluppo rispetto ai contenuti della
struttura psichica: essa si sviluppa lentamente nella schiera degli antenati fino ad
arrivare alla giovinezza della coscienza.
"..l'aver pensieri fu una realtà anteriore a quella in cui l'uomo poté dire sono
consapevole di pensare."
Infatti se si prende ad esempio la genialità musicale di I.S.Bach, si può dire che egli
porta le tracce mnestiche delle facoltà musicali ereditarie (la sua era una famiglia di
musicisti), ma essa introduce il fatto che Bach, come io, individua ed integra una sua
peculiarità che è nuova rispetto agli antenati. Porta con sé il passato ed integrando
la novità nella coscienza lo introduce nel futuro. Ogni uomo per il fatto di essere
individuo è quindi anche astorico. La coscienza individuale rende particolare il generale
collettivo.
Certamente la giovane coscienza può perdersi nelle fascinazioni e nell'incantesimo dei
contenuti inconsci. Per ora è coscienza dell'io contingente, ma l'Io nasce veramente solo
nella fase successiva a "Sono consapevole di pensare", si manifesta quando
sperimenta la coscienza del pensiero che pensa. Esiste peraltro nell'uomo anche
un'incoscienza dell'io non contingente. Tutta la pratica buddista tende alla
consapevolezza di questo io "lo stato del principio senza ostacoli, presente al di
là dello spazio e del tempo, spazio interiore, luce dell'universo perfetto fin dal
principio..." come cantano le Dakini in un mantra tibetano.
Alla domanda che Jung si pone se l'Io sia il centro o meno della coscienza si potrebbe
ipotizzare che la coscienza altro non è se non un processo evolutivo in cui l'io
contingente si espande sempre più fino ad essere consapevole, per mezzo di un pensare che
va oltre la frammentazione dei pensati, dell'io primordiale inconscio. L'io cosciente con
un processo lungo e faticoso tenta di elaborare ed integrare i contenuti dell'inconscio e
"sfortunatamente come i fatti dimostrano soggiace fin troppo facilmente alle
influenze inconsce". Questo si verifica per la giovinezza e quindi per l'estrema
vulnerabilità dell'Io. La coscienza umana percepisce ancora solo raramente lo stato
primordiale che tutto pervade. E' immersa nella dualità di bene e male, bianco e nero, e
di conseguenza viene posseduta da processi antinomici, separativi non unificanti il
processo di consapevolezza. Infatti Diavolo (diabolos) deriva dal greco diaballein che
significa separare. E per il fatto che tali processi separano e possiedono, sono percepiti
come demoniaci. Si manifestano per mezzo del potere che esercitano sulla volontà a
livello inconscio, contro la volontà stessa. Per sua intima natura quindi la possessione
è separativa, oppressiva: l'io debole si identifica con i contenuti che lo possiedono e
perde la luce della coscienza.
"Non devi sfuggire alle apparenze, lascia che siano quello che sono. Se non le
rifiuti, né le accogli nel grande sigillo sei libero" insegna Tilopa.(14)
E' lo stato del principio senza ostacoli che fa esclamare all'apostolo Paolo: "Non
io, ma il Cristo in me". Non io, fiume torbido di atti mentali, prigioniero di
istinti e passioni (gli affetti di cui scrive Jung), ma Io radianza pura. Dopo la
folgorazione sulla via di Damasco l'esperienza trascende le parole.
"Con il controllo mentale esercita te stesso fin quando non ti stabilirai
nell'essenza della pura coscienzialità.... così se il pensare osserva il pensiero
distinguendone i prodotti, tu percepirai l'essere del pensare.... esso è come il cielo.
Calmo riposa in quella condizione..... oltre il piano dei supporti mentali, traluce
l'essere in sé del pensare. Al di là delle pratiche immergiti in te stesso, in te stesso
dimora".(15)
Questa è la ricerca consapevole della percezione della forza che vive nell'intuizione: è
un processo creativo. Non è intuizione per via inconscia, ma Volontà che muove nella
consapevolezza. E qui per Volontà si intende non un atto volontaristico, ma quella
volontà libera che non è più condizionata da leggi interne o esterne, da imperativi
interiori. Questi ultimi, infatti sono frutto dell'introiezione di norme imposte
dall'esterno, ad esempio Dio o la società.
Ma se l'idea è vera in quanto esiste, perché chiamare effimero il mondo della coscienza?
Perché non riconoscere nell'io contingente, alle prese con una giovane
consapevolezza,"lo stato del principio senza ostacoli" (16)
altrettanto antico quanto la psiche inconscia?
La ricerca del senso in una esperienza di moderna possessione:
La storia di R.
....Anche se si trattava del passato era un passato che cambiava man mano egli avanzava nel suo viaggio, perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell'itinerario compiuto. (I. Calvino)
Parlare di possessione oggi significa destreggiarsi
faticosamente fra termini ed evocazioni che oscillando nello spazio, nel tempo e
attraverso le culture (quella primitiva ad esempio o quella medievale), arrivano a noi per
cercare una collocazione che, pur rispettando l'ampiezza e la profondità di questo antico
concetto, lo riattualizzino in termini moderni.
Come operatori della psicologia e da anni analisti del profondo, abbiamo potuto osservare casi
di possessione nei termini in cui la descrive C.G.Jung, cioè come un complesso o
un contenuto archetipico che si è appropriato della personalità dell'Io.(17)
Alcune nevrosi e molte psicosi bene si prestano a questa chiave di interpretazione. Ma
il concetto di nevrosi e di psicosi non sempre copre, secondo noi, il vastissimo campo di
fenomeni che potremmo definire strani e diversi e che ugualmente, come nel
caso della psicosi, prendono possesso dell'individuo e lo costringono, a volte per anni,
ad una lunga e difficile decodificazione per consentire all'Io di riappropiarsi del
significato profondo di quanto gli accade.
Qualcosa di molto simile era accaduto ad R., un uomo di circa quarant'anni conosciuto una
sera a cena e presentato da una collega analista e da un amico, medico omeopatico di Roma.
R. Faceva parte del gruppo (medici e psicologi) per un diritto che capivamo acquisito da
anni.
Non tardò a presentarsi e ci colpì il fatto che lo fece professionalmente azzeccando
diagnosi che descrivevano minuziosamente i nostri malanni.
Alla domanda un po' smarrita su come faceva a saperlo, R. rispose: "Io non lo so, lo
vedo!"
Iniziò così a raccontarci la sua storia.
Era figlio di contadini e viveva nella campagna toscana.
Un giorno, ancora giovanissimo, si accorse di vedere dettagliatamente come in
fotografia gli organi del corpo umano e cosa assai peggiore per lui, se questi organi
erano sani o ammalati. Non comunicò a nessuno le sue diagnosi per paura di essere preso
per pazzo; il piccolo paese dove abitava non gli avrebbe perdonato simili stravaganze.
Ma le persone che suo malgrado gli capitava di osservare, morivano esattamente come aveva
previsto o guarivano, esattamente come aveva intuito.
I fenomeni continuarono a ripetersi sempre più frequentemente e con la frequenza,
aumentava la sua ansia.
R. ci raccontò che in quel periodo si ammalava sovente e che talvolta per giorni non
poteva uscire dalla sua camera per delle emicranie fortissime, (causate forse, potremmo
dire oggi, da un potente conflitto dentro di lui).
Sui vent'anni si decise autonomamente, senza il parere di nessuno, a consultare dei medici
nella città più vicina. Tutti lo curarono come un visionario e gli prescrissero grandi
quantità di psicofarmaci che R. prese per molto tempo e con molta cura. Non era in grado
infatti di giudicare se gli servissero o no, non era in grado neanche di valutare se
quanto gli accadeva fosse bello o brutto, positivo o negativo. Sapeva solo che non lo
voleva e che avrebbe fatto qualunque cosa pur di strapparsi di dosso quelle strane
capacità che lo prevaricavano.
Gli psicofarmaci nel frattempo lo sedavano ma non placavano la forza delle sue visioni.
R. continuava ad avere negli occhi organi anatomici, circolazione sanguigna, ritmi
cardiaci. Era letteralmente posseduto da questa oscura forza, da questo oscuro
male.
Era posseduto ma non vinto se neanche l'ombra, che il collettivo medico
scientifico gli aveva buttato addosso per anni, era riuscita ad annientarlo.
In quel periodo R. iniziò a consultare testi medici di ogni tipo e fra questi
un'enciclopedia medica di larga diffusione. La sua attenzione, forse per una forma di sana
quanto inconscia intuizione, cadde sui capitoli che riguardavano l'altra medicina, la
medicina alternativa, i fenomeni diversi e le diverse terapie.
Contemporaneamente prese ad interessarsi allo studio delle energie in
fisica, approfondì il campo parapsicologico, si scelse una psicologa bioenergetica ed
iniziò una terapia.
Ci raccontò dell'agitazione nel presentarsi alla prima seduta di analisi e del timore
profondo di sentirsi ancora diagnosticare pericolose psicopatologie.
Fortunatamente non fu così.
Il suo lungo peregrinare trovò in questo caso un ascolto attento e interessato. Fu
l'inizio di un percorso psichico responsabile, di un dialogo profondo che dura ancora
oggi. Fu per R. l'incontro che per primo lo disancorò dal sospetto della follia. Il
secondo, non meno importante, avvenne con un noto medico pranoterapeuta molto conosciuto
in Toscana.
R. si rivolse a lui per le persistenti emicranie e per i vari malesseri che ciclicamente
lo assalivano. Gli raccontò la sua storia e gli descrisse quanto suo malgrado vedeva.
Il medico mise in relazione i due eventi, i forti malesseri e le straordinarie
capacità di R. e si espresse in una diagnosi libera e al contempo dissacratoria: lo
consigliò di usare tutta la sua energia e lo incoraggiò a curare gli altri. Lo
fece con una promessa, la garanzia che i suoi malesseri sarebbero tutti scomparsi.
Così infatti avvenne.
I due eventi erano evidentemente legati fra loro ed ancora oggi se R. rimane a lungo senza
curare inizia a star male.
Cura, ma lo fa con molta umiltà, senza prendere denaro, solo con persone che se
hanno sentito parlare di lui, volontariamente gli si affidano. Lo fa senza velleità,
senza nessuna intenzione di sfidare il giudizio collettivo, anzi con la ferma intenzione
di inserirsi nel collettivo.
R. si laureerà infatti presto.
Considera quel giorno un appuntamento importante, la possibilità finalmente di
presentarsi al mondo a testa alta.
Nel frattempo coltiva la terra e continua a fare il contadino, nel solito posto, fra le
solite poche persone del suo paese, dove quasi nessuno conosce la sua storia, una storia
secondo noi di moderna possessione.
R. avrebbe potuto entrare davvero nel tunnel della follia? Crediamo di si!
Il suo Io evidentemente è stato in grado di reggere l'urto della marea ed R. è riuscito
in qualche modo, fra mille cadute, non solo a possedere la sua possessione, ma
anche a riconoscersi come sane qualità diagnosticate per quasi un decennio come malate.
La storia di R. non ci avrebbe certo tanto colpiti se all'epoca dell'incontro con lui
tutto il nostro gruppo di studio non fosse stato coinvolto in una ricerca per
l'Università, di argomento magico-antropologico. Ci sembrò incredibile la sincronicità
fra l'incontro, o meglio la tematica che l'incontro ci proponeva, e l'argomento dei nostri
studi.
Avevamo per l'appunto fra le mani il libro di Ernesto De Martino, "Il Mondo
Magico", dove l'autore criticando un certo atteggiamento della scienza, parla
".... dello scandalo che suscita la semplice posizione del problema della realtà dei
poteri magici, la resistenza ad accettare una soluzione positiva del problema, la protesta
del buon senso come dello spirito scientifico, il continuo rigerminare del dubbio in
coloro che tentano l'accertamento sistematico dei fatti......."(18)
E contro la mentalità naturalistica di Wundt, De Martino criticamente prosegue: "Con
singolare candore Wundt mette a nudo il motivo passionale che blocca, per così dire il
libero discorso della mente in cospetto del problema dei poteri magici: egli parla infatti
di preferenze da parte dell'uomo occidentale a favore del <meraviglioso universo di
Galileo e di Newton>, cioè dell'universo dato dall'osservazione, controllabile con
l'esperienza, risolubile razionalmente nella legalità scientifica".
Pensando ad R. come ad una sorta di moderno sciamano al quale in
pratica il medico pranoterapeuta dei nostri tempi (libero forse per sua stessa posizione
dai condizionamenti di soluzioni solo "controllabili" di cui parla Wundt), aveva
consigliato di iniziare a sciamanizzare, ci colpì molto, per analogia, per uso dei
termini e per descrizione di stati d'animo, quanto De Martino riferiva del racconto di una
donna Yakuta:
"A venti anni caddi gravemente malata e cominciai a vedere con i miei occhi e a
sentire con le mie orecchie quel che altri non vedevano né sentivano. Per nove anni fui
in conflitto con me stessa e a nessuno dissi quel che mi accadeva, perché temevo che la
gente non mi avrebbe creduta e che si sarebbe fatta beffe di me. Finii col diventare così
gravemente malata che fui sul punto di morire, ma quando presi a sciamanizzare, andai
meglio: ancora oggi, se sto lungo tempo senza sciamanizzare rischio di cadere
malata".
De Martino assume comunque una posizione intermedia (forse condizionato dal nascere delle
moderne teorie psicoanalitiche), nell'affermare che non sappiamo se nel mondo primitivo
ciò che spingeva a diventare sciamani fosse in realtà una insorgente labilità, un
grosso disagio psichico, un'angosciante attenuazione della presenza unitaria.
Sicuramente la malattia veniva interpretata come chiamata e come vocazione.
Era il riconoscimento ma anche il padroneggiamento di una psiche minacciata e soltanto chi
era in grado di controllare questo percorso, mai avrebbe attraversato la soglia della
follia.
Sul percorso di R. di questo non ci è dato sapere. Le tappe salienti ed intime della sua
analisi non le conosciamo.
Siamo però certi dello scandalo che ancora oggi suscita il problema della realtà
dei poteri diversi nella nostra avanzata civiltà occidentale dove il linguaggio
archetipico viene quasi sempre confuso con il linguaggio psicotico.
Come affermava M.Eliade, uno dei più grandi storici delle religioni ".....si ha
troppo spesso l'impressione che la filosofia occidentale si mantenga in una sorta di
<provincialismo> che le interdice di accedere alle grandi correnti del pensiero
umano (i primitivi, l'Oriente, l'Estremo Oriente)....... i poteri paranormali non si
incontrano esclusivamente presso i primitivi e i soggetti aberranti del mondo occidentale,
ma anche presso Yogin, santi di ogni specie, appartenenti ad ogni sorta di
civiltà.......L'autenticità dei poteri degli Yogin, per esempio, pone un'altro problema:
quello della conquista lucida e razionale di questi poteri paranormali......... i poteri
yogici non sono privilegio esclusivo degli Indù, né di una particolare epoca storica,
poiché sono attestati dai tempi più antichi sino ai nostri giorni....... ".(19)
Eliade assume dunque, senza rischio di smarrirsi, una posizione più avanzata rispetto a
quella di De Martino (che concepiva, con una visione storicistica crociana i poteri magici
dei primitivi come un problema che poteva essere risolto solo in funzione del senso che la
realtà poteva avere nell'esperienza primitiva ), nell'affermazione che "determinati
poteri non sono privilegio di una determinata epoca storica".
Viene alla mente come Jung ha trattato il concetto di Numinosum, non in senso
letterale ma in senso lato, come qualcosa che si caratterizza con l'irruzione di "
...contenuti fino ad allora inconsci, che infrangono i controlli dell'io e sommergono la
personalità cosciente nello stesso modo delle invasioni dell'inconscio in situazioni
patologiche".(20)
Ciò nonostante affermava Jung, di solito un'esperienza del numinosum non sempre ha
carattere psicopatologico. Non tutte le esperienze personali rappresentate in forme visive
e figurative sono dunque di per sé, secondo Jung, la prova di un disturbo mentale.
L'interrogativo che sorge è semmai come l'individuo risponderà, l'Io debole si
inflazionerà, l'Io più forte cercherà risposte più affermative di senso.
In questo dibattito, certo non risolto, abbiamo tentato di inserire la storia di R.
Note
Ricordi sogni riflessioni di C. G .Jung, Il Saggiatore, Milano 1965, pagg. 331\332. Il corsivo è degli autori.
Le affermazioni di Agostino sull'influenza esercitata dai demoni sugli uomini e cioè di provocare malattie, di rendere l'aria malsana, e di suscitare nei pensieri degli uomini certe visioni, furono riprese durante tutto il Medioevo dai grandi canonisti del secolo XII fino alla teologia scolastica di Tommaso D'Aquino. Sostenendo in sintesi che i demoni non creano la materia , ma risvegliano le immagini e agiscono sulla capacità immaginativa dell'anima umana suscitandovi vani fantasmi. (Nota degli autori tratta da : Schmitt J. C. - Op. Cit.)
Jung C. G. - Opere Vol. 9 (Tomo 1), Boringhieri, Torino 1983,pag.265 e seg.
Tilopa - The Tibetan Text of Tilopa's, Mahamudropadesa by F. Tiso and f: Torricelli, from East and West, Vol.41, nos.1-4, ISMEO, Roma Dic. 1991, pag. 210.
Tilopa - Op.Cit. Pagg. 211, 212, 214, 216.
Namkhai Norbu - Dzog-Chen: Lo stato di autoperfezione, Ubaldini Ed., Roma 1986, pag. 36, 53.
E. De Martino - Il mondo magico, Ed. Universale Scientifica Boringhieri ,Milano 1981
Scienza, idealismo e fenomeni paranormali - in Critique 1938 n°23 pag. 315 e sgg.
Dizionario di Psicologia Analitica - Op. Cit.